LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3270/16) proposto da:
C.G., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù
di procura speciale apposta in calce alla memoria di costituzione del 1 settembre 2017 (depositata il 10 ottobre 2017), dall’Avv. Stefano Pericoli, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, piazza Cavour;
– ricorrente –
contro
B.P., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Andrea Graziani, Leonardo Zanotti, e Nicolò Zanotti, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, p.le Clodio, n. 14;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1775/2015 (depositata il 20 ottobre 2015);
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Corrado Mistri, con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, rigettarlo;
letta la memoria depositata dalla difesa della ricorrente ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RILEVATO IN FATTO
1. Con atto di citazione tempestivamente notificato, la sig.ra C.G. si opponeva al Decreto Ingiuntivo n. 353 del 2012, emesso dal Tribunale di Pisa per l’importo di Euro 18.720,00 emesso a favore del commercialista Dott. B.P., a titolo di compensi relativi al contratto di consulenza stipulato il 21 novembre 2007. A sostegno della formulata opposizione la C. adduceva la fittizietà del citato contratto, essendo esso, invero, volto a mascherare corrispettivi per la cessione di una quota di partecipazione nella GST Computer s.r.l..
Nella costituzione dell’opposto, il Tribunale adito, con sentenza n. 21/2014, rigettava la proposta opposizione.
2. Interposto appello da parte della C. e nella resistenza dell’appellato, la Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 1775/2015 (depositata il 20 ottobre 2015), rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
A fondamento dell’adottata pronuncia la Corte toscana rilevava che, in effetti, la simulazione addotta dalla C. non era rimasta provata e, in ogni caso, sulla base della situazione fattuale dalla stessa prospettata, non era idonea ad escludere la debenza della somma oggetto del decreto ingiuntivo. Inoltre, le eccezioni dalla medesima sollevate con riferimento alla mancata esecuzione e/o di imputazione e/o di estinzione degli obblighi contrattuali si dovevano ritenere privi di giuridica consistenza.
3. Avverso la citata sentenza di appello ha formulato ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la C.G..
L’intimato B.P. si è costituito con controricorso.
In un primo momento il ricorso veniva fissato per l’adunanza camerale del 27 ottobre 2020 ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., ma all’esito della stessa il collegio deliberava di rimetterne la trattazione e la discussione in pubblica udienza, fissata per la data odierna, in prossimità della quale la difesa della ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di appello omesso di esaminare l’istanza, ritualmente formulata (e reiterata anche all’udienza di discussione), di sospensione per pregiudizialità penale derivante dalla pendenza di un procedimento penale a carico del B. che riguardava la vicenda dedotta nella controversia civile, pervenendo, così, a respingere il gravame, rappresentando, peraltro, che nelle more della proposizione del ricorso stesso, il B. era stato condannato, all’esito del giudizio penale di primo grado (di cui si conosceva il solo dispositivo, in attesa del deposito della motivazione) alla pena di anni uno di reclusione e 1.000,00 Euro di multa.
2. Con la seconda doglianza la ricorrente ha dedotto – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 295 c.p.c., art. 654 c.p.p. e art. 211 disp. att. c.p.p., per non aver la Corte fiorentina provveduto, con l’impugnata sentenza, sulla richiesta sospensione del giudizio civile per la prospettata e (da ritenersi) sussistente pregiudizialità penale, essendosi solo limitata a negarla con precedente ordinanza, che non avrebbe potuto essere impugnata con regolamento di competenza (siccome ammesso solo contro i provvedimenti concessivi della sospensione), ordinanza, peraltro, neppure genericamente richiamata nella successiva sentenza, senza che, in quest’ultima, fossero state comunque esaminate le circostanziate deduzioni svolte da essa ricorrente – quale appellante – anche in sede di discussione della causa in appello.
3. Rileva il collegio che il primo motivo è inammissibile.
Come in precedenza riportato, la ricorrente – con la prima censura denunciata – ha unicamente dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che la Corte di appello di Firenze non ha, con l’impugnata sentenza, preso alcuna posizione né adottato una specifica decisione sul prospettato diniego della sospensione per asserita pregiudizialità penale formulata con l’atto di appello (correlata alla pendenza di un procedimento penale instaurato nei confronti del B.P. per fatti connessi all’oggetto della domanda proposta in sede civile) e riformulata anche in sede di discussione.
Senonché, per giurisprudenza costante di questa Corte, il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali (cfr., tra le tante, Cass. n. 22083/2013, Cass. n. 1876/2018 e Cass. n. 25154/2018) ma soltanto con riferimento al mancato esame di questioni di merito, potendosi prospettare, in tal caso, solo un’eventuale nullità della decisione ma per violazione di norme processuali diverse dall’art. 112 c.p.c.. E poiché con il ricorso in esame è stata denunciata la sola violazione di quest’ultima norma con riguardo alla questione processuale inerente l’omessa disposizione dell’invocata sospensione, la doglianza in discorso incorre nella sanzione dell’inammissibilità.
4. Anche il secondo motivo va ritenuto inammissibile in dipendenza della mancata allegazione della prova effettiva della pendenza del procedimento penale assunto come pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio civile, non risultando sufficienti allo scopo l’allegazione dell’intervenuta sentenza penale di primo grado (con richiamo del dispositivo di condanna) a carico del B. e il sopravvenuto deposito della motivazione di detta sentenza, in difetto di altri riscontri e di apposite attestazioni comprovanti la persistenza della pendenza del procedimento stesso.
A tal proposito deve, perciò, trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 22878/2015 e Cass. n. 26716/2019) secondo cui la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione, sicché, quando una sentenza sia impugnata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, è onere del ricorrente provare che la causa pregiudicante sia pendente e resti presumibilmente tale sino all’accoglimento del ricorso, mancando, in difetto, la prova dell’interesse concreto e attuale all’impugnazione, perché nessun giudice, di legittimità o di rinvio, può disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra causa non più effettivamente in corso.
Peraltro, la Corte fiorentina, nello svolgimento dell’adeguato percorso logico-giuridico addotto a sostegno dell’impugnata sentenza, ha ritenuto – in relazione al merito del giudizio – che non fosse rimasta provata la simulazione eccepita dalla C. (e tale ratio non risulta, peraltro, specificamente censurata da quest’ultima), così escludendo implicitamente (in tal senso intendendosi tacitamente confermata anche la precedente ordinanza di diniego della invocata sospensione) il rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale a carico del B. e lo stesso giudizio civile di opposizione a decreto ingiuntivo.
Al riguardo bisogna osservare che la sospensione necessaria del processo civile, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., art. 654 c.p.p. e art. 211 disp. att. c.p.p., in attesa della formazione del giudicato penale, può essere disposta soltanto se una norma di diritto sostanziale riconduca alla commissione di un reato un effetto sul diritto soggettivo oggetto del giudizio civile e a condizione che la sentenza penale possa, per l’appunto, spiegare in concreto gli effetti del giudicato nel processo civile. Affinché si possa configurare tale condizione di dipendenza logica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale non è sufficiente che nei due processi vengano in rilievo gli stessi fatti, ma è necessario che l’effetto dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato, oggetto dell’imputazione penale (cfr., da ultimo, Cass. n. 18918/2019 e Cass. n. 2522/2021).
Alla stregua della ratio decidendi che sorregge la sentenza qui impugnata, in virtù della quale la debenza della somma ingiunta nei confronti della C. non sarebbe da escludere, sebbene ad altro titolo, ai sensi dell’art. 1414 c.c., comma 2, producendo effetto tra le parti il contratto dissimulato, la Corte territoriale ha considerato che il decreto monitorio non avrebbe potuto essere revocato. Ne consegue che è stato ritenuto dalla Corte di appello – con congrua valutazione insindacabile in questa sede insussistente un vincolo di consequenzialità tra il giudicato penale e la controversia civile in questione.
3. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese del presente giudizio a carico della ricorrente, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna al ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021