Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33351 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14892-2020 proposto da:

U.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO, 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO CIERVO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA MANDRO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (C.F. *****), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

avverso la sentenza n. 5455/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Venezia, pubblicata il 18 novembre 2019, con cui è stato respinto il gravame proposto da U.E. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo veneto. La nominata Corte ha negato che avesse fondamento la domanda di protezione internazionale proposta dal detto appellante.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su cinque motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente solleva preliminarmente una questione di legittimità costituzionale della L. n. 98 del 2013, artt. 69-72, che ha convertito, con modifiche, il D.L. n. 69/2013, riguardante l’istituzione dei giudici ausiliari delle corti d’appello, in relazione agli artt. 3 e 25 Cost., all’art. 102 Cost., comma 1, ed all’art. 106 Cost., commi 1 e 2. L’istante rileva come la sentenza sia stata pronunciata da un collegio integrato da un giudice ausiliario. Viene ricordato che questa Corte, con due diverse ordinanze, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei richiamati articoli osservando come dalla legge istitutiva del giudice ausiliario presso la corte di appello non emergerebbero le ragioni eccezionali e i limiti temporali che la Corte costituzionale individuò per le supplenze dei magistrati onorari nei collegi del tribunale con le pronunce nn. 99 del 1964, 156 del 1963 e 103 del 1998.

La questione è stata già affrontata dalla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2, il D.L. n. 69 del 2013, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72, convertito, con modificazioni., in L. n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32. Le disposizioni censurate, secondo il giudice delle leggi, violano il parametro evocato, il quale delinea un sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso, come strumentale all’indipendenza della magistratura, non diversamente dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107 Cost., comma 1), evitando ogni discriminazione, anche di genere, e assicurando la qualificazione tecnico-professionale. Nella prospettiva di una salvaguardia dell’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione è destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello, visto l’apporto dei giudici ausiliari allo smaltimento o al contenimento dell’arretrato del contenzioso civile, la Corte ha tuttavia ritenuto che la reductio ad legitimitatem possa attuarsi “con la sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire”, avendo riguardo ai tempi di riforma della magistratura onoraria, la cui completa entrata in vigore è già differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025, “così riconoscendo alla disciplina censurata – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale” (Corte Cost., sent. n. 41 del 2021).

La ravvisata incostituzionalità delle richiamate norme non spiega conseguentemente incidenza nel presente giudizio.

2. – I motivi di ricorso sono rubricati come segue.

Primo motivo: nullità della sentenza per violazione del diritto di essere giudicato dal giudice naturale e precostituito per legge e per difetto di costituzione del giudice; violazione degli artt. 25 e 102 Cost., dell’art. 158 c.p.c. e del R.D. n. 13 del 1941, art. 10.

Secondo motivo: violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del principio di verosimiglianza delle dichiarazioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al punto del provvedimento in cui si rappresenta che il ricorrente non è credibile.

Terzo motivo: violazione della Convenzione di Ginevra del 1951, art. lA e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), in relazione alla domanda relativa alla concessione dello status di rifugiato.

Quarto motivo: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla pronuncia sulla domanda relativa alla concessione dello status di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. b).

Quinto motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte col D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018.

3. – Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente lamenta che il collegio di appello sia stato integrato da un magistrato del Tribunale di Rovigo, assegnato alla Corte di appello di Venezia in forza di un progetto per la definizione del contenzioso in materia di immigrazione e di un provvedimento di attuazione del detto progetto con i quali il Presidente della Corte veneta ha disposto l’applicazione dei giudici civili provenienti da tutti i tribunali del distretto alla terza sezione civile della detta Corte per comporre il collegio in materia di immigrazione. Viene osservato che le suddette misure organizzative non sono state approvate dal Consiglio superiore della magistratura.

In tema di costituzione del giudice competente in materia di protezione internazionale, la circostanza che la causa sia stata decisa dal collegio con la partecipazione di un magistrato applicato in forza di un apposito provvedimento organizzativo non approvato dal Consiglio superiore della magistratura, non comporta tuttavia la nullità della decisione, sia perché il magistrato applicato non può essere considerato persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, sia perché l’art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forma non può essere pronunciata in assenza di espressa comminatoria di legge; né rileva la mancata approvazione del provvedimento da parte del C.S.M., posta la natura esecutiva e non retroattiva della pronuncia dell’organo di autogoverno (Cass. 26 aprile 2021, n. 10964).

4. – Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono inammissibili.

La Corte di appello ha rilevato che il richiedente non si era confrontato con gli specifici rilievi del giudice di prima istanza quanto alla genericità e contraddittorietà della narrazione vertente sulle persecuzioni poste in essere nei suoi confronti dai membri della setta degli *****: la Corte territoriale ha osservato, in particolare, come non risultasse articolata, nella fase di gravame, “una reale critica alla ratio detidendi adottata dal Tribunale nel provvedimento gravato inerente alla non credibilità della narrazione” (sentenza impugnata, pag. 7) e come, inoltre, lo stesso istante non avesse nemmeno allegato di aver richiesto la protezione degli organi statuali (sentenza impugnata, pag. 8).

Il ricorrente, coi mezzi di censura che si sono richiamati, lamenta anzitutto, nella sostanza, che i giudici di merito abbiano ravvisato delle contraddizioni nelle precisazioni da lui formulate in primo grado con riguardo alle dichiarazioni formulate avanti alla Commissioni territoriale, “trasformando l’interrogatorio libero in una sorta di giudizio inquisitorio, del tutto contrario alla ratio per cui è stato previsto”. Viene lamentato che il giudice (quello di prima istanza, è da intendere) “anziché porre domande più puntuali in ordine agli aspetti contraddittori come sopra rilevati, ha preferito utilizzare le dichiarazioni dell’interessato per tacciarlo di incoerenza e di non credibilità”. Lo stesso istante rileva, inoltre, come i rituali propri delle sette segrete nigeriane rappresentino veri e propri strumenti di coercizione psicologica, integrando quegli atti di violenza psichica di cui è parola nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7; osserva, infine, che la Corte di merito avrebbe mancato di considerare che le minacce di morte da lui ricevute, e provenienti dagli *****, integrano il timore di subire il grave danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

I motivi in questione non si misurano con la decisione impugnata, la quale, come si è visto, ha posto in evidenza che in appello non era stata formulata alcuna specifica censura vertente sugli elementi di contraddittorietà delle dichiarazioni dell’istante. Orbene, in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 10 agosto 2017, n. 19989).

Mette conto di aggiungere che, ove pure il ricorrente avesse contestato le richiamate affermazioni del Tribunale quanto alla non credibilità, egli avrebbe avuto l’onere, imposto dal principio di autosufficienza del ricorso, di indicare a questa Corte i passi dell’atto di appello che supportavano tale difesa; aspetto, questo, di cui l’impugnazione odierna non fornisce, per la verità, indicazioni.

Il ricorrente si disinteressa, del resto, anche di altro tema specificamente affrontato nella decisione della Corte di appello: quello relativo alla mancata allegazione di una richiesta di protezione alle autorità statuali a fronte dei supposti atti integranti persecuzioni o minacce di morte: premesso, infatti, che il dato della denegata tutela accordata dalla Stato assumeva incontestabile rilievo, valendo a integrare la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), va rammentato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016).

In mancanza di una efficace confutazione, in appello, del giudizio di credibilità espresso dal Tribunale, è ovviamente da escludere che la questione possa essere riproposta in sede di legittimità: per tale ragione risultano non conferenti le deduzioni svolte col terzo e col quarto motivo, le quali presuppongono un dato – la veridicità del racconto del richiedente – che risulta escluso dalla inattendibilità della versione dei fatti accertata dal giudice di primo grado. Le richiamate argomentazioni risultano, d’altro canto, prive di decisività ove pure si consideri il dato della mancata prospettazione, nel corso del giudizio di merito, di un rifiuto delle autorità statuali di offrire protezione (rifiuto che, come si è visto, assume centralità ai fini della configurabilità della persecuzione e del danno grave).

5. – Il quinto motivo è inammissibile.

Come è evidente, il riconoscimento della protezione umanitaria non può basarsi sulla vicenda persecutoria che ha per protagonisti gli *****: vicenda che è stata reputata non credibile. Tanto meno possono essere valorizzati, in questa sede, profili afferenti la “situazione di instabilità della Nigeria” che il ricorso per cassazione manca di circostanziare (avendo anche riguardo al contenuto delle pertinenti allegazioni che furono formulate in sede di merito). In tal senso, il mezzo di censura non coglie nel segno, in quanto si mostra incapace di aggredire la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso fosse stata fornita la prova della compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost.. Il ricorrente mostra, poi, di non cogliere, nella sua precisa dimensione fattuale, il rilievo, svolto dalla Corte di appello, secondo cui dall’effettuazione di prestazioni lavorative regolarmente retribuite non era desumibile il dato dell’effettiva integrazione del ricorrente nel tessuto sociale e culturale italiano.

6. – Il ricorso è respinto.

7. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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