LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 8607 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappr. e dif. dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;
– ricorrente –
contro
O.L., n. q. di socio e legale rappresentante p.t. di “La Veneta Imballi s.r.l.”, rappr. e dif. dall’Avv. Sabina Ciccotti, elettivamente dom. in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto depositata in data 23 settembre 2014, n. 1411/31/14;
sentita la relazione svolta dal consigliere Salvatore Leuzzi nella camera consiglio del 27 aprile 2021.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ritualmente notificato O.L., in proprio e quale rappresentante legale della società La Veneta Imballi s.r.l. in liquidazione, successivamente dichiarata fallita in data 9 febbraio 2011, impugnava gli avvisi di accertamento mirati al recupero fiscale di importi Ires, Irap e Iva per gli anni 2007 e 2008. Nella prospettazione numerose fatture emesse nei confronti della ditta individuale B.D. erano, infatti, correlate ad operazioni soggettivamente inesistenti.
La CTP di Padova accoglieva il ricorso del contribuente annullando gli avvisi. La CTR del Veneto ha rigettato l’appello erariale.
Il ricorso per cassazione è affidato a un solo motivo.
Resiste con controricorso il contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia contesta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 2697 c.c. anche in relazione all’art. 109 TUIR nonché in relazione al D.P.R. n. 633 del 1971, artt. 17, 19 e 21 per essere la CTR incorsa nell’errore di ascrivere all’Amministrazione l’onere “di dar prova che le operazioni commerciali fossero soggettivamente inesistenti e che il contribuente fosse consapevole della frode fiscale”, trascurando di considerare come l’Agenzia potesse limitarsi a fornire – come in effetti ha fornito – un mero “quadro indiziario” in punto di inesistenza delle operazioni.
Il motivo è inammissibile.
La CTR ha argomentato sotto plurimi aspetti il rigetto dell’appello erariale, per un verso, evidenziando l’inidoneità a fondare l’accertamento fiscale delle “dichiarazioni di un soggetto terzo (il B.), sottoposto ad indagine, senza garanzia del contraddittorio e quindi non paragonabile alla prova testimoniale”; per altro verso, insistendo sulla mancata prova della “condotta antieconomica del contribuente”; per altro verso ancora, segnalando rautonomia dei processi penale e tributario” e l’irrilevanza probatoria del rinvio a giudizio del B.. Ad onta di questa trama argomentativa, la censura si risolve in una valutazione alternativa del materiale probatorio, in contrasto col principio di diritto, secondo il quale spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. n. 101 del 2015; Cass. n. 8023 del 2009; Cass. n. 15737 del 2003).
Il motivo di ricorso non si volge all’obiettivo del ripristino delle regole di riparto degli oneri probatori che assume violate, ma piuttosto si compendia in una critica del tessuto motivazionale della sentenza d’appello, tendente ad ottenere, in realtà, una diversa ricostruzione di fatto; sotto le mentite spoglie di un vizio di violazione di legge, il mezzo di ricorso mira ad una rivisitazione del materiale indiziario e/o istruttorio vagliato dal giudice di merito e inerente in via esclusiva al suo sindacato. L’asserito errore di diritto diviene, allora, il veicolo utile a valorizzare, secondo una chiave “soggettivistica”, in un senso anziché in un altro, taluni elementi fattuali e documentali. In tal senso, la censura finisce per investire la plausibilità del ragionamento condotto dal giudice di merito, criticando la ricostruzione del fatto che questi ha operato ed evocando altri fatti e in tal guisa sconfinando dal paradigma della violazione di norme per approdare in una dimensione che, se del caso, avrebbe potuto trovare legittimazione nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, s’intende nei limiti del controllo della motivazione sulla quaestio facti, siccome chiariti dalle Sezioni Unite di queste Corte (v. Cass., sez. un., n. 8053 del 2014 e innumerevoli succ. conf.).
Il ricorso va in ultima analisi rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura espressa in dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio, che liquida in Euro 7800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021