Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.33109 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 633/2017 proposto da:

F.T., e F.L., rappresentati e difesi dall’Avvocato DARIO ANDREOLI, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.E., rappresentato e difeso dall’Avvocato ERNESTO FIASCO, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3632/2016 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 7/6/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata del 14/7/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

1. Il tribunale, con sentenza del 2009, ha accolto la domanda che B.E., nella qualità di proprietario del terreno in *****, ed ha, per l’effetto, condannato F.V. e F.L., proprietari del fondo vicino, alla retrocessione fino al rispetto della distanza legale delle opere realizzate in violazione dei limiti di legge e, segnatamente, del fabbricato a due piani per civile abitazione, di due manufatti agricoli contigui, del locale garage seminterrato e della scala in muratura, nonché all’eliminazione delle servitù di affaccio e di veduta e al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 4.389,00, respingendo, invece, la domanda di usucapione proposta dai convenuti.

F.V. e F.L. hanno proposto appello chiedendo che, in riforma della sentenza del tribunale, fossero respinte le domande proposte dall’attore.

B.E. ha resistito all’appello, deducendo l’inammissibilità della questione relativa alla prevenzione in quanto sollevata per la prima volta solo in appello, e chiedendone il rigetto.

2. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

La corte, in particolare, dopo aver premesso che: – la consulenza tecnica d’ufficio, dalle cui risultanze non v’era motivo di discostarsi, ha accertato che gli immobili realizzati dal F. violano le distanze legali; – gli appellanti non hanno censurato le misurazioni indicate dal consulente, limitandosi a lamentare la mancata applicazione del principio della prevenzione desumibile dalle scritture private intercorse tra i danti causa, ha ritenuto che tale doglianza non poteva essere accolta.

Innanzitutto, ha osservato la corte, il criterio della prevenzione previsto dagli artt. 873 e 875 c.c, è derogato dal regolamento comunale edilizio allorché lo stesso fissi la distanza non solo tra le costruzioni ma anche delle stesse dal confine, poiché detta prescrizione ha lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l’onere della creazione della zona di distacco. Se, dunque, il regolamento edilizio stabilisce una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, tale prescrizione, ha aggiunto la corte, deve intendersi comprensiva di un implicito riferimento al confine dal quale, pertanto, chi costruisce per primo deve osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta, con la conseguente esclusione della possibilità di costruire sul confine e, quindi, della operatività del criterio della prevenzione.

In secondo luogo, ha proseguito la corte, le scritture private prodotte dall’appellante non spiegano alcun rilievo atteso che le prescrizioni contenute nel regolamento edilizio sono dettate a tutela dell’interesse generale al rispetto di un determinato assetto urbanistico e non sono, quindi, derogabili dai privati.

3. F.V. e F.L., con ricorso notificato il 20/12/2016, hanno chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

B.E. ha resistito con controricorso nel quale ha, tra l’altro, reiterato l’eccezione, già sollevata nel giudizio di secondo grado, di inammissibilità della deduzione con la quale gli appellanti solo nell’atto d’appello avevano invocato il criterio della prevenzione.

Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 873 e 875 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che, avendo il regolamento edilizio fissato una distanza minima tra le costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, tale prescrizione ha fatto implicitamente riferimento al confine con la conseguente preclusione all’operatività del criterio della prevenzione.

4.2. Così facendo, tuttavia, hanno osservato i ricorrenti, la corte d’appello ha erroneamente disatteso il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 10318 del 2016, secondo cui, al contrario, il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati in misura diversa rispetto a quella stabilita dal codice civile senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine.

5.1. Il motivo è fondato, con assorbimento del secondo.

5.2. In tema di distanze tra edifici, infatti, il principio della prevenzione è escluso solo in presenza di una norma del regolamento edilizio comunale che prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine, con lo scopo di ripartire equamente tra i proprietari confinanti l’obbligo di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni. Ne consegue che, in assenza di una siffatta previsione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione potendo il prevenuto costruire in aderenza alla fabbrica realizzata per prima, se questa sia stata posta sul confine o a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra fabbricati (Cass. n. 5146 del 2019).

5.3. Il principio della prevenzione, invero, si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella stabilita dall’art. 873 c.c. e tuttavia non imponga (come, evidentemente, ritenuto dalla corte d’appello, lì dove ha parlato di “implicito riferimento al confine”) una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874,875 e 877 c.c. (Cass. SU n. 10318 del 2016; più di recente, Cass. n. 22447 del 2019).

5.4. La sentenza pronunciata dalla corte d’appello, lì dove ha ritenuto che, ove il regolamento edilizio stabilisce una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, tale prescrizione, dovendosi intendersi comprensiva di un implicito riferimento al confine, esclude la possibilità di costruire sul confine e quindi l’operatività del criterio della prevenzione, non ha rispettato il predetto principio e si espone, come tale, alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.

5.5. Ne’ può rilevare l’eccepita inammissibilità della deduzione del criterio della prevenzione in quanto svolta solo nell’atto d’appello poiché, com’e’ noto, nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata abbia, sia pure implicitamente, risolto in senso sfavorevole alla parte vittoriosa una questione preliminare o pregiudiziale – com’e’ accaduto nel caso in esame, lì dove la corte d’appello, pur ritenendone l’infondatezza, ha, tuttavia, ritenuto ammissibile la deduzione in giudizio del criterio della prevenzione da parte degli appellanti – il ricorso per cassazione dell’avversario impone a detta parte, che intenda riproporre all’esame della Corte la questione stessa, di proporre ricorso incidentale (Cass. n. 6992 del 2006; Cass. n. 3261 del 2003; Cass. n. 8718 del 2004) in considerazione della struttura del giudizio di legittimità, il quale non è soggetto alla disciplina, dettata per l’appello, dall’art. 346 c.p.c., con la conseguenza che l’onere dell’impugnazione gravante sull’intimato va riferito non solo alla soccombenza pratica ma anche a quella teorica, e non può essere assolto con la sola riproposizione della questione con il controricorso (Cass. n. 5357 del 2002).

6. La sentenza impugnata dev’essere, quindi, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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