Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33289 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25917/2014 R.G. proposto da:

P.G., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso introduttivo, dall’Avv. Raffaele Musella e con questi elettivamente domiciliato in Roma, via Ottaviano n. 9, presso lo studio dell’Avv. Claudia D’Alessandro;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente con atto di costituzione –

Avverso la sentenza n. 2760/44/14 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 19 marzo 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto da P.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli la quale aveva dichiarato inammissibile il ricorso spiegato dal contribuente avente ad oggetto l’avviso di accertamento num. *****, recante determinazione di maggior reddito IRPEF per l’anno d’imposta 2004.

2. Ricorre per cassazione il contribuente, affidandosi a due motivi; l’intimata Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione finalizzato alla partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo mezzo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si lamenta l’errore di diritto in cui è incorsa la sentenza impugnata nel dichiarare inammissibile il ricorso del contribuente per omessa allegazione dell’atto impugnato, in violazione del disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22 che non prevede tale sanzione per la descritta evenienza.

4. Con il secondo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che “l’errata indicazione dell’atto impugnato nel ricorso, qualora l’atto abbia raggiunto lo scopo, non determina l’inammissibilità del ricorso”.

In dettaglio, il ricorrente deduce che nel giudizio di prime cure, per errore materiale, era stato indicato in ***** il numero dell’avviso di accertamento impugnato, in realtà non corrispondente ad alcun atto notificato al contribuente, dacché l’avviso relativo all’anno d’imposta 2004 recava il n. 9010701534, annullato peraltro con altra sentenza della C.T.R. della Campania, passata in giudicato;

l’avviso in realtà impugnato era quello distinto dal n. *****, inerente all’annualità 2005 ed allegato ab origine al fascicolo di parte.

Diversamente da quanto affermato nella sentenza gravata, si trattava dunque di un mero lapsus calami, non inducente alcuna incertezza sull’oggetto della domanda (tant’e’ vero che l’A.F. si era difesa nel merito in ordine all’accertamento relativo all’anno 2005), da cui non poteva discendere l’inammissibilità del ricorso.

5. Le censure – suscettibili di congiunta disamina poiché avvinte da stretta connessione – non meritano accoglimento.

Per dare conto della conclusione ora enunciata, occorre prendere le mosse dal percorso argomentativo seguito nella gravata sentenza.

Il giudice d’appello, rilevato (in fatto) che “nel ricorso introduttivo il P. ha chiaramente individuato come atto impugnato l’avviso di accertamento numero RE *****, aggiungendo nel corpo del ricorso che l’atto concerneva il mancato pagamento dell’imposta dei redditi delle persone fisiche relativo all’anno 2004” e verificato che “il provvedimento allegato reca il diverso numero RE ***** ed ha ad oggetto (…) il diverso anno d’imposta 2005”, ha escluso, con nettezza, la commissione nella vicenda di un errore materiale.

Con la seguente motivazione: “risulta evidente dalla lettura del ricorso che il P. con lo stesso ha inteso specificamente impugnare proprio il provvedimento il cui numero risulta riportato nel corpo del ricorso, atteso che le contestazioni concernono specificamente il maggior reddito accertato per l’anno 2004 (e non 2005 cui fa riferimento invece il provvedimento allegato)”.

Detta argomentazione – in tutta evidenza centrale nell’iter logico giuridico della decisione in esame – non è stata confutata in maniera idonea dal ricorrente: questi, senza addurre specifici rilievi critici o errores di qualsivoglia tipo, si è limitato a reiterare genericamente la tesi (già sostenuta nel merito) dell’errore materiale, in guisa di mera contrapposizione rispetto alla valutazione operata dalla C.T.R..

Peraltro, ciò ha fatto senza riprodurre o trascrivere (quantomeno nelle parti salienti) il contenuto degli atti di causa (nemmeno allegati al ricorso o indicati nella loro collocazione nel fascicolo processuale) nei quali l’inesatta indicazione si sarebbe (prima) verificata e sarebbe stata (in seguito) emendata.

La descritta tecnica espositiva, siccome impedisce a questa Corte il sindacato sulla correttezza dell’apprezzamento del giudice di merito, cagiona l’inammissibilità del secondo motivo, per inosservanza del principio di autosufficienza che informa l’impugnazione di legittimità.

6. Definitivamente stabilito, in forza dell’accertamento contenuto nella sentenza impugnata, che l’oggetto della lite è rappresentato dal recupero a tassazione dell’imposta IRPEF non versata per l’annualità 2004 (quale che sia il corretto numero identificativo del relativo atto impositivo), ne deriva l’inammissibilità del primo motivo per difetto di interesse ad impugnare.

La invocata cassazione della sentenza impugnata (per l’asserita illegittimità della dichiarata inammissibilità) condurrebbe infatti, pur se accolta, a rimettere al giudice del rinvio il vaglio sulla fondatezza della pretesa impositiva per IRPEF concernente l’anno 2004: su tale pretesa però – per come riferito dal medesimo ricorrente – è già intervenuta altra pronuncia, passata in giudicato, favorevole al contribuente, sicché questi non conseguirebbe alcun risultato utile e giuridicamente apprezzabile dall’eventuale accoglimento del gravame.

7. Dichiarato inammissibile il ricorso, non va pronunciata la condanna del ricorrente soccombente alla refusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate vittoriosa.

Alla costituzione in lite dell’Avvocatura dello Stato, con deposito di atto privo di argomentazioni difensive poiché dichiaratamente finalizzato alla “eventuale partecipazione alla discussione orale”, non ha fatto seguito lo svolgimento di alcuna attività processuale di deposito di memoria; né assume rilievo al riguardo la circostanza che – a seguito della modifica dell’art. 380-bis c.p.c., operata dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, comma 1-bis, convertito dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 – sia stata preclusa la possibilità dell’audizione della parte in adunanza camerale (così Cass. 07/07/2017, n. 16921).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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