Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33193 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9999-2020 proposto da:

M.D., I.F., M.A., rappresentati e di difesi dall’avvocato DANILO M.;

– ricorrenti –

contro

I.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 20535/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I.F., M.A. e M.D. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione n. 20535/2019, depositata il 30 luglio 2019. I.S., intimata, non ha svolto attività difensive.

Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e dell’art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.

I ricorreriti hanno depositato in modalità telematica memoria (costituita di quattro pagine di allegazioni difensive e di successive ventisei pagine di massime della giurisprudenza della Corte di cassazione) in data 7 giugno 2021, e dunque senza osservare il termine di cinque giorni di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

La sentenza della Corte di cassazione n. 20535/2019, depositata il 30 luglio 2019, accolse il quarto motivo del ricorso di I.S. contro la sentenza n. 1057/2015 della Corte d’appello di Catania, avente ad oggetto la questione della nullità della citazione e della sufficiente indicazione dei beni oggetto dell’azione di riduzione.

L’unico motivo del ricorso per revocazione, per violazione dell’art.. 366 c.p.c., n. 3 e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deduce che doveva essere rilevata dalla Corte di cassazione, d’ufficio o in adesione all’eccezione formulata nel controricorso, la inammissibilità del ricorso per la mancata esposizione dei motivi di appello, in maniera da consentire la verifica di un eventuale giudicato interno sul punto oggetto della censura in sede di legittimità.

La censura è inammissibile.

Per uniforme interpretazione, in materia di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, ovvero in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale. E’ invece inammissibile il ricorso ex art. 395 c.p.c., n. 4, ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione, ovvero l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati o, ancora, l’omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate (Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass. 09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181; Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass. Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022).

In particolare, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui una sentenza della Corte di cassazione non possa essere impugnata per revocazione in base all’assunto che essa abbia male valutato i motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. Sez. 6 – L, 03/04/2017, n. 8615; Cass. Sez. 6 – 3, 15/06/2012, n. 9835).

Dunque, la configurabilità dell’errore revocatorio è del tutto da escludersi quando, come nel ricorso in esame, si prospetti che la decisione della Corte di cassazione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, ovvero, in particolare, di un errato giudizio espresso dalla sentenza di legittimità sulla osservanza del cosiddetto “principio di autosufficienza” in ordine ai motivi di ricorso, per omessa esposizione sommaria dei fatti causa o omessa indicazione e trascrizione dei documenti su cui erano fondate le censure (Cass., Sez. 6 – 5, 3:1/08/2017, n. 20635; Cass. Sez. 2, 22/06/2007, n. 14608; Cass. Sez. 1, 23/05/2006, n. 12154).

D’altro canto, se è esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso o eccezioni del controricorso, deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura o come rilievi di inammissibilità, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto del ricorso o del controricorso e, quindi, un errore di giudizio.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Non deve provvedersi sulle spese del giudizio di revocazione, in quanto l’intimata non ha svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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