LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16251-2020 proposto da:
N.F., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato VALENTINA MARSALA;
– ricorrente –
contro
N.A., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE ANGELO RIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1979/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 09/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/05/2021 dal Presidente Relatore Dott. LORENZO ORILIA.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
La proposta depositata dal Presidente-relatore è del seguente tenore:
“La Corte d’Appello di Palermo con sentenza 9.10.2019 ha respinto l’appello proposto da N.F. avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento (di rigetto della domanda di revindica di un terreno da lui proposta nei confronti del fratello A.), rilevando – per quanto qui interessa – che mancava agli atti di causa il titolo di proprietà dell’appellante, sicché non poteva ritenersi assolto l’onere probatorio relativo al terreno in contestazione.
Ricorre N.F. con due motivi, mentre N.A. è rimasto intimato.
Con un primo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione agli artt. 948 e 2697 c.c. per omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa: la Corte territoriale ha errato nel ritenere non prodotto agli atti il titolo di proprietà, essendo invece il documento presente nel fascicolo di parte. Ad avviso del ricorrente la sentenza è quindi “il frutto di un errore che ha condotto la Corte a confermare la sentenza di primo grado partendo da un presupposto inesistente”.
Con un secondo motivo denunzia la violazione degli artt. 948 e 2697 c.c. deducendo di aver dato la prova dell’esistenza di un valido titolo di acquisto e dell’appartenenza del bene rivendicato ad un comune dante causa (la madre P.C.), circostanza, questa, riconosciuta anche dal convenuto.
Il ricorso è inammissibile.
L’affermazione contenuta nella sentenza circa l’inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di documenti che, invece, risultino esservi incontestabilmente inseriti, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395, n. 4, c.p.c., e non di ricorso per cassazione (cfr. tra le varie, Sez. 5 -, Sentenza n. 1562 del 26/01/2021 Rv. 660223; Sez. L, Sentenza n. 19174 del 28/09/2016 Rv. 641388);
Nel caso in esame, come appare evidente dalla chiara formulazione del ricorso, il ricorrente rimprovera alla Corte territoriale proprio un tale tipo di errore, perché sostiene che il titolo di proprietà era depositato tra gli atti di parte e la Corte non se è avveduta, ponendo però tale errore a base del suo ragionamento.
Considerato che l’esistenza del documento in atti non risulta abbia mai costituito un punto controverso, lo strumento impugnatorio da utilizzare per censurare la sentenza era necessariamente la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e non già il ricorso per cassazione”.
Il Collegio condivide la proposta rilevando, però, che N.A. resiste con controricorso e pertanto l’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Sussistono le condizioni per il versamento dell’ulteriore contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021