LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3293-2016 proposto da:
SOLAGRITAL sOCIETA’ COOPERATIVA A R.L. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA YSER n. 8, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO MARTELLINI, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO MAZZUOLI;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 165/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 27/10/2015 R.G.N. 422/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 dal Consigliere Dott. CALAFIORE DANIELA;
udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato VITTORIO MARTELLINI per delega verbale Avvocato STEFANO MAZZULI;
udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 19 giugno 2015, la Corte d’appello di Campobasso ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato le tre opposizioni a cartelle di pagamento proposte da SOLAGRITAL società Cooperativa ed il ricorso per l’accertamento negativo del credito contributivo preteso dall’INPS, con richiesta di condanna alla ripetizione nei confronti dell’Istituto di quanto versato a titolo di contributi per la quota parte a carico datoriale, in relazione al proprio personale dipendente in forza a tempo determinato e indeterminato, in forza dello sgravio per i territori montani previsto dalla L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8.
2. La Corte territoriale, richiamando Cassazione n. 19420 del 2013, in tema di agevolazioni e benefici contributivi previsti per le imprese e i datori di lavoro aventi sede ed operanti nei comuni montani, ha affermato che la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dal D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 e, poi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 9 e non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla L. 11 marzo 1988, n. 67, che ha fatto riferimento solo alla definizione di territori montani contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – doveva considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che la previsione di un regime generalizzato di totale esenzione contributiva era stato abbandonato dal legislatore a partire dalla citata L. n. 67 del 1988; pertanto, in conformità al D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 3, lett. d), il suddetto art. 8 non poteva essere incluso, atteso il carattere meramente ricognitivo dell’intervento legislativo, fra le norme “salvate” dal D.Lgs. n. 179, e la ricomprensione nell’Allegato 1 voce n. 1266 della L. n. 991 del 1952, tra le disposizioni specificamente indicate da “mantenere in vigore” si doveva considerare tamquam non esset sulla base di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (art. 3 Cost.), del rispetto dei principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 Cost.), e alla luce anche dell’art. 44 Cost., comma 2.
3. Per la cassazione di tale decisione, ha proposto ricorso la società affidato ad un motivo, cui ha resistito l’INPS con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8; L. n. 1102 del 1971, art. 12, ultimo comma; D.L. n. 942 del 1977, artt. 7 ed 8; D.L. n. 402 del 1981 art. 13 come modif. dalla L. n. 537 del 1981; L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, comma 5; D.L. n. 112 del 2008, art. 24; D.Lgs. n. 212 del 2010; D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1;
cì si duole del fatto che la motivazione della sentenza sia stata limitata alla mera riproduzione dell’unico precedente di legittimità in tal modo sottovalutando il complesso quadro normativo rilevante per la risoluzione della questione.
si deduce la non conformità a diritto dell’orientamento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’intervenuta abrogazione della L. n. 991 del 1952, art. 8, nella parte in cui prevede l’esenzione totale dall’obbligo contributivo nei confronti del personale operaio dipendente da imprese agricole occupato nei territori qualificati montani e vengono ribadite le censure sollevate in sede di gravame avverso l’analoga conclusione cui era pervenuto il primo giudice con conseguente nullità dell’impugnata a sentenza.
5. Il motivo di ricorso è infondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata vada integrata nei termini che seguono.
6. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 182 del 2018, ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1 gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14), nella parte in cui dichiara, alla voce n. 1266 dell’Allegato 1, la permanenza in vigore della L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 (Provvedimenti in favore dei territori montani), quanto all’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura perché, al momento dell’adozione da parte del Governo del decreto legislativo “salva-leggi”, la L. n. 991 del 1952, art. 8, era già stato oggetto di abrogazione implicita, sicché la norma impugnata che lo esclude dalla portata dell’effetto abrogativo di cui alla L. n. 246 del 2005, art. 14, comma 14-ter, si pone in contrasto con l’art. 14, comma 14, lett. a), della medesima legge ed è viziata, conseguentemente, per eccesso di delega.
7. Il giudice delle leggi ha, invero, chiarito:
– che il legislatore delegante, con il principio e criterio direttivo di cui alla L. n. 246 del 2005, art. 14, comma 14, lett. a), ha chiamato il Governo – nell’attività di ricognizione, prima, e di eventuale “salvezza”, poi, delle disposizioni legislative pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970 e ancora vigenti – a una reiterata valutazione, volta a volta, circa la compatibilità, o non, delle norme da “salvare” con norme successive, per escluderne la già avvenuta abrogazione tacita;
– che non poteva nutrirsi alcun dubbio sull’avvenuta abrogazione tacita, antecedentemente all’emanazione del D.Lgs. n. 179 del 2009, della L. n. 991 del 1952, art. 8, come ha già riscontrato la Corte di cassazione, dapprima con la sentenza 22 agosto 2013, n. 19420 e, poi, con la sentenza 20 aprile 2016, n. 7976 e con l’ordinanza 22 marzo 2018, n. 7214 i cui passaggi essenziali erano i seguenti: 1) il citato art. 8 aveva un duplice contenuto, prevedendo, da un lato, agevolazioni fiscali per i territori montani e, dall’altro, l’esenzione dal pagamento dei contributi agricoli unificati “per i terreni situati ad una altitudine non inferiore ai 700 metri sul livello del mare”; 2) del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 (Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), dettando una nuova disciplina in materia, avevano tacitamente abrogato il richiamato art. 8 per la parte relativa alle agevolazioni fiscali; 3) la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 370 del 1985, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 8 nella parte in cui non prevedeva l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura anche per i terreni compresi in territori montani ubicati ad altitudine inferiore ai 700 metri sul livello del mare; 4) la L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, comma 5, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato (legge finanziaria 1988)” – anche nel testo frutto della sostituzione ad opera della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 9, comma 5 (Interventi correttivi di finanza pubblica) reca una generale disciplina di sgravi contributivi per le imprese agricole in territori montani, la quale ha implicitamente sostituito l’esenzione di cui alla L. n. 991 del 1952, art. 8, con tale sistema di sgravi contributivi;
– che la conclusione cui era giunto il giudice della nomofilachia doveva essere, per questa parte, integralmente condivisa in quanto sussisteva, in effetti, assoluta incompatibilità tra le norme ricavabili, per un verso, dalla L. n. 991 del 1952, art. 8 e, per un altro, dalla L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5: per una medesima fattispecie – i contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo – le due norme ponevano conseguenze giuridiche inconciliabili, tali che l’applicazione dell’una non poteva che comportare la non applicazione dell’altra;
– la norma risalente al 1952 prevedeva, infatti, un regime di esenzione totale dal pagamento di tali contributi a favore dei datori di lavoro agricolo operanti in territori montani (senza che più rilevasse, all’indomani della sentenza n. 370 del 1985 di questa Corte, la quota altimetrica del territorio montano); la più recente norma del 1988, anche nel testo risultante dalla sostituzione ad opera della L. n. 537 del 1993, art. 11, ha introdotto, invece, una disciplina non di esenzione, ma in base alla quale “i premi ed i contributi relativi alle gestioni previdenziali ed assistenziali, dovuti dai datori di lavoro agricolo per il proprio personale dipendente, occupato a tempo indeterminato e a tempo determinato nei territori montani”, sono fissati in misura ridotta rispetto a quella ordinaria.
8. Inoltre, la Corte Costituzionale ha anche precisato come non potesse essere sostenuto che la richiamata giurisprudenza di legittimità non avrebbe tenuto conto della “necessaria distinzione tra le varie categorie di dipendenti precisata dal legislatore nelle due disposizioni” perché, nella prospettiva della parte privata, la L. n. 991 del 1952, art. 8, avrebbe trovato applicazione soltanto in relazione agli operai che svolgevano l’attività nei territori montani, in quanto “categoria maggiormente penalizzata dalla particolare situazione di quel territorio”, mentre per le altre categorie di lavoratori, che erano già soggette a contribuzione, la L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5, avrebbe introdotto il sistema di sgravi contributivi. Invero, il richiamato art. 8, contrariamente a quanto sostenuto dalla società agricola, prevedeva l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura non in riferimento ai soli operai, ma a tutto il personale dipendente delle imprese operanti in territori montani; la L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5, a sua volta, si riferisce ai contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo per il personale dipendente nei territori montani, senza fare alcuna distinzione tra categorie di lavoratori, ma anzi espressamente precisando che il regime di favore vale per il personale occupato tanto a tempo determinato quanto a tempo indeterminato.
9. Dunque la Corte territoriale, nella sostanza, ha correttamente richiamato l’orientamento giurisprudenziale prevalente espresso da questa Corte in merito alla vigenza o meno della L. n. 991 del 1952, art. 8, condividendone le argomentazioni riportate in motivazione (confermate ulteriormente da Cass. nn. 24978/2019; 24155/2019; 25574/2019; 11508/2016; 13708/2015).
10. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
11. Le spese del presente giudizio vanno compensate in ragione del fatto che l’intervento della Corte Costituzionale sopra ricordato è successivo alla proposizione del ricorso per cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021