LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33558-2019 proposto da:
S.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI MARIO FERRARI;
– ricorrente –
contro
I.S.M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO ZACCONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3191/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 24/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA GORGONI.
RILEVATO
che:
Con ricorso ex art. 703-bis c.p.c., I.S.M.S. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, S.G., chiedendone, per inadempimento dell’obbligo di rendiconto, la condanna alla restituzione della somma di Euro 242.446,00 o a quella diversa accertata in corso di causa, prelevata dal conto corrente, presso la Banca Intesa San Paolo, intestato alla impresa individuale Cairo 2000.
Il convenuto eccepiva di essere stato autorizzato ad operare sul conto corrente intestato alla ditta Cairo 2000 dall’attore, in forza di delega conferitagli in data 14 giugno 2007 e valevole fino al gennaio 2008, di aver eseguito su detto conto corrente solo le operazioni espressamente autorizzate, di essere sempre stato accompagnato, in occasione dei prelievi effettuati, da I.A., incaricato dal mandante di ricevere il denaro contante prelevato e poi utilizzato per il pagamento di dipendenti e fornitori della Cairo 2000.
Il Tribunale, con sentenza n. 12902/2004, condannava S.G. alla restituzione di Euro 242.446,00, ritenendo non provata la corresponsione delle somme da lui prelevate dal conto corrente della Cairo 2000 a persone incaricate dal mandante o al mandante stesso.
La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 3191/2019, oggetto dell’odierno ricorso, confermava la decisione di prime cure e condannava l’odierno ricorrente al pagamento delle spese di lite.
In particolare, dall’escussione del teste I.A., come richiesto dall’odierno ricorrente, la Corte d’Appello riteneva potersi trarre la dimostrazione che in talune occasioni, anteriori, però, al 2007, il teste avesse accompagnato in banca S.G. e che avesse ricevuto le somme dal primo prelevate per pagare fornitori e dipendenti della ditta Cairo 2000, che avesse assistito in altre occasioni al rilascio, da parte di S.G., di assegni bancari, tratti sul conto corrente di I.S.M.S., per il pagamento di somme da questi dovute a terzi, ma senza essere in grado di individuarne l’ammontare, che fosse stato assente dall’Italia dal mese di novembre 2007 al mese di gennaio 2008. Di conseguenza, concludeva che, provato il prelievo da parte di S.G. della somma di Euro 242.446,00 dal conto corrente della ditta Cairo 2000, nel periodo compreso dal giugno 2007 al gennaio 2008, e non risultando provata l’utilizzazione delle somme prelevate per consegnarle a I.A. o ad altri incaricati di I.S.M.S. o allo stesso I.S.M.S. e, non avendo provato in che modo la somma prelevata fosse stata utilizzata né di aver rendicontato le attività svolte per conto di I.S.M.S., l’appellante dovesse essere condannato a restituire la somma prelevata dal conto corrente intestato alla ditta Cairo 2000.
S.G. ricorre per la cassazione di detta sentenza, articolando un solo motivo, illustrato con memoria.
Resiste con controricorso I.S.M.S..
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO
che:
1. Con un unico motivo di ricorso S.G. deduce “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame cerca un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. I fatti asseritamente omessi sarebbero il doc. n. 5 allegato al fascicolo di primo grado dell’odierno ricorrente, da cui sarebbe emerso che la filiale dell’istituto Intesa San Paolo aveva comunicato che S.G. operava sul conto corrente in qualità di delegato con delega conferitagli in data *****; il doc. n. 4 sottoscritto da I.A., da cui emergeva che nel periodo dal giugno 2007 al gennaio 2008 era sempre stato accompagnato in banca da I.A., cui aveva consegnato il denaro prelevato insieme con tutto il cartaceo giustificativo delle operazioni eseguite; la testimonianza resa da I.A. che confermava le suddette circostanze, erroneamente indicando il periodo in cuì le stesse si erano svolte che non poteva essere anteriore al giugno 2007; la testimonianza di D.F., ex dipendente della ditta Cairo 2000, che confermava che le retribuzioni gli erano sempre state corrisposte da I.A..
Il motivo non può essere accolto.
Il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dai testi della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo.
Il ricorrente oltre ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” – onere non soddisfatto nel caso di specie – avrebbe dovuto tener conto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e che neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma (Cass. 29/03/2021, n. 8696).
In aggiunta, non può non rilevarsi che l’ubi consistam della censura mossa alla Corte d’Appello si sostanzia, in particolare, nella richiesta di diversa valutazione della prova testimoniale di I.A., allo scopo di far emergere che essa, quanto alla collocazione temporale dei fatti di causa, contrastasse con altri fatti emersi nel giudizio, e che la delega conferitagli non potesse essere anteriore al 2007, perché il conto corrente intestato alla ditta Cairo 2000 era stato acceso solo nel 2007.
Ad ogni modo dirimente risulta la circostanza che la Corte d’Appello abbia basato la decisione su due rationes decidendi: la mancata prova che le somme prelevate fossero state sempre consegnate a I.A., incaricato da I.S.M.S. a riceverle, e la mancata dimostrazione “che sull’utilizzazione di quella complessiva somma sia stato fornito da parte del signor S.G. il rendiconto e tanto meno che il rendiconto sia stato approvato dal signor I.S.M.S.” (p. 5 della sentenza). Di conseguenza, trova applicazione il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 19/05/2021, n. 13595).
2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
4. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021