Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33306 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29051/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.F., rappresentata e difesa dall’avv. Damiano Iuliano, elettivamente domiciliata presso lo studio in Napoli, via Pietro Colletta 35;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 4363/17/15, depositata il 8 maggio 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/07/2021 dal Consigliere Adet Toni Novik.

RILEVATO

CHE:

– l’agenzia delle entrate (di seguito, l’agenzia) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata l’8 maggio 2015, di accoglimento dell’appello di R.F. (di seguito, la contribuente) avverso la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2009 per Iva, Irap e Ires;

– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato il reddito di impresa dichiarato dalla contribuente, titolare di farmacia, all’esito di una verifica fiscale, condotta con metodo analitico-induttivo, della Direzione provinciale di Caserta, verifica conclusasi con PVC;

– il giudice di appello, a sostegno della decisione, riteneva che la contribuente avesse fornito la prova documentale spiegazione delle incongruenze ravvisate dall’agenzia: in particolare, ha affermato che:

a) quanto all’anomalo andamento della cassa contanti, che i saldi di importo elevato non coerenti con la normale gestione della farmacia erano relativi al solo mese di agosto e trovavano giustificazione nelle ferie godute dalla titolare, unico soggetto abilitato ad effettuare versamenti sui conti correnti bancari e incassare i crediti della Asl; b) quanto alla percentuale di ricarico ritenuta dall’agenzia incongruente con l’indicazione dello Studio di settore, che essa dipendeva dalla percentuale di ricarico (7%) applicata sulle vendite all’ingrosso, mentre quella applicata sulle vendite al dettaglio (37%) era coerente con lo studio, laddove il software Gerico utilizzato non aveva tenuto conto di questo scarto; c) quanto alla non corretta tenuta della contabilità, alla base dell’accertamento induttivo, che la mancata suddivisione del libro mastro e del libro degli inventari dei debiti nei confronti dei singoli fornitori si ricavavano dagli estratti conto loro intestati per singola partita “estratti già prodotti in sede di verifica, come indicato nel verbale di acquisizione documentale allegato al PVC”; d) le incongruenze riscontrate non erano indicative di evasione fiscale e non giustificavano l’accertamento induttivo, rispetto al quale ben poteva la contribuente provarne l’insussistenza; e) anche le deduzioni in merito all’erroneo calcolo dei ricavi Asl ritenuti al lordo dell’Iva erano fondate;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– la contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

CONSIDERATO

CHE:

– E’ infondata, in primo luogo, l’eccepita inammissibilità del ricorso vuoi nell’accezione formulata con il controricorso di genericità dei motivi per l’omessa individuazione dello “specifico capo della sentenza impugnata” attesa la puntuale indicazione della sentenza stessa, riprodotta per la sola parte motiva, e sottoposta a puntuale critica, vuoi nell’accezione che evoca la carenza di autosufficienza atteso che, alla stregua dei principi affermati da Sez. U, n. 5698 del 2 11/04/2012, “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sé autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso”, vuoi alla affermazione che con il ricorso vengono sottoposte alla Corte questioni di merito o sulle quali vi sia giurisprudenza uniforme, trattandosi di valutazione che può scaturire solo dalla disamina dei singoli motivi;

– con il primo motivo di ricorso, si eccepisce la “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”: si sostiene che la CTR avrebbe emesso una sentenza apparentemente motivata limitandosi “a riprodurre le giustificazioni e gli assunti di parte ma senza indicare in alcun modo omessa siano state provate”, e, pur richiamando i documenti prodotti, senza indicare quali fossero stati prodotti e quali contenuti avessero;

– secondo l’insegnamento di questa Corte “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento);

– pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

– tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, mentre tale vizio resta escluso con riguardo alla valutazione delle circostanze in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. Sez. U, 21 dicembre 2009, n. 26825);

– nel caso in esame, la sentenza non merita censura perché la CTR, con giudizio di fatto non censurabile in questa sede, dopo aver dato atto che la contribuente aveva “fornito analitica spiegazione delle incongruenze ravvisate dall’agenzia e provato documenta/mente il suo assunto” ha ricostruito analiticamente la vicenda in esame alla luce dei documenti prodotti; si può dunque affermare che la motivazione della sentenza medesima superi la soglia del c.d. “minimo costituzionale”;

– con il secondo motivo di ricorso, si eccepisce la “Violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art, 360 n. 3 c.p.c.)”: si sostiene che la CTR avrebbe accolto la tesi della contribuente senza far riferimento ad alcun elemento probatorio quale fonte del suo convincimento: in particolare, la circostanza che gli alti saldi di cassa avrebbero riguardato il solo mese di agosto in cui ella era in ferie era stata accettato senza che fosse stata acquisita la prova della fruizione di tale periodo di fede e la sua durata precisa; inoltre, non vi era prova che la non congruità e la non coerenza rispetto allo studio di settore fosse dipeso dall’omessa considerazione delle vendite all’ingrosso da parte del sistema Gerico, né che le vendite all’ingrosso fossero contestuali all’arrivo della merce, così da non determinare rimanenze, né che i ricavi dai farmaci mutuabili fosse al lordo e non al netto di Iva;

– con il terzo motivo, l’agenzia deduce “Omesso esame di fatti decisivi e controversi – Violazione dell’art. 2700 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”: la CTR non avrebbe considerato che secondo i verbalizzanti i saldi di cassa contanti si sarebbero determinati progressivamente dall’inizio dell’anno (e non solo nel mese di agosto), e che la loro riduzione dall’inizio di settembre era stata graduale; inoltre non avrebbe considerato che la contestazione dei verificatori si era concentrata sulla vendita dei prodotti da banco;

– i motivi in esame, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili non essendovi stata nessuna violazione dell’onere probatorio o del valore probatorio dell’accertamento; con essi, in sostanza, si censura la sentenza impugnata per violazione di legge ma, in realtà, non si fa valere un vizio di interpretazione e valutazione di norme giuridiche (ricadente sotto il profilo dell’errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ponendo invece questioni inerenti la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione (che avrebbe dovuto farsi valere ex art. 360, comma 1, n. 5) laddove si sindaca la motivazione della CTR circa il proprìo convincimento in merito alla forza probante dei documenti forniti dalla parte; quindi, in luogo di un problema interpretativo, consistente nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattìspecìe astratta recata dalle citate norme di legge, con il motivo in esame si allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, e quindi una alternativa ricostruzione delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (ex plurimis: Cass. sez. 1, 13/10/2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. sez. 4, 11/01/2016, n. 195, Rv. 638425-01; Cass. sez. 5, 30/12/2015, n. 26110, Rv. 638171-01);

– quanto al valore fidefaciente degli accertamenti compiuti nel corso della verifica, si rammenta che il PVC assume un valore diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a luì rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (Sez. 5 -, Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018, Rv. 651211 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 28060 del 24/11/2017, Rv. 646225 – 02); – nel caso di specie, le ricostruzioni, erano di natura meramente valutativa e ad esse non può essere attribuito nessun valore fidefaciente, sicché, come avvenuto, esse erano liberamente valutabili dalla CTR che, sulla base dei documenti prodotti, ha accertato che non vi era incongruenza nella percentuale di ricarico applicata rispettivamente per le vendite al dettaglio e per quell’all’ingrosso, “come si evinceva dal confronto tra le fatture di acquisto delle fatture di vendita della merce destinata all’ingrosso”, concludendo che “il software Gerico non aveva tenuto conto di tale ultime vendite e della relativa percentuale di ricarico, che avevano inciso sul fatturato nella misura del 23%; la motivazione è logica e non è censurabile in sede di legittimità”;

– con il quarto motivo di censura la “Violazione del D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”, non avendo la commissione regionale correttamente valutato che l’inattendibilità della contabilità della contribuente rendeva pienamente giustificato l’accertamento induttivo, consentendo all’ufficio di avvalersi di presunzioni semplici;

– la censura è inammissibile;

– la CTR, pur avendo ritenuto non giustificato l’accertamento in quanto le incongruenze indicate non erano sintomatiche di evasione fiscale, ha preso in esame tutte le contestazioni ed ha ritenuto che la contribuente aveva fornito la prova che esse non sussistevano, da ciò derivandone l’insussistenza della pretesa tributaria;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna l’agenzia alla rifusione delle spese, liquidate in Euro 5.000, oltre Euro 200 per esborsi, rimborso forfettario 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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