LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15780/2015 proposto da:
PROVINCIA SICULA CHIERICI REGOLARI CC.RR. MINISTRI DEGLI INFERMI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ARRIGO, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO SPINA;
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati GIANDOMENICO CATALANO, e LORELLA FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
e contro
RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., (GIA’ SERIT SICILIA S.P.A.);
– intimata –
avverso la sentenza n. 199/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 02/03/2015 R.G.N. 1272/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’
Stefano, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO 1. La Corte d’appello di Catania, in accoglimento dell’appello principale dell’Inail, respinto quello incidentale della Provincia Sicula dei Chierici Regolari (CC.RR.) Ministri degli Infermi (di seguito, per brevità anche Provincia Sicula) ha rigettato l’originaria opposizione proposta da quest’ultima avente ad oggetto il verbale di accertamento del 19 marzo 2003 e la successiva cartella di pagamento.
2. In discussione la natura (assistenziale continuativa o esclusivamente sanitaria) dell’attività resa dall’unità locale “*****”, facente capo all’Ente, la Corte di merito ha osservato come lo svolgimento di un’attività assistenziale (con applicazione della voce di tariffa “0312”) piuttosto che di un’attività sanitaria (con applicazione della voce tariffaria “0211”) emergesse già dalla denuncia di esercizio dell’attività medesima, con la quale l'***** veniva qualificato come “istituto scolastico per bambini subnormali”.
3. Secondo i Giudici, dunque, per stessa ammissione della parte debitrice, l’attività svolta non era assimilabile a quella delle strutture sanitarie perché non diretta alla semplice somministrazione di cure ma al soddisfacimento di bisogni sia primari (alimentazione, riposo, pulizia) che secondari (socializzazione, ricreazione, studio) oltre che sanitari e terapeutici; inoltre, dall’esame del verbale di accertamento, emergeva che l’originaria posizione assicurativa, assegnata a seguito della predetta denuncia, era stata classificata alla voce di tariffa “0110”, la cui declaratoria era relativa a strutture assistenziali (ospizi, pensionati, orfanotrofi, brefotrofi, istituti di correzione) e che, solo a seguito delle entrate in vigore delle nuove voci tariffarie in vigore dal 1 gennaio 2000, la posizione assicurativa era stata erroneamente riclassificata dalla sede Inail anziché nella voce “0312” corrispondente alla ex “0110” nella diversa voce “0211” riguardante le strutture sanitarie e che, proprio perché la riclassificazione era dipesa da un errore dell’Istituto, la sostituzione della voce tariffaria (da 0211 a 0312) e le conseguenti differenze sul premio di assicurazione da versare erano state considerate solo a partire dal mese successivo a quello del controllo amministrativo.
4. Con riferimento, inoltre, alla questione relativa all’estensione, a tutti i lavoratori della struttura, della tariffa propria dei medici e degli infermieri, la Corte territoriale ha osservato come tutto il personale avesse qualifiche e mansioni comportanti contatti con utenti portatori di disabilità e che, come tale, fosse estraneo alla tipologia di attività cui si riferiva la posizione assicurativa richiesta dall’ente, che riguardava, invece, esclusivamente il personale amministrativo che utilizzava macchine elettriche.
5. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso la Provincia Sicula sulla base di tre motivi, cui ha resistito l’INAIL con controricorso.
6. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020.
7. Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, perché nessuno di essi ha chiesto la trattazione orale.
9. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3- è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., in ordine all’accertamento giudiziale dell’attività svolta. Parte ricorrente contesta la classificazione operata dalla Corte territoriale ed assume che l’INAIL non avrebbe provato la natura assistenziale dell’attività.
10. Con il secondo motivo – sempre ai sensi dell’art. 2697 c.c. – è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., quanto all’accertamento del maggior rischio in capo ai lavoratori che, invece, la ricorrente assume privi di contatto diretto con ambienti di rischio.
11. I primi due motivi possono congiuntamente trattarsi, presentando analoghi profili di inammissibilità.
12. Come noto, la violazione della regola dettata dall’art. 2697 c.c., viene in rilievo nelle sole ipotesi in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della stessa (id est: della prova); è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico probatorio. Non sono, invece, pertinenti le censure formulate in relazione all’art. 2697 c.c., quando oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia espresso in ordine alle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i limiti di cui art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile (si veda, ex plurimis, Cass. n. 13395 del 2018).
13. Nell’ipotesi di causa, la Corte territoriale non ha deciso la controversia secondo la regola di scomposizione della fattispecie basata sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. Ha piuttosto ritenuto provato, sulla base delle risultanze di causa, da un lato, la natura assistenziale dell’attività svolta dall’unità locale della Provincia Sicula e, dall’altro, l’esposizione, da parte dei lavoratori, ad un rischio maggiore di quello proprio del personale amministrativo, in ragione del contenuto concreto della prestazione lavorativa, sicché non hanno influito sulla decisione né la distribuzione dell’onere probatorio né le conseguenze del suo mancato assolvimento.
14. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo. L’omissione è riferita al mancato esame del Decreto Assessoriale 13 marzo 1996, n. 18761, nella parte in cui si legge che: “L’Istituto Medico Psico Pedagogico “*****” (…)e’ iscritto all’albo regionale istituito presso questo Assessorato per la riabilitazione di n. 40 soggetti, in regime di seminternato, sub-normali recuperabili, di sesso maschile dai 12 anni in poi (…)”.
15. Per la parte ricorrente, la qualificazione come “Istituto Medico Psico Pedagogico” assumerebbe valore dirimente ai fini dell’accertamento della natura sanitaria dell’attività istituzionale.
16. Il terzo motivo è da respingere.
17. Secondo quanto più volte chiarito da questa Corte, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8054 del 2014; ex plurimis, tra le successive conformi, Cass., sez. lav. n. 12838 del 2020).
18. Deriva, come logico corollario, che il mancato esame di deduzioni istruttorie ovvero di documenti, da parte del giudice del merito (v. ex multis, Cass. n. 21210 del 2019), non vale a configurare il vizio in oggetto.
19. Nel caso di specie, a tacer d’altro, il documento di cui si assume il mancato esame costituisce al più un elemento istruttorio ma non un fatto decisivo ai fini dell’esito della lite.
20. La Corte di appello, nell’esercizio del potere di libera valutazione delle prove, ha espresso il giudizio di prevalenza della funzione assistenziale, rispetto a quella sanitaria, con il connesso diverso tasso di rischio, valorizzando criticamente altri e diversi elementi di prova. Ed in proposito, è utile ricordare che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (ex multis, Cass. n. 17786 del 2020).
21. Si tratta di un esito che la parte, con il ricorso per cassazione, non può rimettere in discussione, se non nei ristretti limiti di cui si è detto, qui non configurabili.
22. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
11. Sussistono i presupposti processuali per il pagamento, da parte della ricorrente, del doppio contributo, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 5.250,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021