Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33302 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12707/2015 R.G. proposto da:

S.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Marafioti, con domicilio eletto presso il suo domicilio digitale (p.e.c. *****);

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Carmela Parisi, presso il cui studio in Roma, via Andrea Millevoi, n. 81, è

elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 235/01/15 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CALABRIA, depositata in data 3/3/2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 LUGLIO 2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

RILEVATO

CHE:

– S.F. proponeva ricorso alla C.T.P. di Vibo Valentia a seguito del pignoramento presso terzi notificatogli dall’agente della riscossione Equitalia ETR S.p.A., impugnando l’atto esecutivo e le cartelle di pagamento presupposte e affermando che queste ultime non gli erano mai state notificate; eccepiva altresì la decadenza dai termini per la riscossione coattiva, la mancanza di un previo avviso bonario e la prescrizione dei crediti erariali;

– costituitasi l’Agenzia delle Entrate e nella contumacia di Equitalia ETR, la C.T.P. di Vibo Valentia accoglieva il ricorso in ragione della mancanza di prove circa la notificazione delle cartelle;

– la C.T.R. della Calabria, con la sentenza n. 235/01/15 del 3/3/2015, accoglieva gli appelli avanzati da Agenzia delle Entrate ed Equitalia Sud S.p.A. (subentrata a Equitalia ETR) e, in riforma della decisione di primo grado, respingeva l’originario ricorso di S.; in particolare, il giudice dell’impugnazione rilevava che nel processo d’appello l’agente della riscossione aveva “dato prova dell’avvenuta notifica e ricezione delle cartelle esattoriali prodromiche all’impugnato provvedimento di pignoramento presso terzi. In particolare, dalla documentazione versata in atti emerge che le cartelle in questione sono state regolarmente notificate, a mezzo posta, e che le rispettive raccomandate sono state ricevute, presso l’indirizzo dello S., in alcuni casi dallo stesso destinatario e negli altri da persona qualificatasi come autorizzata alla ricezione. Trattandosi di numerose cartelle, quasi sempre ricevute dalla stessa persona, rinvenuta presso il domicilio del destinatario, deve senz’altro escludersi che si sia trattato di un disguido occasionale. Sull’avviso di ricevimento, peraltro, è indicato chiaramente il numero della cartella di pagamento di volta in volta notificata al contribuente, senza possibilità di equivoco in merito alla riferibilità alla stessa del contenuto della raccomandata”.

– avverso tale decisione S.F. ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi;

– Equitalia Sud S.p.A. ha resistito con controricorso;

– anche Agenzia delle Entrate ha presentato controricorso, con tenente altresì ricorso incidentale (basato su quattro motivi).

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente, si rileva l’infondatezza delle eccezioni, sollevate da Equitalia, riguardo alla tempestività del deposito del ricorso che risulta depositato nel termine prescritto dall’art. 369 c.p.c. e, cioè, nei venti giorni dalla sua ultima notificazione.

2.Col primo motivo del ricorso di S.F. si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), per avere la C.T.R. omesso pronunciarsi, se non “in maniera del tutto sintetica ed apodittica e con motivazione del tutto insufficiente”, sulle eccezioni sollevate in ordine al difetto di specificità dei motivi dell’appello di Equitalia, all’inammissibilità del deposito di prove documentali in appello da parte del contumace in primo grado, al vizio di inesistenza delle notificazioni delle cartelle e alla prescrizione della pretesa fiscale.

La censura è inammissibile per plurime ragioni.

Il motivo e’, innanzitutto, formulato con modalità irrispettose dell’art. 366 c.p.c..

Infatti, il ricorrente omette di trascrivere l’atto di appello dell’agente della riscossione – del quale lamenta la genericità – impedendo a questa Corte (il cui potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali è condizionato dalla conformità della censura proposta alle regole fissate al riguardo dagli artt. 366 e 369 c.p.c.; ex multis, Cass., Sez. U, Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876-01) di verificare i termini esatti dell’impugnazione di Equitalia Sud e di stabilire se il contenuto dell’atto di appello rispettasse o meno il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1.

Riguardo alla mancata considerazione dell’eccezione d’inammissibilità del deposito di prove documentali in appello, il ricorrente non si confronta con la decisione della C.T.R., che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non ha omesso di esaminare la questione e ha, invece, reso una specifica motivazione a riguardo, argomentando sul D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (peraltro, conformandosi a quanto statuito dalla pronuncia, citata dal giudice d’appello, di Cass., Sez. 5, Sentenza n. 12008 del 31/05/2011, Rv. 618258-01).

Lo stesso deve dirsi con riguardo alla dedotta minuspetizione del giudice d’appello sulle ulteriori questioni poste dall’odierno ricorrente: è evidente, infatti, che l’affermata validità delle notificazioni delle cartelle di pagamento (con la suesposta motivazione, dalla quale si evince l’insussistenza del vizio ex art. 112 c.p.c. denunciato col motivo) ha reso superfluo l’esame delle contestazioni riguardanti l’efficacia del pignoramento presso terzi e la prescrizione del credito erariale.

Inammissibile, perché non riconducibile ad alcuno dei vizi elencati dall’art. 360 c.p.c., è il motivo nella parte in cui si lamenta una “motivazione insufficiente” con riguardo alla ritenuta validità delle notificazioni (questione che sarà esaminata anche nel prosieguo), né può affermarsi che l’illustrazione delle ragioni della decisione sia al di sotto del cd. “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01), dato che la C.T.R. ha compiutamente spiegato l’iter logico-giuridico seguito per addivenire alle proprie conclusioni: in particolare, in riferimento alla consegna dei plichi a soggetti diversi dal destinatario, il giudice d’appello ha ritenuto che il ritiro degli atti dalla medesima persona presso il domicilio dello S. costituisse ulteriore elemento presuntivo a sostegno della regolarità della notificazione e, rispetto a tale statuizione, non può il ricorrente contrapporre in questa sede le risultanze della “autocertificazione di stato di famiglia dal quale era dato evincere l’inesistenza di alcun rapporto con il consegnatario” (la cui efficacia probatoria, comunque, è da escludere; v. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18374 del 09/07/2019, Rv. 654698-01).

3.Col secondo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 c.c., per avere il giudice d’appello fondato la decisione riguardante la validità delle notificazioni delle cartelle di pagamento su documenti che erano stati oggetto di disconoscimento da parte del ricorrente.

Anche tale censura è inammissibile.

L’odierno ricorrente sostiene di avere “espressamente e tempestivamente disconosciuto la conformità all’originale delle copie delle relazioni di notificazione, mediante la dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, dalla quale emerge in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia”, ma di tale dichiarazione omette di riportare o di trascrivere gli estremi: come già statuito da questa Corte, “nell’ipotesi in cui si denunzi violazione di legge in ordine alla validità delle prove poste dal giudice a quo alla base dell’impugnata sentenza, e si alleghi allo scopo l’omessa considerazione dell’operata contestazione di copie fotografiche di scritture, devono risultare specificamente indicati nei motivi di ricorso, (anche) al fine di consentirne la relativa valutazione di rilevanza e tempestività: quale sia stato l’oggetto della contestazione (in particolare, se la conformità della scrittura all’originale o l’autenticità della scrittura e/o della sottoscrizione, trovando nel caso applicazione il combinato disposto di cui all’art. 2719 c.c., artt. 214 e 215 c.p.c.); gli esatti termini della sua censura; l’occasione della produzione del documento e della compiuta contestazione” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8810 del 30/05/2003, Rv. 563822-01); parimenti, il ricorrente interessato a far valere la violazione di norme relative all’ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori ha l’onere di indicare dettagliatamente nel ricorso gli elementi necessari per la valutazione delle censure mosse, specificando il contenuto delle prove poste dal giudice a quo alla base della sentenza impugnata e i motivi della loro inidoneità legale a fornire il supporto probatorio alla decisione adottata, risultando così indispensabile, ai fini dell’ammissibilità del motivo, la specificazione delle ragioni della contestazione (disconoscimento della sottoscrizione, contestazione della conformità della copia all’originale, ecc.) e del modo e dell’occasione della medesima (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1247 del 04/02/2000, Rv. 533484-01).

La violazione del principio di autosufficienza si manifesta con evidenza nella fattispecie in esame, sia perché la controricorrente Agenzia delle Entrate ha rilevato che “l’agente della riscossione ha attestato ex art. 2719 c.c. la conformità agli originali degli estratti di ruolo e delle relate di notifica versate in atti”, con la conseguenza che anche un mero disconoscimento non avrebbe avuto l’effetto di inficiare l’efficacia fidefacente della documentazione prodotta (di cui il ricorrente omette di riportare il contenuto), sia perché la contestazione della conformità delle copie prodotte agli originali ex art. 2719 c.c. non esclude ex se ogni efficacia probatoria alle copie, dovendo invece il giudice tributario valutare le specifiche difformità alla luce degli elementi istruttori disponibili (“compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso”, come rilevato da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 23426 del 26/10/2020, Rv. 659342-01).

4.Col terzo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 per avere il giudice d’appello ritenuto valida la notificazione delle cartelle di pagamento, sebbene la stessa fosse stata eseguita a mezzo posta dallo stesso agente della riscossione, non abilitato alla notifica.

Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato.

Infatti, “ove sia contestata la rituale notifica delle cartelle di pagamento, per il rispetto del principio di autosufficienza, è necessaria la trascrizione integrale delle relate e degli atti relativi al procedimento notificatorio, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 31038 del 30/11/2018, Rv. 651622-01).

Nel merito, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, la cartella di pagamento può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 anche direttamente da parte dell’agente della riscossione mediante raccomandata con avviso di ricevimento (tra le altre, Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016, Rv. 640025-01, e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11708 del 27/05/2011, Rv. 618236-01).

Il granitico orientamento giurisprudenziale ha poi trovato conferma nella sentenza n. 175 del 23/7/2018 della Corte Costituzionale, la quale – respingendo i dubbi di illegittimità costituzionale sollevati con riguardo al “diritto vivente” – ha così statuito: “La disciplina speciale recata dalla disposizione censurata, per cui attualmente l’agente per la riscossione può procedere alla notificazione diretta ex art. 26, comma 1, delle cartelle di pagamento, come per anni ha fatto l’esattore, trova, ancor più che in passato, giustificazione nella natura sostanzialmente pubblicistica della posizione e dell’attività del primo, il quale, secondo l’espressa previsione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24 è depositario del ruolo formato dall’amministrazione finanziaria e, per conto di quest’ultima, procede per legge alla riscossione coattiva. Si tratta, quindi, di un organo indiretto dell’amministrazione finanziaria, cui è delegato l’esercizio di poteri pubblicistici funzionali alla riscossione delle entrate pubbliche. Ciò è tanto più vero a seguito dell’istituzione del sistema nazionale della riscossione, secondo la previsione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 con l’attribuzione delle relative funzioni all’Agenzia delle entrate che le ha esercitate, fino ad epoca recente, mediante una società a capitale interamente pubblico (Riscossione spa, poi divenuta Equitalia spa)…. E’ questa particolare funzione svolta dall’agente per la riscossione a giustificare un regime differenziato, qual è la censurata previsione della speciale facoltà del medesimo di avvalersi della notificazione “diretta” delle cartelle di pagamento…. Con riferimento, quindi, alla forma di notificazione “diretta”, con consegna del plico al destinatario o a chi sia legittimato a riceverlo, può dirsi che le modalità pur semplificate del procedimento notificatorio soddisfano il requisito richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte – della “effettiva possibilità di conoscenza” dell’atto (sentenze n. 346 del 1998 e n. 360 del 2003). La disposizione censurata non viola i parametri evocati dalla CTR rimettente, sotto il profilo della ipotizzata violazione del diritto di azione e di difesa del notificatorio (art. 24 Cost., commi 1 e 2) e del principio della “parità delle armi” integrato dal canone del giusto processo (art. 111 Cost., commi 1 e 2) perché non è superato quel “limite inderogabile” che la giurisprudenza di questa Corte pone alla discrezionalità che ha il legislatore nel regolare il procedimento notificatorio”.

Ne consegue, dunque, l’infondatezza della doglianza che prospetta l’inesistenza (ex se non configurabile nella fattispecie, in base all’insegnamento di. Cass., Sez. U., Sentenza n. 14916 del 20/7/2016, Rv. 640603-01) della notificazione della cartella di pagamento in ragione della carenza del potere di procedervi in capo all’agente della riscossione.

Del pari infondata è la censura sulla pretesa invalidità della notificazione per avere l’agente della riscossione mancato di produrre gli originali degli atti notificati, essendosi limitato a depositare copia degli estratti di ruolo e delle retate di notificazione: in proposito, si osserva che l’agente della riscossione può dimostrare la validità della notifica della cartella producendola in copia, senza che abbia l’onere di depositarne né l’originale, né la copia integrale, non essendovi alcuna norma che lo imponga o che ne sanzioni l’omissione con la nullità della stessa o della sua notifica (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 25292 del 11/10/2018, Rv. 650980-01), e che la C.T.R. della Calabria ha inequivocabilmente accertato la corrispondenza tra i numeri delle cartelle notificate e le relate prodotte da Equitalia Sud.

5.Col quarto motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50 per avere la C.T.R. statuito la legittimità dell’atto di pignoramento nonostante il suo compimento oltre il termine di efficacia dell’intimazione di pagamento.

Oltre alle già rilevate carenze nell’illustrazione del motivo, la censura è inammissibile perché il ricorrente non esplicita nell’atto introduttivo di aver riproposto nel grado di appello la questione, (non accolta nella sentenza di primo grado perché rimasta assorbita), sicché la stessa deve ritenersi rinunciata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 omologo nel processo tributario dell’art. 346 c.p.c. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14534 del 06/06/2018, Rv. 649002-01, e Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 12191 del 18/05/2018, Rv. 648484-01).

6.Col quarto motivo si deduce (richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sebbene la censura debba essere ricondotta al n. 4 della citata disposizione) la nullità della sentenza per contrasto insanabile tra la parte motiva e il dispositivo, per avere la C.T.R. statuito, in motivazione, che “sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra tutte le parti le spese e competenze del presente grado di giudizio” e, nel dispositivo, per avere condannato “il contribuente alla rifusione a favore dell’Agenzia delle Entrate e a favore del concessionario della riscossione delle spese del doppio grado del giudizio”, liquidate in Euro 2.000,00 per ciascuno degli appellanti.

Il motivo è fondato.

Le statuizioni del giudice d’appello sulle spese si pongono tra loro in insanabile contrasto, non potendosi, infatti, stabilire quale fosse il decisum effettivo a fronte del quale una parte del testo avrebbe deviato per effetto di una sovrapposizione inconsapevole, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, di altro decisum.

Infatti, non è possibile ritenere prevalente la motivazione – con cui si compensano le spese con una formula “standardizzata” – rispetto al più preciso dispositivo di condanna alla rifusione dei costi del doppio grado di giudizio (che, però, contempla quale beneficiario delle spese anche l’agente della riscossione, rimasto contumace in primo grado).

L’impossibilità di attribuire un univoco significato alle decisioni della C.T.R. impedisce il ricorso al rimedio della correzione di errore materiale e, stante l’insanabilità del rilevato contrasto, si impone la cassazione della sentenza con rinvio al giudice d’appello per la statuizione sulle spese.

7.Col sesto motivo si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 per aver reso la C.T.R. una decisione priva di motivazione, contenente solo un generico riferimento alle fonti di prova documentali e mancante di una specifica valutazione dei singoli elementi desunti dai documenti.

Col settimo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) la nullità della sentenza per motivazione incongrua e contraddittoria, travisamento dei fatti, erronea delibazione delle risultanze probatorie, errata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, per avere il giudice d’appello assunto la decisione in “palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dalla corretta visione e valutazione delle prove documentali e quelli che i giudici di merlo ne hanno tratti”.

Entrambi i motivi mirano, inammissibilmente, ad introdurre in maniera surrettizia una censura di insufficienza della motivazione, vuoi perché ritenuta non esaustiva nell’illustrazione delle produzioni documentali esaminate, vuoi perché non aderente alle risultanze probatorie.

In proposito, si deve ribadire che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali e che l’omesso esame di elementi istruttori non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, senza che la sentenza debba necessariamente dar conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Nella fattispecie de qua non si riscontrano anomalie nella motivazione che rendano quest’ultima meramente apparente, né si ravvisano contrasti irriducibile’ tra affermazioni inconciliabili, avendo, anzi, la C.T.R. spiegato adeguatamente, seppur succintamente (ma il semplice difetto di sufficienza della motivazione è irrilevante), le ragioni per le quali ha ammesso la produzione documentale in appello, ritenuto regolare la pregressa notificazione delle cartelle di pagamento (prodromiche all’atto esecutivo impugnato) e, conseguentemente, respinto il ricorso originario.

8.Venendo al ricorso incidentale (condizionato) dell’Agenzia delle Entrate, col primo e col secondo motivo si deduce – sotto diversi profili (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per minuspetizione e, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, per difetto di giurisdizione) – che la C.T.R. ha erroneamente disatteso l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dall’Amministrazione, affermando la sua infondatezza “trattandosi di controversia che riguarda la notifica delle cartelle esattoriali e, quindi, la stessa debenza dei tributi”; afferma l’Agenzia che l’oggetto diretto del ricorso introduttivo era l’atto di pignoramento presso terzi, successivo alla notificazione delle cartelle e, dunque, rientrante nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario.

La questione di giurisdizione sollevata è infondata alla luce di quanto recentemente statuito da Cass., Sez. U, Ordinanza n. 7822 del 14/04/2020, Rv. 657531-03, secondo cui “In tema di controversie su atti di riscossione coattiva di entrate di natura tributaria (nella specie, ordine di pagamento diretto D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 72 bis), il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria va così individuato: alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell’atto esecutivo come tale (a prescindere dalla esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento o successivi, in ipotesi di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, all’atto esecutivo che abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell’intimazione.”.

Nella fattispecie in esame lo S. ha dedotto, col ricorso introduttivo, l’omessa, inesistente o nulla notificazione degli atti pro-dromici e ha contestato la pretesa fiscale non per circostanze sopravvenute, ma affermandone l’insussistenza.

Correttamente, dunque, la C.T.R. ha respinto l’eccezione.

9.Col terzo e col quarto motivo l’Agenzia delle Entrate, richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si duole del fatto che la C.T.R. non abbia accolto la sua eccezione di inammissibilità dell’avversario ricorso introduttivo avverso l’atto di pignoramento, pronuncia consequenziale alla riconosciuta regolarità della notificazione delle cartelle.

I motivi sono inammissibili per difetto di interesse all’impugnazione.

“In tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038-02).

Nessuna concreta utilità può derivare all’Agenzia delle Entrate da una statuizione che accerti l’inammissibilità originaria del ricorso per una ragione diversa (la tardività dell’impugnazione proposta rispetto alla data di notificazione delle cartelle) da quella che ha condotto al rigetto dell’iniziativa processuale dello S..

10. In conclusione, va accolto il quinto motivo del ricorso principale e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla C.T.R. della Calabria, in diversa composizione, per nuova statuizione sulle spese di lite, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Sono respinti, invece, gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale.

11. Poiché la ricorrente incidentale è un’Amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso l’obbligo di versare l’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714-01).

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il quinto motivo del ricorso principale;

cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Calabria, in diversa composizione, limitatamente al motivo accolto e per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità;

respinge gli altri motivi del ricorso principale;

rigetta il ricorso incidentale;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato in misura pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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