Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33360 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27600-2015 proposto da:

CAMPOLONGHI ITALIA S.P.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO CHILOSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LORELLA FRASCONA’ e RAFFAELA FABBI che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

nonché contro CENTRO RISCOSSIONE TRIBUTI – CERIT S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 489/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 21/11/2014 R.G.N. 337/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. MARCHESE GABRIELLA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO;

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO 1. La Corte d’appello di Genova, pronunciando sull’appello principale dell’Inail e su quello incidentale di Campolonghi Italia SpA (di seguito, Campolonghi), previa correzione degli errori materiali contenuti nella sentenza n. 271 del 2013 del Tribunale di Massa, ha “annullato interamente le cartelle esattoriali opposte” e condannato la Campolonghi a pagare all’Inail Euro 76.172,92 per premi e somme aggiuntive; ha posto a carico della società le spese di consulenza tecnica d’ufficio; ha dichiarato compensate per 2/3 le spese d’appello e condannato la società a pagare il residuo nella misura specificata in dispositivo oltre spese generali.

2. Per quanto qui di rilievo, la Corte d’appello ha ritenuto doversi comprendere nell’obbligo assicurativo supplementare il personale costituito dai “segatori e armatori” e non anche quello dei capireparto, manutentori e impiegati tecnici.

3. Per i giudici, gli armatori andavano compresi tra coloro che erano esposti al rischio della silicosi per la frequenza quotidiana nelle stanze della segheria, come risultante dalla consulenza tecnica d’ufficio che aveva evidenziato una elevata diffusività nell’area segagione ove vi era alternanza nelle mansioni tra armatori e segatori.

4. Della decisione, ha chiesto la cassazione la società Campolonghi, con cinque motivi.

5. Ha opposto difese, con controricorso, l’Inail.

6. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, perché nessuno di essi ha chiesto la trattazione orale.

8. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 3, per avere la sentenza della Corte d’appello, sotto la dicitura conclusioni, riportato in maniera incomprensibili frasi che non rendono intellegibili quali siano state effettivamente le conclusioni rassegnata dall’INAIL nel giudizio di gravame.

9. Il motivo è infondato alla luce del principio di questa Corte secondo cui l’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti non è di per sé causa di nullità della sentenza, assumendo rilevanza soltanto quando sia accompagnata da una non corretta decisione sulle domande ed eccezioni ritualmente proposte (ex plurimis, Cass. n. 22587 del 2020); una tale evenienza, infatti, non è stata neppure prospettata dalla parte ricorrente.

10. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965 e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza ha riferito il rischio silicotigeno anche agli armatori, escludendolo “solo per coloro che, facendo ingresso nella stanza dei telai sporadicamente (avevano) subito un’esposizione minimale (…)”, in tal modo disattendendo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità che richiede la prova, a carico dell’INAIL, di un rischio effettivo.

11. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione al T.U. n. 1124 del 1965, art. 153, nella parte in cui la decisione avrebbe ritenuto assolto dall’Istituto assicurativo l’onere di prova dei fatti costitutivi del diritto ai premi, pur in assenza della prova oggettiva e concreta di tali fatti.

12. Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, in ragione del fatto che la sentenza impugnata avrebbe interpretato erroneamente la c.t.u. espletata in primo grado e ritenuto che la stessa avesse accertato, anche per gli armatori, l’esposizione al silice, formulando, altresì, un giudizio sulla natura sostanzialmente promiscua delle mansioni degli armatori e dei segatori; inoltre, avrebbe ritenuto sussistente l’obbligo assicurativo supplementare per gli armatori sulla base di una elencazione dei dipendenti che “l’Inail avrebbe dovuto produrre in primo grado (…) con le relative quantificazioni dei salari”.

13. Con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. L’omissione è riferita alla mancata esplicitazione delle ragioni per le quali si è ritenuta sussistente “alternanza di mansioni tra armatori e segatori”.

14. I motivi, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono complessivamente infondati.

15. A prescindere da eventuali limiti di ammissibilità delle censure fondate su atti non ritualmente sottoposti all’esame della Corte nel rispetto degli oneri di completezza e specificazione imposti dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 (la consulenza tecnica e i successivi chiarimenti utilizzati ai fini della decisione e oggetto di critica sono, infatti, riportati per mera sintesi dei loro contenuti e neppure adeguatamente localizzate negli atti processuali), i rilievi, nella sostanza, si risolvono in una critica dell’iter argomentativo che sorregge la decisione, non consentita in questa sede di legittimità.

16. La sentenza impugnata ha ritenuto sussistente l’obbligo di versare il premio supplementare, dovuto per l’esposizione alla inalazione del silicio libero, sia per i lavoratori segatori che per gli armatori, per l’elevata polverosità diffusa dell’area segagione nella quale risultavano esposti tanto i primi quanto i secondi, in ragione di una alternanza di mansioni tra gli stessi.

17. A tale giudizio, la corte di merito è pervenuta sulla base non solo della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado ma, altresì, in considerazione degli esiti di un precedente giudizio, intervenuto tra le stesse parti e conclusosi con sentenza n. 295 del 2013 della medesima Corte.

18. L’espresso giudizio integra un tipico accertamento di merito, in questa sede non ritualmente censurato secondo gli enunciati di Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite: v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici). Le censure, infatti, non indicano, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile alla fattispecie), il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo.

19. Sotto il profilo più specifico della violazione di legge, la sentenza impugnata si sottrae alle critiche mosse. In particolare, non è stato disatteso il principio più volte espresso da questa Corte in materia di obbligo di pagamento del premio supplementare previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 153, come sostituito dalla L. n. 780 del 1975, art. 10, il cui testo prevede che: “I datori di lavoro, che svolgono lavorazioni previste nella tabella allegato n. 8, sono tenuti a corrispondere un premio supplementare, fissato in relazione all’incidenza dei salari specifici riflettenti gli operai esposti ad inalazioni di silice libera o di amianto in concentrazione tale da determinare il rischio, sul complesso delle mercedi erogate a tutti gli operai dello stesso stabilimento, opificio, cantiere (…)”. Al riguardo si è precisato che il rischio di esposizione dei lavoratori ad inalazioni di silice libera o di amianto va accertato in concreto, con riferimento all’ambiente in cui viene espletata l’attività lavorativa (Cass. n. 9078 del 2013), specificandosi in particolare (cfr, ex plurimis, Cass., sez. un., n. 13025 del 2006; Cass. n. 6602 del 2005) che il premio supplementare è dovuto qualora, a causa dell’effettuazione delle lavorazioni tabellate, si verifichi nell’ambiente di lavoro una dispersione di silice libera o di amianto in concentrazione non inferiore a quella normalmente idonea a determinare, per il personale addetto, il rischio effettivo (e non già presunto) di contrarre la silicosi o l’asbestosi (cfr, Cass., n. 8970/1991).

20. La Corte distrettuale ha compiuto l’accertamento, in concreto, in ordine alla sussistenza dei presupposti per il pagamento del premio supplementare e tanto rende del tutto inconferente la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., che viene in rilievo nelle sole ipotesi in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova (si veda, ex plurimis, Cass. n. 13395 del 2018).

21. Nell’ipotesi di causa, la Corte territoriale non ha deciso la controversia secondo la regola di scomposizione della fattispecie basata sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni ma, affermato l’onere di prova in capo all’Istituto (v. pag. 3, punto 3, della sentenza impugnata), ha ritenuto, all’esito della complessiva valutazione delle risultanze acquisite in giudizio, positivamente raggiunta detta prova. Sulla decisione, dunque, non hanno influito né la distribuzione dell’onere probatorio né le conseguenze del suo mancato assolvimento.

22. Prive di riferibilità alla decisione risultano, poi, in particolare, le censure di cui al terzo motivo con cui è denunciata la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, giacché non risulta affatto che la decisione sia fondata su documenti prodotti dall’INAIL tardivamente. Analoghe considerazioni si impongono in relazione alle censure afferenti alla determinazione del premio supplementare. In proposito, la pronuncia dà atto di conteggi presentati dalla società che, accettati dall’INAIL, sono stati recepiti ai fini della decisione. La società avrebbe dovuto diversamente modulare le difese, in modo da incrinare il fondamento giustificativo della statuizione. Come illustrate, le critiche restano, invece, prive di riferibilità al decisum della sentenza impugnata e, pertanto, non sono riconducibili al paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr. ex plurimis, Cass. n. 20652 del 2009; n. 17125 del 2007; in motivazione, Cass. n. 9384 del 2017).

23. In ultimo, vi è da considerare che questa Corte, con sentenza n. 24607 del 2020 (avente ad oggetto la decisione della Corte di appello di Genova n. 295 del 2013), resa tra le stesse parti, si è già pronunciata in relazione alla medesima lavorazione, relativamente ad un periodo temporale (1996/2000) anche parzialmente coincidente con quello oggetto di causa (1995/2001).

24. Le argomentazioni rese, condivise dal Collegio, vanno in questa sede integralmente confermate.

25. Nessun rilievo assume invece la pronuncia del Tribunale di Massa n. 228 del 2016, passata in cosa giudicata, e prodotta unitamente alla memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1 (quanto alla possibilità di acquisizione, v. Cass. n. 16847 del 2018; Cass. n. 8607 del 2017) in quanto, sebbene riferita alle stesse parti, riguarda un diverso periodo temporale (anni 2005-2009) in relazione al quale lo stesso Tribunale dà atto di una “situazione ambientale (…) progressivamente mutata in senso migliorativo nel corso degli anni” (v. pag. 6, 2 cpv. sentenza Tribunale di Massa n. 228 del 2016).

26. Conclusivamente, sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso va rigettato.

27. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura liquidata in dispositivo.

28. Sussistono i presupposti processuali per il pagamento, da parte della ricorrente, del doppio contributo, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 7.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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