LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18099-2019 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 31 (TEL *****), presso lo studio dell’avvocato SOLA VITO, rappresentata e difesa dall’avvocato ERRICHIELLO GIUSEPPE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2749/24/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA, depositata il 29/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.
RILEVATO
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Campania, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una sentenza CTP Napoli, che aveva accolto il ricorso del fallimento della s.r.l. “*****” avverso il diniego di rimborso IVA 2016; la CTR, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che la sentenza dichiarativa di fallimento coincidesse con il momento di cessazione dell’attività imprenditoriale, si che, con tale ultima sentenza, sorgeva l’obbligo dell’ufficio di effettuare il rimborso IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2.
CONSIDERATO
che il ricorso è affidato a due motivi;
che, con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30,35 e 54-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la mera dichiarazione di fallimento coincidesse, salvo i casi di esercizio provvisorio, con la cessazione dell’attività imprenditoriale; al contrario, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 individuava il presupposto del rimborso IVA per cessazione dell’attività nella effettiva conclusione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, circostanza che si formalizzava poi mediante la chiusura della partita IVA; il presupposto della cessata attività, al fine del rimborso IVA, si concretizzava, ai fini civilistici e fiscali, nell’esaurimento della fase di liquidazione della società e quindi, dal punto di vista sostanziale, con il termine degli atti gestionali e l’ultimazione della fase liquidatoria, inclusa la completa dismissione dei beni strumentali e, dal punto di vista formale, con la cancellazione dal registro delle imprese e la cessazione della partita IVA; per le procedure concursuali, la cessazione d’attività era da identificare con il momento in cui erano state ultimate le operazioni rilevanti ai fini IVA, a seguito della presentazione della dichiarazione di cessata attività, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35, comma 4, che non coincideva necessariamente con la dichiarazione di fallimento; quindi, anche con riferimento alle procedure concursuali, la conclusione delle operazioni fiscalmente rilevanti costituiva l’unico dato certo, idoneo ad identificare la fine dell’attività d’impresa, al di là del dato meramente formale della chiusura della partita IVA;
che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30, 35 e 54-bis ed art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto la curatela del fallimento della s.r.l. “*****” aveva presentato la comunicazione IVA periodica anche per l’esercizio 2017, si che a tutto il 2017 non potevano ritenersi cessate le operazioni rilevanti ai fini IVA; d’altra parte, al momento del fallimento della società anzidetta, si evinceva un valore di beni strumentali pari ad Euro 125.919,00, con conseguente mancanza di prova dell’effettiva cessazione dell’attività della società in questione al momento della sua dichiarazione di fallimento;
che il fallimento della s.r.l. “*****” si è costituito con controricorso ed ha altresì presentato memoria;
che va preliminarmente esaminata l’eccezione di giudicato interno, formulata dal fallimento resistente nelle sue controdeduzioni;
che l’eccezione anzidetta è fondata;
che, invero, il fallimento intimato ha riportato ampi stralci della sentenza emessa dalla CTP Napoli, dai quali emerge che il ricorso del fallimento della s.r.l. “*****” è stato accolto per essere stata ritenuta legittima la sua richiesta di rimborso IVA 2016 non solo ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, ma anche ai sensi del citato D.P.R., art. 30, comma 4; ora, l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate aveva riguardato esclusivamente l’osservanza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, nulla avendo essa dedotto con riferimento all’osservanza del citato D.P.R., art. 30, comma 4; dal che consegue che la statuizione della CTP Napoli, riferita all’accoglimento della domanda di rimborso IVA 2016, fatta dal fallimento della s.r.l. “*****”, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 4, è da ritenere ormai passata in giudicato (cfr. Cass. n. 12843 del 2017; Cass. n. 774 del 2015);
che, da quanto sopra, consegue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate per carenza di interesse, con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo;
che, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, trattandosi di amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non è applicabile il D.P.R. n. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 7.300,00, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021