LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17569-2020 proposto da:
P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE BARTOLO 22, presso lo studio dell’avvocato DANIELA CONTE, rappresentato e difeso da se stesso;
– ricorrente –
contro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 37, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO TRINCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO DONATO FRANCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2391/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 13/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
che:
1. Con atto notificato il 13/6/2020, P.V. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 2391/2019 della Corte d’Appello di Catanzaro, pubblicata il 13/12/2019. Con controricorso notificato il 23/7/2020 resiste la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a..
2. Per quanto ancora rileva, il sig. P. adiva il Tribunale di Vibo Valentia, ivi convenendo la BNL s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non, derivanti dalla illecita segnalazione inframensile presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia e connessa iscrizione operata il 7 ottobre 2006, nonostante la chiusura di ogni sua posizione debitoria; in particolare, deduceva quali conseguenze della indebita iscrizione il diniego di concessione di un prestito da parte di Poste Italiane s.p.a. e la revoca del fido e della “carta ego individuale” da parte di Credito Emiliano s.p.a.. Il Tribunale rigettava la domanda attorea.
3. Avverso la sentenza il sig. P. ha proposto gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro che, con la pronuncia in questa sede impugnata, ha rigettato l’appello e confermato integralmente la decisione di primo grado. In particolare, ha ritenuto che non fosse stata effettuata dalla BNL alcuna segnalazione inframensile, né mensile, mentre ha ritenuto provato che per un breve arco di tempo (dal 5-7 ottobre al 31 ottobre 2006) il nominativo del P. fosse stato iscritto all’interno della banca dati della Centrale Rischi; tuttavia, l’attore non aveva provato che i pregiudizi lamentati, patrimoniali e non, fossero causalmente collegati alla segnalazione in parola, di carattere temporaneo (dal 5/7 ottobre al 31 ottobre 2006).
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, nella parte in cui la Corte d’Appello avrebbe ritenuto inconferenti e, prima ancora, inammissibili le istanze istruttorie di parte appellante in quanto non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado. Per converso, il ricorrente rileva di aver riproposto anche in quella sede la richiesta di ammissione di prova testimoniale. Vieppiù, il giudice di secondo grado sarebbe incorso in errore anche là dove ha ritenuto non provato il danno non patrimoniale.
1.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
1.2. La Corte territoriale, con ordinanza del 18 luglio 2017, ha rigettato la richiesta di prova testimoniale avanzata dall’appellante sulla scorta di una duplice ratio decidendi: l’inconferenza del mezzo richiesto rispetto al thema probandum, nonché la sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado.
1.3. In questa sede, il ricorrente trascrive e localizza la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, con la quale chiedeva l’ammissione della prova testimoniale, nonché in parte la comparsa conclusionale in primo grado, tuttavia senza individuare l’atto processuale nel fascicolo di parte o d’ufficio, anche per come pervenuto dinanzi a questa Corte: talché la doglianza e’, per ciò solo, inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (per tutte, cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019). Inoltre, nel motivo manca ogni riferimento all’atto di precisazione delle conclusioni.
1.4. Pur volendo prescindere da tale rilievo concernente la incompleta redazione del ricorso, va sottolineato che, per quanto emerge dalla trascrizione parziale della comparsa conclusionale, la reiterazione dell’istanza istruttoria non appare idonea a stimolare uno scrutinio da parte del giudice di legittimità. Invero, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione (cfr. Cass. n. 5741 del 2019). Merita evidenziare, inoltre, che il ricorrente neppure si premura di indicare la decisività dei fatti da provare, secondo l’insegnamento di cui a Cass. Sez. U, Sentenza n. 28336 del 22/12/2011.
1.5. E’, del resto, priva di pregio anche la censura inerente al rigetto della domanda risarcitoria in punto di prova del danno non patrimoniale. Trattasi, infatti, di una questione assorbita da quanto sopra. In ogni caso, è appena il caso di sottolineare che il ricorrente insiste sulla tesi della possibilità di liquidare il danno patrimoniale o da immagine in via equitativa ex art. 1226 c.c., senza confrontarsi con la ratio decidendi assunta dal giudice di secondo grado, la quale – lungi dal non considerare il danno liquidabile per via equitativa – ha correttamente ritenuto che il danno all’immagine e alla reputazione, non potendo ritenersi sussistente in re ipsa, avrebbe dovuto quanto meno essere allegato e provato, essendo mancata la dimostrazione del nesso causale tra la segnalazione e il danno, sulla scorta di numerosi precedenti giurisprudenziali in tal senso (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8861 del 31/03/2021; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 12123 del 22/06/2020; Cass. n. 12954 del 2016; Cass. Sez. Un. n. 26972 del 2008).
1.6. Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” per avere la Corte d’Appello condannato il ricorrente alle spese del secondo grado che, invece, avrebbero dovuto essere compensate parimenti a quanto statuito in prime cure.
1.7. In conformità ai principi costantemente affermati da questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per minima quota, al pagamento delle spese stesse. Nel caso specifico la parte appellante era soccombente rispetto ai motivi di appello e quindi non poteva essere intesa quale parte vittoriosa (Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 19613 del 4/8/2017).
1.8. Pertanto, il motivo si dimostra palesemente infondato e, dunque, inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1.
2. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, poste a carico del ricorrente sulla base del D.M. n. 55 del 2014, oltre il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 3700,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie e ulteriori oneri di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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