LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8160-2019 proposto da:
RCS MEDIAGROUP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE TRIFIRO’, MICHELE CARPINELLI, GIACINTO FAVALLI, SILVIO MARTUCCELLI, PAOLO ZUCCHINALI;
– ricorrente principale –
contro
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA UBERTI, PAOLO TOSI;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
nonché contro RCS MEDIAGROUP S.P.A.;
– ricorrente principale – controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1030/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/08/2018 R.G.N. 867/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Milano con la sentenza n. 1030/2018 aveva parzialmente accolto il gravame di C.G. avverso la decisione con cui il locale tribunale aveva ritenuto legittimo il recesso adottato da RCS Media Group spa con riferimento al rapporti di lavoro con il predetto ricorrente. La Corte territoriale aveva escluso la sussistenza della giusta causa del recesso poiché il C., nella sua posizione di amministratore delegato di RCS Sport, piccola società del gruppo RCS, non aveva nessuna funzione di controllo diretto della amministrazione della “piccola cassa”, gestita dalla dipendente B. e sottoposta al controllo diretto della holding del gruppo.
La Corte riconosceva il diritto del C. all’indennità fissa ed alla incidenza di tale emolumento sul TFR, nella rispettiva misura di Euro 281.562,48 ed Euro 20.856,48.
Allo stesso tempo la Corte di appello, pur esclusa la giusta causa nel recesso, riteneva comunque sussistente la giustificatezza dello stesso, poiché proprio la posizione apicale ricoperta dal C. rendeva lo stesso gerarchicamente responsabile della scorretta gestione della cassa ad opera dei dipendenti B. ed A.. A ciò conseguiva l’infondatezza della domanda relativa alla indennità supplementare. Ugualmente infondata, per carenza di prova sulla responsabilità datoriale, la domanda relativa al danno all’immagine professionale vantato dal C..
Avverso detta decisione RCS Mediagroup spa proponeva ricorso affidato a due motivi, cui resisteva con controricorso C.G., anche contenente ricorso incidentale affidato a due motivi. RCS Mediagroup spa depositava memoria per resistere al ricorso incidentale.
La Procura Generale ha depositato le proprie conclusioni ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modifiche dalla L. n. 176 del 2020, chiedendo l’accoglimento del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità o rigetto di quello incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)-Con il primo motivo la società censura (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riguardo alla insussistenza della giusta causa del licenziamento. In particolare si duole della erronea e parziale lettura delle mansioni e dei compiti del dirigente con riferimento alle specifiche contestazioni a lui mosse.
Le omesse valutazioni hanno riguardo, specificamente, alla funzione di controllo di primo livello attribuita, attraverso la linea gerarchica, alle figure apicali della società e dunque al C., quale amministratore delegato, anche investito, unitamente al Direttore generale, della sottoscrizione della relazione annuale attestante l’applicazione e la valutazione del sistema di controllo interno contabile. L’omissione è denunciata anche in riferimento alla mancata valutazione delle firme apposte dal C. su mandati di pagamento, quale evidente prova del suo diretto coinvolgimento in operazioni contabili e di cassa, nonché ai mancati controlli pur a seguito delle segnalazioni di irregolarità ricevute dal Presidente del Comitato ODI. 2)- Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104,2105,2119 e 2697 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 3 della L. n. 300 del 1970, art. 7 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver, la corte territoriale, effettuato una parziale ed errata lettura del materiale probatorio, in particolare ignorando del tutto i risultati della ctu disposta in primo grado di accertamento delle sottoscrizioni delle fatture emesse dal Comitato ODI e della loro riferibilità al C..
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto afferenti, entrambi, alla valutazione di merito svolta dalla Corte territoriale.
La decisione della Corte territoriale, per la parte interessata alle attuali censure (assenza di giusta causa), fonda il proprio convincimento sulla assenza di una funzione di controllo contabile attribuita al C., essendo questa funzione direttamente svolta dalla RCS Mediagroup attraverso un preposto (Dott. F.). A tale ragione di convincimento la Corte di merito aggiunge anche la circostanza che ogni autorizzazione di spesa o di ordini transitava presso il direttore generale con esclusione, pertanto, di diretto coinvolgimento del C..
Il contenuto delle censure evidenzia come le stesse siano dirette a contestare le dette valutazioni e ad indicare omissioni di giudizio su fatti ed elementi di riscontro. I vizi lamentati attengono, infatti, ad una denuncia di parziale lettura degli elementi di fatto acquisiti nel processo.
A riguardo deve premettersi che il potere di controllo attribuito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio denunciato ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa.
Esclusa pertanto ogni “ordinaria” rivalutazione degli elementi di fatto acquisiti nel processo, deve richiamarsi la funzione assegnata dall’ordinamento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012); esso introduce un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017).
La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta polché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).
Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.
Siffatte circostanze non sono presenti nei motivi proposti che, in modo esplicito, complessivamente, lamentano la parzialità della lettura dei fatti allegati dai quali dovrebbe invece risultare, con completezza di esame, una situazione di inadempienza del C. ai suoi doveri di controllo. In essi non è indicato un fatto storico o un documento specifico capace di modificare radicalmente il giudizio svolto. Con evidenza di argomentazioni, il giudizio espresso dal giudice di appello si è fondato su di una congerie di elementi e su un quadro articolato di risultanze nel quale la singola omessa considerazione di talune di esse, se non specificamente determinante (e tale non è stata rappresentata), nulla potrebbero modificare.
A tale valutazione non si sottrae neppure il riferimento alla mancata considerazione della ctu svolta ed ai suoi risultati, in quanto, come detto, il giudizio di merito è stato fondato su un complessivo e articolato quadro probatorio in cui il singolo elemento non è stato rappresentato come capace di confutare l’intero assetto decisorio.
Il ricorso principale deve pertanto ritenersi inammissibile.
3)- Con il primo motivo del ricorso incidentale il C. ha dedotto la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in connessione con gli artt. 1175,1375 e 2119 c.c., nonché art. 2697 c.p.c., (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per la errata valutazione circa la tardività della contestazione. Si duole, il ricorrente, della valutazione adottata dalla Corte di appello unicamente fondata sulla incertezza dei tempi di conoscenza delle criticità contabili come desunti dalle dichiarazione della teste S.. Lamenta la mancata valorizzazione delle ulteriori risultanze istruttorie.
Il motivo è inammissibile poiché, pur invocando il vizio di violazione di legge, in realtà contesta la valutazione degli elementi probatori, incorrendo, anche in tal caso, nella inammissibile richiesta di una nuova valutazione degli elementi probatori.
4) – L’ulteriore motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 27 ccnl dirigenti e dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3 con riguardo alla ritenuta giustificatezza del licenziamento. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Il C. si duole della valutazione circa le ragioni giustificative del recesso datoriale, rilevando che lo stesso era stato disposto in violazione di principi di correttezza e buona fede perché assente la riferibilità a lui dei fatti imputati.
Il motivo, pur richiamando formalmente la violazione di legge, fa riferimento, ancora una volta, alla valutazione svolta dal giudice d’appello. La sentenza ben evidenzia la distinzione tra giustificatezza del licenziamento del dirigente e giusta causa del recesso, (Cass. n. 5671/2012), spiegando come risultino sussistenti elementi, che escludano arbitrarietà nella scelta datoriale e attestino la ragionevolezza della stessa. A riguardo questa Corte ha chiarito che “Ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, atteso che non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente”. (Cass. n. 6110/2014; Cass. n. 34736/2019).
La valutazione del giudice d’appello, ancorata ai principi esposti, risulta quindi espressione di un giudizio di merito estraneo ad una rivisitazione in sede di legittimità. Il ricorso incidentale deve quindi essere dichiarato inammissibile.
La reciproca soccombenza determina la compensazione delle spese.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Spese compensate tra le parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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