LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2891/2014 R.G. proposto da:
A.C. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. prof. Maurizio Leo con domicilio eletto in Roma, p.zza SS. Apostoli n. 66 presso il ridetto difensore;
– ricorrente –
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 206/33/13 depositata il 04/06/2013, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerate del 12/07/2021 dal Consigliere Roberto Succio.
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha parzialmente accolto l’appello della società contribuente e quindi annullato l’avviso di accertamento impugnato limitatamente alle riprese per IRES ed IRAP 2005, confermandone la legittimità quanto alle riprese IVA e accessori;
– avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione la società A.C. s.r.l. con atto affidato a quattro motivi e illustrato con memoria; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che propone anche ricorso incidentale affidato a un solo motivo.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere la CTR trascurato circostanze obiettive acquisite alla causa ed idonee a condurre a diversa decisione rispetto a quella adottata, ignorando in particolare gli elementi probatori addotti dal contribuente idonei a dimostrare la propria buona fede nelle operazioni commerciali oggetto di contestazione di soggettiva inesistenza da parte dell’Ufficio; tal motivo può esaminarsi congiuntamente con il terzo mezzo di impugnazione, che censura la pronuncia della CTR per violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e art. 21, comma 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere il giudice dell’appello negato inferenza probatoria agli elementi addotti dalla società relativi all’aver adottato un’adeguata diligenza nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, acquisendo informazioni sui propri fornitori, verificandone l’esistenza e richiedendo certificati alla CCIAA e non potendo quindi la stessa aver dubbi in ordine sia all’equivalenza dei prezzi da loro applicati a quelli di mercato sia al fatto che altre imprese note si approvvigionavano dagli stessi soggetti ritenuti dall’Ufficio “cartiere”;
– i motivi ridetti costituiscono infatti frammentazione di una medesima censura; gli stessi sono inammissibili;
– questa Corte di Legittimità ritiene costantemente (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29730 del 29/12/2020) che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto;
– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce infatti nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017);
– in altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Sotto tale profilo, dunque, le odierne censure del ricorrente di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri: il che esula dai poteri del giudice di legittimità;
– il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere il giudice dell’appello illegittimamente ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sull’Erario in considerazione esclusiva della cartolarità delle società fornitrici della ricorrente, negando quindi la detraibilità dell’iva versata sulla base esclusiva della presunta natura di “cartiere” delle controparti commerciali della società contribuente e non avendo l’Ufficio fornito prova alcuna della consapevole partecipazione alla frode da parte della contribuente società;
– il motivo è infondato;
– la giurisprudenza di questa Corte Suprema è costante (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020; Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018; Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018) nel ritenere che in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto;
– nel presente caso, la CTR ha ritenuto correttamente, a pag. 7 del proprio provvedimento, che la prova della frode contestata possa esser qui data “anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente”; specificamente poi quanto ai fatti di causa, la CTR ha accertato proprio in fatto come (ancora pag. 7) “nel caso in esame, come ampiamente argomentato dai Giudici di primo grado, è fuori dubbio il comportamento colposo dell’appellante e, dunque, l’assenza della buona fede tenuto conto che le imprese con le quali la società verificata ha effettuato transazioni commerciali, a seguito di indagini di polizia giudiziaria, sono risultate prive di strutture idonee a svolgere l’attività imprenditoriale caratterizzandosi per assenza assoluta di uffici, sedi operative, depositi, mezzi di trasporto, mancata effettuazione dei versamenti di imposta; assenza totale della documentazione contabile ed amministrativa”;
– ancora in fatto, con riguardo ai controlli della società in ordine all’esistenza effettiva dei propri fornitori, la CTR pure osserva (sempre a pag. 7) come “i controlli formali che la società verificata asserisce di aver svolto sull’affidabilità delle ditte fornitrici, comunque, non sono da ritenersi idonei allo scopo”;
– come si evince dalla lettura della decisione impugnata, quindi, il giudice dell’appello ha correttamente interpretato le disposizioni vigenti e i principi giurisprudenziali sanciti da questa Corte, applicandoli alla situazione fattuale oggetto del suo accertamento in fatto non censurabile in questa sede;
– fermo quanto sopra, con riguardo al profilo ulteriore del terzo motivo, con il quale la società contribuente si duole della mancata valutazione della circostanza relativa all’archiviazione di procedimenti penali per reati tributari pendenti in capo al legale rappresentante della A.C. s.r.l., la Corte ritiene che lo stesso sia parimenti da rigettare in quanto infondato;
– la CTR infatti ha in realtà preso espressamente in esame la questione, senza per nulla tralasciare di valutarla; essa però ha ritenuto che “non assume alcuna rilevanza la definizione con decreto di archiviazione della parallela vicenda in sede penale e, non avendo comunque, il contribuente agito con la diligenza richiesta in relazione all’attività svolta, non ha diritto alla detrazione dell’IVA in quanto la società pur non essendo stata ritenuta responsabile dell’illecito penale ne ha, comunque, condiviso i vantaggi in modo colposo” (pag. 8 della sentenza impugnata);
– l’affermazione poi è del tutto coerente in diritto con l’orientamento di questa Corte, come ancora recentemente espresso, secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27814 del 04/12/2020) in caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione;
– il quarto motivo di ricorso si incentra sulla nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere il giudice partenopeo omesso di esprimersi in ordine all’eccezione relativa all’omesso addebito di iva al cessionario su fatture emesse ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 a fronte di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, nel difetto in capo ai destinatari delle operazioni dello status di esportatori abituali;
– il motivo è fondato;
– invero, a fronte di tale deduzione, che riguarda questione autonoma rispetto a quelle trattate (come tale insuscettibile di esame e decisione implicita) ed è stata debitamente proposta nei precedenti gradi del giudizio di merito, la CTR sul punto è rimasta del tutto silente, effettivamente pretermettendone la trattazione;
– quanto al ricorso incidentale, nell’unico motivo ivi articolato l’Agenzia delle Entrate con esso si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5 TUIR e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR erroneamente ritenuto deducibili i costi oggetto di contestazione in base alla sola circostanza che si trattava di costi non direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come reato, senza averne accertata l’effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità alla stregua degli elementi probatori che era onere del contribuente fornire;
– il motivo è inammissibile;
– la CTR ha in realtà operato sul punto un accertamento in fatto non più sindacabile da parte del giudice del merito: “si ritiene che i costi documentati e che risultano inerenti all’attività imprenditoriale, siano deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa” (pag. 8 della sentenza impugnata); il giudice dell’appello ha quindi valutato la sussistenza o meno dei requisiti di deducibilità dei costi ai fini dell’imposizione reddituale, e li ha ritenuti presenti;
il motivo, quindi, tende a condurre la Corte a una rivalutazione del meritus causae che in questa sede non è consentita; ne deriva la sua inammissibilità;
– pertanto, in accoglimento del solo quarto motivo di ricorso principale, la sentenza è cassata in parte qua con rinvio al giudice del merito per nuovo esame; i restanti motivi sono rigettati;
– è parimenti rigettato il ricorso incidentale dell’Erario.
PQM
accoglie il quarto motivo di ricorso principale; rigetta nel resto detto ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021