Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33227 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31310/19 proposto da:

-) A.A., elettivamente domiciliato a Roma, via Niccolò

Machiavelli n. 25, presso l’avvocato Emilio Sanchez de las Heras, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 22.9.2019 n. 7576;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. A.A., cittadino ghanese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto, avendo avuto una relazione sentimentale contrastata dal padre della ragazza, quest’ultima si tolse la vita; in conseguenza di tale tragico evento il padre della ragazza, poliziotto di professione, si mise a ricercarlo per arrestarlo “o, peggio, per vendicarsi” (così il ricorso).

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento A.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 22 settembre 2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non era integrato in Italia e non era esposto nessun vizio in caso di rimpatrio.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da A.A. con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura il decreto del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il suo racconto.

Deduce che erroneamente il tribunale ha escluso la sussistenza di rischi per il richiedente in caso di rimpatrio; erroneamente ritenuto generico il suo racconto; erroneamente ha trascurato di considerare le difficoltà incontrate nel rievocare dinanzi alla commissione territoriale il proprio drammatico vissuto; erroneamente ha trascurato di convocare l’interessato per sottoporlo ad un nuovo interrogatorio.

1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.

Stabilire, infatti, se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte; né a tale secolare principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale;

Infatti il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, consente al giudice della protezione internazionale di considerare veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; ha presentato la domanda di protezione il prima possibile; si presenti come attendibile.

Ma va da sé che il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perché il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

1.2. Nel caso di specie il tribunale, lungi dal venire meno al rispetto dei criteri di giudizio stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, ha fondato il proprio giudizio di inattendibilità su una motivazione ampia, argomentata e condivisibile, fondata su due elementi oggettivi ed inoppugnabili: da un lato, la divergenza tra quanto dichiarato nella domanda di amministrativa di protezione internazionale e quanto dichiarato dinanzi al tribunale, e dall’altro l’avere mentito sinanche sulle proprie generalità.

2. Il secondo motivo, formalmente rubricato “violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 14”, contiene varie censure fra loro frammiste e non del tutto chiare.

Nella illustrazione del motivo il ricorrente sostiene che il tribunale avrebbe violato il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 perché non avrebbe tenuto conto delle “numerose criticità che si registrano nel territorio *****” (?); Non avrebbe tenuto conto del fatto che in ***** vengono violati i diritti umani; avrebbe erroneamente escluso la sussistenza in ***** di una condizione di guerra.

2.1. Il motivo, che la corte ritiene di dover qualificare d’ufficio come impugnazione del rigetto della domanda di protezione sussidiaria, è infondato.

Con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), il motivo è manifestamente infondato, dal momento che, avendo il Tribunale escluso l’attendibilità del richiedente, ha per ciò solo escluso anche la sussistenza di una condotta persecutoria in suo danno.

Con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il motivo è infondato in quanto il Tribunale ha escluso la sussistenza in ***** di una situazione di guerra citando fonti attendibili ed aggiornate.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Deduce che il Tribunale non avrebbe adeguatamente compiuto il giudizio di comparazione fra la situazione del paese di origine e quella raggiunta in Italia.

3.1. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).

Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del paese di provenienza del richiedente.

Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.

3.2. Da ciò discendono due corollari.

Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dal richiedente protezione impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.

E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.

3.3. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertata d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente (a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente).

3.4. Nel caso di specie, il Tribunale non si è attenuto a questi principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Infatti il Tribunale ha correttamente accertato ex officio se in ***** sussista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, ma altrettanto non ha fatto al fine di accertare se i diritti inviolabili della persona siano o non siano, nel paese di provenienza del richiedente, gravemente compromessi in modo intollerabile.

Il Tribunale infatti ha negato la sussistenza di condizioni oggettive di vulnerabilità del richiedente, affermando che questi nel caso di rimpatrio non si troverebbe esposto a rischi di sorta, sulla base degli elementi “già compiutamente analizzati in precedenza”.

Gli elementi “già compiutamente analizzati in precedenza”, tuttavia, sono rappresentati da fonti di informazione dalle quali il Tribunale ha tratto la conclusione della insussistenza in ***** di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Da quelle fonti, tuttavia, quale che ne fosse l’effettivo contenuto, il Tribunale non ha tratto alcuna informazione, che sia stata esposta in motivazione, concernente la tutela dei diritti umani.

3.5. Il decreto va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Potenza, in differente composizione, il quale tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, indagando ex officio sulla esistenza o meno nel Paese di provenienza del richiedente di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, e sulla possibilità che il richiedente in caso di rimpatrio possa esservi esposto.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;

(-) accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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