LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15159/2016 proposto da:
S.G., N.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA MARATONA 56, presso lo studio dell’avvocato CARLO ABBATE, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
C.A., CONDOMINIO *****, P.F., M.E., M.L., ME.LU., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE CARSO 43, presso lo studio dell’avvocato CARLO GUGLIELMO IZZO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADRIANO IZZO;
– controricorrenti –
e contro
ACQUEDOTTI TIRRENI S.P.A.;
– – intimata –
avverso la sentenza n. 4923/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/06/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. S.G. e N.E. hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 4923/2015, pubblicata il 3 settembre 2015.
Resistono con controricorso il Condominio di *****, M.L., M.E., Me.Lu., P.F. e C.A., queste ultime in qualità di eredi di C.L..
La Società Acquedotti Tirreni S.P.A. non ha svolto attività difensive.
2. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza resa il 14 gennaio 2008 dal Tribunale di Roma n. 788/2008 e rigettato i contrapposti gravami, confermando la statuizione di demolizione del manufatto realizzato nel 2002 dai condomini S.G. e N.E. sul lastrico solare di loro esclusiva proprietà. La sentenza impugnata ha affermato che tale sopraelevazione di mq. 43,00, per le caratteristiche costruttive e per l’ubicazione, ledeva sia il decoro architettonico sia l’aspetto architettonico dell’edificio condominiale, avente un rilevante valore artistico. Richiamando le risultanze della CTU, la Corte di Roma ha evidenziato che l’edificio di ***** fosse di stile neoclassico con predominanza di colori chiari ed omogenei, in ottimo stato di manutenzione, mentre la nuova opera si connotava come un corpo estraneo, avulso dal contesto, ovvero una superfetazione. La sopraelevazione era per di più visibile per un breve tratto da *****, nonché dalle finestre de condomini attori e da altri fondi privati.
I giudici di secondo grado hanno altresì confermato il rigetto della domanda di S.G. e N.E., volta ad ottenere il ripristino dell’originaria destinazione abitativa degli appartamenti di proprietà degli attori M. e Società Acquedotti Tirreni S.P.A., locati a terzi ad uso professionale, con correlato risarcimento dei danni, non contrastando tale destinazione con l’art. 4 del regolamento di condomini, che vieta l’uso degli immobili che possa causare pregiudizio al decoro, alla tranquillità ed alla decenza del fabbricato. E’ stata respinta anche la domanda di S.G. e N.E. finalizzata a mantenere la servitù di passaggio tra il lastrico di proprietà esclusiva ed il terrazzo condominiale, mancando prova della preesistenza del passaggio alla stregua delle risultanze peritali.
4. Il ricorso è stato deciso in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
4.1. I ricorrenti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vanno superate le eccezioni di inammissibilità avanzate dai controricorrenti, in quanto il ricorso per cassazione contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, le censure si rivelano connotate da sufficiente specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, ed altrettanto sufficiente è l’indicazione degli atti e dei documenti sui quali ognuna delle censure si fonda.
1. Il primo motivo del ricorso di S.G. e N.E. lamenta la violazione degli artt. 1120 e 1127 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. La Corte d’appello di Roma non ha ritenuto sussistente una differenza ontologica tra la lesione dell’aspetto architettonico (art. 1127 c.c.) e la lesione del decoro architettonico (art. 1120 c.c.). In assenza della concreta visibilità dell’opera, la sopraelevazione realizzata doveva ritenersi pienamente legittima. La sentenza impugnata avrebbe travisato le risultanze della CTU, che aveva reputato la costruzione di dimensioni piuttosto contenute e non visibile, “se non per un piccolo scorcio senza alcuna rilevanza ottica”.
Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 1120 e 1127 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte d’appello condotto il giudizio relativo all’impatto dell’opera di sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dall’immobile condominiale, inteso come struttura dotata di un aspetto autonomo e rispetto allo stato di fatto preesistente alla realizzazione della sopraelevazione. La sopraelevazione in questione, invero, avrebbe sostituito in modo migliorativo una preesistente struttura metallica fatiscente, risalente a trenta anni prima.
1.2. Il primo e il secondo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, perché connessi, e si rivelano del tutto infondati.
1.2.1. E’ noto come l’art. 1127 c.c., sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti.
L’aspetto architettonico, cui si riferisce l’art. 1127 c.c., comma 3, quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dall’art. 1120 c.c., comma 4, art. 1122 c.c., comma 1 e art. 1122 bis c.c., dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore. Il giudizio relativo all’impatto della sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale, e verificando l’esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindaqato di legittimità, se, come nel caso in esame, congruamente motivato (cfr. Cass. Sez. 6-2, 28/06/2017, n. 16258; Cass. Sez. 2, 15/11/2016, n. 23256; Cass. Sez. 2, 24/04/2013, n. 10048; Cass. Sez. 2, 07/02/2008, n. 2865; Cass. Sez. 2, 22/01/2004, n. 1025; Cass. Sez. 2, 07/02/1998, n. 1297; Cass. Sez. 2, 27/04/1989, n. 1947).
D’altro canto, questa Corte ha anche affermato che le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti, sono strettamente complementari e non possono prescindere l’una dall’altra, sicché anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista (Cass. Sez. 6-2, 12/09/2018, n. 22156; Cass. Sez. 6 – 2, 25/08/2016, n. 17350; si veda anche Cass. Sez. 6-2, 23/07/2020, n. 15675).
Ora, perché rilevi la tutela dell’aspetto architettonico di un fabbricato, agli effetti, come nella specie, dell’art. 1127 c.c., comma 3, non occorre neppure che l’edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicché la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia. Perciò deve considerarsi illecita ogni alterazione produttiva di tale conseguenza, anche se la fisionomia dello stabile risulti già in parte lesa da altre preesistenti modifiche, salvo che lo stesso, per le modalità costruttive o le modificazioni apportate, si presenti in uno stato di tale degrado complessivo da rendere ininfluente allo sguardo ogni ulteriore intervento. Ciò premesso, la Corte di Roma – in conformità ai principi sopra ricordati – ha riconosciuto che il manufatto di mq. 43,00 realizzato nel 2002 dai condomini S.G. e N.E. sul lastrico solare di loro esclusiva proprietà, per le caratteristiche costruttive e per l’ubicazione, ledeva sia il decoro architettonico sia l’aspetto architettonico dell’edificio condominiale di *****, il quale è di stile neoclassico ed in ottimo stato di manutenzione. La sopraelevazione, a giudizio della Corte di Roma, si connotava come un corpo estraneo, avulso dal contesto, ed era visibile per un breve tratto da *****, nonché dalle finestre dei condomini attori e da altri fondi privati. In tal modo, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione adeguata e pienamente condivisibile alla stregua del comune senso estetico, sottolineando come il manufatto disperdesse quella uniformità che attribuisce all’edificio un aspetto ancora ordinato e dignitoso. La preesistenza di una struttura di muro e di griglia metallica, dedotta nel secondo motivo di ricorso, non rende certamente ex se ininfluente la lesione attribuita al manufatto eretto nel 2002 e non ne può perciò costituire valida giustificazione, né è stata posta eccezione di prescrizione ventennale del diritto soggettivo reale dei condomini a far valere la alterazione dell’aspetto architettonico (Cass. Sez. 2, 05/10/2012, n. 17035; Cass. Sez. 2, 19/10/1998, n. 10334). Non rileva decisivamente nemmeno il distinguo che pongono i ricorrenti, secondo cui la sopraelevazione si trova sul retro del fabbricato, verso l’isolato, nascosta rispetto a *****, da questo non visibile se non per un breve tratto “d’infilata tra i distacchi”. Nell’ambito del condominio edilizio, tutte le facciate del fabbricato (ovvero, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile) contribuiscono a connotarne l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali, imprimendogli una fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico.
Sono altresì infondate le doglianze che invocano il parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché esso contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Tale ultimo attributo e’, nella specie, da negare, perché l’omesso esame di elementi istruttori non si risolve nella corretta prospettazione di un vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove i fatti storici siano stati comunque presi in considerazione nella sentenza impugnata, ancorché essa non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053).
La ricorrente intende indurre questa Corte ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie, e non ad un controllo di legittimità, sollecitando una nuova indagine di fatto rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato pregiudizio all’aspetto dell’edificio, e proponendo apprezzamenti difformi da quelli operati nella sentenza impugnata nell’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento e valutare le prove.
2. Il terzo motivo del ricorso di S.G. e N.E. allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del Regolamento condominiale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non avere i giudici ritenuto violata tale clausola, la quale fa divieto di fare uso degli appartamenti “contrario al decoro, alla tranquillità ed alla decenza”, nonostante fosse stato dimostrato che gli appartamenti delle controparti erano adibiti ad ufficio di casting per il reclutamento di attori e ad ufficio notarile per lo svolgimento di aste immobiliari.
2.1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile o comunque infondato.
Il regolamento di condominio non ha natura di atto normativo generale e astratto, ed è perciò inammissibile il motivo del ricorso per cassazione, quale quello in esame, col quale si lamenti la violazione o falsa applicazione delle norme di tale regolamento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12291; Cass. Sez. 6 – 2, 07/08/2018, n. 20567).
D’altro canto, la censura risulterebbe comunque infondata anche ove intesa come vizio della interpretazione del regolamento di condominio da parte del giudice del merito o come vizio della motivazione.
Le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività, configurano servitù reciproche. In tanto può allora ritenersi che un regolamento condominiale ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà, in quanto tali limitazioni siano enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocamente dall’atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Non appaga, pertanto, l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto della servitù costituita per negozio la formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio operata non mediante elencazione delle attività vietate, ma mediante generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (quali, nella specie, l’uso “contrario al decoro, alla tranquillità ed alla decenza del fabbricato”), da verificare di volta in volta in concreto, sulla base della idoneità della destinazione, semmai altresì saltuaria o sporadica, a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare (arg. da Cass. Sez. 2, 20/10/2016, n. 21307; Cass. Sez. 2, 07/01/2004, n. 23).
3. Il quarto motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione. Si assume che la Corte d’appello avrebbe rigettato la domanda di accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del diritto dei ricorrenti a mantenere la servitù di passaggio tra il lastrico di proprietà esclusiva ed il terrazzo condominiale travisando le risultanze peritali.
3.1. Il quarto motivo di ricorso impone un rilievo pregiudiziale. 3.2. La domanda di usucapione della servitù di passaggio tra il lastrico di proprietà esclusiva ed il terrazzo condominiale è stata rigettata dalla Corte d’appello per la mancanza di prova della preesistenza del passaggio a carico del condominio in favore dell’immobile dei ricorrenti, alla stregua delle risultanze peritali.
Il quarto motivo di ricorso richiama lo stralcio della CTU secondo cui il lastrico comune “appare per sua natura deputato a fornire comodi accessi al terrazzo individuale limitrofo, a prescindere che i convenuti avessero realizzato il collegamento diretto con l’appartamento sottostante”. Sono altresì riportati nella censura i capitoli della prova testimoniale dedotta per dimostrare l’esistenza da oltre trent’anni di un passaggio tra il lastrico di proprietà S. e N. e il terrazzo condominiale. Il mancato esame dello stralcio dell’elaborato peritale e la mancata assunzione delle prove testimoniali non avrebbero così consentito ai giudici del merito l’accertamento di un fatto potenzialmente decisivo per la pronuncia sulla domanda di usucapione della servitù di passaggio, quale la presenza di opere visibili e permanenti, obiettivamente destinate all’esercizio del passaggio per il tempo necessario ad usucapire (cfr. Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15447; Cass. Sez. 2, 31/05/2010, n. 13238).
Non può altrimenti questa Corte sopperire al riscontrato omesso esame in base ad una prognosi di non decisività delle prove indicate e di non fondatezza delle pretesa di usucapione, in quanto non è accertato in fatto che il terrazzo di proprietà esclusiva S. – N. ed il terrazzo condominiale fossero già originariamente strutturalmente e funzionalmente collegati, come presuppone l’art. 1117 c.c., sicché l’apertura del varco di accesso fra i due beni dovesse comunque valutarsi come esercizio del diritto di condominio, coi limiti di cui all’art. 1102 c.c., e non come esercizio di fatto di una servitù.
3.3. Peraltro, giacché i condomini S.G. e N.E., convenuti dall’amministratore del Condominio di ***** e dai condomini M.L., M.E., Me.Lu., P.A.F. e Acquedotti Tirreni s.p.a., proposero una domanda riconvenzionale, ai sensi degli artt. 34 e 36 c.p.c., diretta a conseguire la dichiarazione di costituzione per usucapione di una servitù gravante su una parte comune, non sussisteva al riguardo la legittimazione passiva dell’amministratore rispetto alla controdomanda, dovendo la stessa, giacché incidente sull’estensione del diritto dei singoli, svolgersi nei confronti di tutti i condomini, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale. Poiché tale domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere l’accertamento di una servitù su un bene di proprietà dei condomini, è stata proposta e decisa solo nei confronti dell’amministratore e di alcuni dei partecipanti al condominio, il contraddittorio non può ritenersi validamente instaurato, e, in difetto di giudicato esplicito o implicito sul punto, tale invalida costituzione del contraddittorio può essere denunciata o essere rilevata d’ufficio anche in sede di legittimità, ove gli elementi che rivelano la necessità del litisconsorzio emergano con evidenza dagli atti (ex multis, Cass. Sez. 2, 18/09/2020, n. 19566; Cass. Sez. 2, 21/02/2020, n. 4697).
3.4. Non può invero ritenersi che le decisioni nel merito intervenute al riguardo abbiano implicitamente accertato la regolarità del contraddittorio sulla domanda riconvenzionale di usucapione, con ciò imponendo – per il principio dell’assorbimento ex art. 161 c.p.c., comma 1 – la specifica impugnazione sul punto, in assenza della quale rimanga precluso il rilievo della non integrità nel giudizio di cassazione. Come illustrato da Cass. Sez. U., 20/03/2019, n. 7925, il giudicato su una questione pregiudiziale (quale è quella, che qui interessa, relativa all’integrità del contraddittorio) non può formarsi implicitamente qualora la stessa non sia stata sollevata né discussa dalle parti ed il giudice si sia limitato a decidere nel merito.
3.5. Va peraltro rimessa al giudice di primo grado unicamente la domanda riconvenzionale volta alla dichiarazione di usucapione, decisa a contraddittorio non integro, non essendo la stessa collegata da una stretta e manifesta dipendenza rispetto alle altre domande, che sono state oggetto dei primi tre motivi di ricorso (arg. da Cass. Sez. 2, 28/09/2016, n. 19210; Cass. Sez. 2, 22/02/1979, n. 1142).
4. I primi tre motivi di ricorso vanno dunque rigettati, mentre, pronunciando sul quarto motivo di ricorso, la causa relativa alla domanda di usucapione della servitù di passaggio, ai sensi del combinato disposto dell’art. 383 c.p.c., comma 3 e art. 354 c.p.c., data la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei restanti condomini del Condominio di *****, deve essere rimessa al giudice di primo grado.
Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate con condanna in solido dei ricorrenti, previa compensazione in ragione di un terzo per la reciproca soccombenza, nell’importo liquidato in dispositivo.
Va negata la domanda dei controricorrenti ex art. 385 c.p.c., comma 4, potendosi escludere che il ricorso sia stato proposto con colpa grave, ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire coscienza della sua integrale infondatezza.
Per la natura della pronuncia resa, non sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, operando tale misura soltanto nel caso del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità.
PQM
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso e, pronunciando sul quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alla sola pronuncia sulla domanda di usucapione della servitù di passaggio e rinvia al Tribunale di Roma in persona di diverso magistrato; compensa per un terzo tra le parti le spese sostenute nel giudizio di cassazione e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti la frazione residua, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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