LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 30633/19 proposto da:
-) B.M., elettivamente domiciliato a Milano, via Lamarmora n. 42, presso l’avvocato Stefania Santilli, che lo difende in virtù
di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Brescia 6.9.2019 n. 4503;
udita la relazione della causo svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. B.M., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese per essere stato perseguitato dalla polizia a causa della propria militanza politica, ed essere stato altresì arrestato e detenuto in condizioni disumane.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento B.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Brescia, che la rigettò con decreto 6.9.2019.
Il Tribunale ritenne che:
-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto circostanze di vulnerabilità soggettiva e non sussistevano, e quanto alle circostanze oggettive in *****, pur essendovi (significative criticità) sotto il profilo dei diritti umani, queste “non sembrano tali da fare luogo ad una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.
3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da B.M. con ricorso fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto che il suo racconto fosse inattendibile.
Deduce che il Tribunale non avrebbe rispettato i “parametri” dettati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5; deduce che il Tribunale sarebbe pervenuto al giudizio di non credibilità “sulla base di un giudizio svolto da altri” e “basato su valutazioni personali”; che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere attendibile il richiedente per il solo fatto che questi aveva reso un racconto non contraddittorie verosimile.
2. Il motivo muove da principi di diritto erronei, e formula in ogni caso una censura inammissibile.
2.1. E’ innanzitutto erronea in punto di diritto l’affermazione secondo cui il giudice chiamato a decidere sulla domanda di protezione internazionale, debba accordare la richiesta misura sol perché il richiedente abbia formulato un racconto coerente e verosimile.
E’ vero, invece, esattamente il contrario: e cioè che i criteri di giudizio elencati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, sono indicativi e non tassativi: sicché al giudice di merito consentito reputare non credibile lo straniero che richieda protezione internazionale anche laddove il suo racconto soddisfi tutti i criteri suddetti, se ritenga che l’inattendibilità sia dimostrata da altre diverse fonti di prova, ivi compreso il contegno processuale della parte, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.; ed al contrario gli è consentito reputare attendibile un racconto incoerente e contraddittorio, se incoerenza e contraddittorietà riguardino aspetti marginali e non significativi (Sez. 1, Ordinanza n. 13138 del 14/05/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 13134 del 15/05/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 12702 del 12/05/2021; Sez. 1 -, Ordinanza n. 28782 del 16/12/2020, Rv. 660022 – 01).
2.2. In secondo luogo e’, prima che erronea, surreale, l’affermazione secondo cui un provvedimento giurisdizionale sarebbe viziato sol perché il giudice, nel formulare un giudizio di attendibilità di una parte, si sarebbe basato su “valutazioni personali”.
Ed infatti qualunque decisione giudiziaria è una “valutazione personale”.
Una valutazione che deve essere motivata, ma pur sempre una valutazione. E’ una “valutazione personale” – ad esempio – quella con cui il giudice reputa “non grave” l’inadempimento, per i fini di cui all’art. 1455 c.c.; è una “valutazione personale” quella con cui il giudice reputa equa ex art. 1226 c.c. una certa misura di risarcimento del danno; è una “valutazione personale” quella con cui il giudice reputa attendibile od inattendibile un testimone; è una “valutazione personale” quella con cui il giudice presume che il reo si asterrà dal commettere ulteriori reati, ex art. 164 c.p..
Allo stesso modo, sarà sempre in base ad una “valutazione personale” che il giudice di merito valuterà se il richiedente asilo – ad es. – sia o non sia attendibile, sia o non sia omosessuale, professi o non professi il credo religioso che assume essere stata la causa della sua persecuzione.
Al giudice di merito, pertanto, nella presente sede di legittimità, non potrà mai ascriversi, quale error in iudicando o in procedendo, di avere valutato l’attendibilità del richiedente in base ad una “opinione personale”, perché questo equivarrebbe ad addebitargli come errore quel che invece costituisce la quidditas della sua funzione (Sez. 1, Ordinanza n. 28782 del 16/12/2020, Rv. 660022 – 01).
Al giudice di merito si potrà addebitare nella presente sede soltanto di avere espresso una opinione immotivata: censura, tuttavia, ammissibile nei soli limiti stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la già ricordata sentenza n. 8053 del 2014: e cioè non già quando la motivazione sia perfettibile, ma solo quando sia mancante del tutto, apodittica, totalmente incomprensibile o insuperabilmente irrazionale.
2.3. In ogni caso, quel che più rileva, il motivo è inammissibile perché il ricorrente, dietro la formale denuncia di una violazione di legge, nella sostanza censura un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, quale è lo stabilire se una persona sia sincera o insincera;
apprezzamento per di più, nel caso di specie, adeguatamente motivato. Il giudice di merito, infatti, ha ritenuto indice di inattendibilità la circostanza che il richiedente conoscesse a menadito informazioni facilmente reperibili sul Web, e ignorasse invece completamente circostanze di fatto conoscibili solo da chi avesse avuto esperienza diretta di una detenzione carceraria. Un è una motivazione, dunque, logica e razionale.
Lo stabilire, poi, se sia anche corretta nel merito è questione esulante dal perimetro del giudizio di legittimità.
2. Col secondo motivo il ricorrente censura il rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c). Il ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe assolto l’onere di cooperazione istruttoria, né quello di “valutare l’individualità del pericolo per il ricorrente” in caso di rimpatrio.
2.1. Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha escluso la sussistenza in ***** di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato sulla base di fonti attendibili ed aggiornate.
L’inattendibilità del richiedente, poi, esonerava la corte dal dovere compiere approfondimenti istruttori diversi ed ulteriori rispetto all’accertamento della situazione di conflitto armato.
3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Nella illustrazione della censura il ricorrente sostiene che il Tribunale da un lato ha riconosciuto esistente nel paese di origine del ricorrente un contesto di permanente violazione dei diritti fondamentali, ma dall’altro ha omesso un adeguato vaglio di tali condizioni ai fini della protezione umanitaria, sottovalutando il rischio che il ricorrente possa subire trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio.
3.1. Il motivo è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).
Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del paese di provenienza del richiedente.
Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.
3.2. Da ciò discendono due corollari.
Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dalla persona che chieda la protezione umanitaria impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.
E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.
3.2. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertata d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente (a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente).
3.4. Ciò premesso in punto di diritto, rileva la Corte che nel caso di specie il Tribunale, dopo avere escluso – con giudizio non sindacabile in questa sede la sussistenza di condizioni soggettive di vulnerabilità, ha escluso altresì la sussistenza nel caso di specie di condizioni oggettive di vulnerabilità, così motivando: “per quanto riguarda i fattori oggettivi (di vulnerabilità) si osserva che la situazione della ***** (come quella di molti altri paesi, africani e non) presenta certamente significative criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona. Tali criticità, tuttavia non sembrano tali da dare luogo a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.
3.5. Così motivando, il Tribunale è effettivamente incorso nelle mende censurate dal ricorrente, e tra le altre due in particolare.
Il primo errore è consistito nell’avere rigettato la domanda di protezione umanitaria senza avere previamente accertato ex officio se le condizioni il Paese di provenienza del richiedente espongano quest’ultimo, in caso di rimpatrio, al rischio di una violazione dei suoi diritti inviolabili al di sotto del nucleo irriducibile, come stabilito dalle SS.UU. di questa Corte con la già ricordata sentenza n. 29459/19.
Infatti le informazioni sul Paese di provenienza, pur acquisite dal Tribunale, per come riassunte nel decreto impugnato riguardano unicamente le circostanze rilevanti ai fini della concessione della protezione sussidiaria (e cioè la sussistenza o meno di un conflitto armato generalizzato).
Il decreto tuttavia non dà conto se quelle fonti si occupino anche della condizione dei diritti umani essenziali in *****, e quale situazione ne emerga.
Il secondo errore è consistito nell’avere adottato una motivazione inferiore a quel “minimo costituzionale” al di sotto del quale, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, i provvedimenti giurisdizionali devono ritenersi nulli ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Affermare, infatti, da un lato che nel paese di provenienza del richiedente asilo esistono “significative criticità” nel rispetto dei diritti inviolabili, ed aggiungere dall’altro lato che tali criticità non diano luogo ad una “vera e propria emergenza umanitaria”, è affermazione inesaustiva e ambigua.
E’ inesaustiva, perché l’espressione “significative criticità” ha un contenuto semantico di sconfinata latitudine, potendosi spingere ad abbracciare le ipotesi più disparate: violazione della libertà di espressione, limitazione dell’habeas corpus; privazione del diritto alle cure, e via dicendo.
La suddetta espressione è altresì ambigua, in quanto la violazione dei diritti umani che legittima una domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non necessariamente deve essere di intensità tale da raggiungere il grado di “emergenza umanitaria generalizzata”.
4. Il decreto va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Brescia, in differente composizione, il quale tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, indagando ex officio sulla esistenza o meno in ***** di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, e sulla possibilità che il richiedente in caso di rimpatrio possa esservi esposto.
5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
PQM
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021