Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.33364 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 29371/2018 r.g. proposto da:

L.C., difensore di se medesima ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Paolo Emilio n. 7, presso lo studio dell’Avvocato Ester Perifano;

– ricorrente –

contro

***** S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI TARANTO depositato il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/10/2021 dal Consigliere Dott. CAMPESE Eduardo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Battista Nardecchia Giovanni, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

udita la ricorrente, Avv. C. Liuzzi, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. L’Avv. L.C., nominata commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo della ***** s.r.l. in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., avverso il decreto di liquidazione del proprio compenso reso dal Tribunale di Taranto il 27/28 giugno 2018. Ha esposto, tra l’altro che: a) la menzionata società era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo all’esito di ricorso, L.Fall., ex art. 161, del 2 marzo 2017; b) per effetto del mancato raggiungimento delle maggioranze di cui alla L.Fall., art. 177, il tribunale, in data 4 aprile 2018, aveva dichiarato la “improcedibilità” della proposta concordataria, contestualmente pronunciando il fallimento della società predetta; c) il Tribunale di Taranto, sezione fallimentare, provvedendo con il decreto suddetto sulla sua istanza depositata il 10 aprile 2018, le aveva liquidato il compenso, nella misura di Euro 10.000,00, senza in alcun modo tener conto dell’attività di accertamento dell’attivo da lei comunque svolta.

1.1. La ***** s.r.l. in liquidazione è rimasta solo intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico formulato motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 30 del 2012, art. 5, commi 1 e 5, in combinato disposto con il D.M. n. 30 del 2012, art. 1 e la L.Fall., artt. 39,165 e 172, con riferimento all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – ascrive al tribunale tarantino di avere totalmente omesso la liquidazione del compenso spettante all’odierna ricorrente, quale commissario giudiziale del concordato preventivo della ***** s.r.l. in liquidazione, con riferimento all’attivo da lei accertato nel corso della procedura.

2. Posta l’ammissibilità dell’odierno ricorso, da intendersi evidentemente formulato ex art. 111 Cost. (cfr. Cass. n. 22010 del 2007; Cass. n. 1394 del 2019; Cass. n. 387 del 2021; Cass. n. 4711 del 2021), occorre rilevare, preliminarmente, che l’ordinanza interlocutoria suddetta pone il quesito – la risposta al quale è logicamente prioritaria rispetto allo scrutinio del descritto motivo – dell’utilizzabilità, nell’odierna fattispecie, del principio sancito da Cass. n. 16269 del 2016, a tenore della quale, “nel caso di revoca dell’ammissione al concordato preventivo e di successiva dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, la domanda di liquidazione del compenso del commissario giudiziale proposta nel corso del procedimento di concordato diviene improcedibile e deve essere riproposta, esaminata e decisa in sede di accertamento del passivo fallimentare”.

2.1. Alteris verbis, si tratta di stabilire se il compenso invocato dal commissario giudiziale di un concordato preventivo ammesso, non giunto alla sua omologazione (nella specie per il mancato raggiungimento delle necessarie maggioranze dei creditori L.Fall., ex art. 177) e seguito da dichiarazione di fallimento della parte debitrice proponente la domanda concordataria, debba essere liquidato dal tribunale – quale giudice del concordato revocato – o dal giudice delegato del fallimento consecutivo.

2.2. Ritiene il Collegio di dover prediligere la prima delle indicate soluzioni, perché la stessa – costituente, peraltro, necessario presupposto implicito di tutte le innumerevoli decisioni di legittimità in cui si è statuito su ricorsi avverso provvedimenti di liquidazione del compenso del commissario giudiziale o del liquidatore del concordato senza affrontare la questione suddetta, malgrado la sua rilevabilità d’ufficio – ha ricevuto esplicito avallo nella recente sentenza n. 15789 del 7 giugno 2021, in cui questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di procedure concorsuali, il rinvio compiuto dalla L.Fall., art. 165, comma 2, alla L.Fall., art. 39, – il cui comma 3 prevede che la liquidazione del compenso finale avvenga “al termine della procedura” – comporta che, a seguito della chiusura, per qualsiasi causa, della procedura concordataria, il tribunale competente sulla regolazione del concorso abbia ancora il potere di provvedere alla liquidazione del compenso dovuto al commissario giudiziale, una volta che tutte le sue attività si siano concluse”.

2.2.1. La concreta fattispecie ivi decisa riguardava l’impugnazione di un decreto con cui l’adito tribunale, a seguito della già pronunciata inammissibilità di una domanda di concordato cd. in bianco presentata da una società – cui, però, diversamente dalla vicenda oggi in esame, non era seguita la dichiarazione di fallimento della proponente il concordato – aveva ritenuto di non poter provvedere sulla domanda di liquidazione del compenso presentata dal professionista già nominato commissario giudiziale ai sensi della L.Fall., art. 161, comma 6, atteso che la procedura concordataria risultava oramai chiusa, con la conseguente decadenza dei suoi organi.

2.2.2. Nella sua motivazione, la citata Cass. n. 15789 del 2021 evidenzia la sussistenza di una competenza esclusiva, in tema di liquidazione del commissario giudiziale nominato ai sensi della L.Fall., art. 161, comma 6, in capo al tribunale che dichiari inammissibile la domanda di concordato preventivo. Pertanto, a fronte della declaratoria d’inammissibilità e della conseguente chiusura “patologica” della procedura concordataria, il tribunale resta tenuto a liquidare i compensi dell’organo concorsuale cessato. Si sottolinea, infatti, come, in forza della L.Fall., art. 165, comma 2, si applichi “di rimando” al commissario giudiziale la L.Fall., art. 39, il cui comma 2 prevede che “la liquidazione del compenso è fatta dopo l’approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l’esecuzione del concordato”. In assenza di ragioni di incompatibilità, – si legge ancore nella pronuncia in esame – la regola del menzionato L.Fall., art. 39, postula che la liquidazione del compenso del commissario giudiziale avvenga “al termine della procedura”, allorché sono concluse tutte le attività di sua pertinenza ed il tribunale è in grado di apprezzare, in termini quantitativi e qualitativi, il carattere dell’opera professionale da retribuire, liquidando in via definitiva il compenso dovuto. Dunque, nella ricostruzione nomofilattica, e pur nella consapevolezza “dell’esistenza di arresti di questa stessa Corte in termini dissonanti (Cass. 16269/2016)”, il significato attribuito al rinvio operato dalla L.Fall., art. 165, comma 2, alla rammentata norma d’ambito fallimentare è nel senso dell’ultrattività necessaria delle funzioni del tribunale, a concordato concluso, rispetto alla liquidazione del compenso del commissario giudiziale. Detta ultrattività sussiste, in definitiva, “non solo ove il concordato omologato importi una successiva esecuzione ma, in linea generale, per tutte le ipotesi in cui non si sia provveduto prima dell’esaurirsi della procedura, per qualsiasi causa (mancata omologa, dichiarata inammissibilità, revoca dell’ammissione), alla liquidazione del compenso. Diversamente opinando, si relegherebbe il potere di liquidazione del Tribunale a un novero di situazioni del tutto marginali, con esclusione delle ipotesi di sviluppo patologico più frequenti, lasciando a un giudice estraneo alla procedura (il giudice delegato alla formazione del passivo o quello ordinario, a seconda che sia stato dichiarato, o meno, il fallimento), e quindi non a diretta conoscenza dell’andamento del procedimento, il compito di provvedere alla liquidazione” (cfr. pag. 5-6 della sentenza).

2.3. Il principio di diritto enunciato dall’appena descritta Cass. n. 15789 del 2021, inoltre, ha trovato sostanziale conferma nelle ancora più recenti sentenze rese da: 1) Cass. 20 luglio 2021, n. 20762, in una fattispecie – assolutamente analoga a quella decisa dalla prima – concernente l’impugnazione di un decreto del tribunale dichiarativo della improcedibilità dell’istanza di liquidazione del compenso per l’attività svolta dal commissario giudiziale nel concordato preventivo della società ivi indicata perché, all’esito della rinuncia, da parte di quest’ultima, alla propria domanda concordataria, la relativa procedura doveva intendersi estinta e, con essa, venuto meno ogni potere decisorio del tribunale; Cass. 21 luglio 2021, n. 20948, in un’ipotesi in cui la domanda di concordato aveva ricevuto votazione negativa dei creditori ma non era stato dichiarato il fallimento della proponente la stessa.

2.4. Le riportate affermazioni rese da Cass. n. 15789 del 2021, benché aventi, in quella sede, semplice valore di obiter dictum con riguardo a fattispecie diverse (come quella oggi all’attenzione del Collegio, in cui all’arresto della procedura concordataria era seguita la contestuale dichiarazione di fallimento della debitrice proponente il concordato) da quella (blocco della procedura concordataria non seguita da dichiarazione di fallimento della parte proponente il concordato) ivi concretamente affrontata, possono qui essere condivise, quale thema decidendum del presente giudizio e nell’ambito dello stesso, alla stregua delle seguenti ulteriori considerazioni.

2.4.1. Innanzitutto, è innegabile che la dichiarazione di fallimento immediatamente seguita al concordato preventivo attua non un fenomeno di mera successione cronologica, ma di “consecuzione di procedimenti”, che, pur formalmente distinti, sul piano funzionale finiscono per essere strettamente collegati, nel fine del rispetto della regola della par condicio, avendo le due procedure a presupposto un analogo fenomeno economico; si opera, in tal modo, una considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo, cui sia succeduta quella di fallimento, pur nella formale distinzione dei procedimenti (cfr., in motivazione, Cass. n. 24056 del 2021).

2.4.1.1. Tuttavia, il riportato principio di unitarietà delle procedure concorsuali succedutesi senza soluzione di continuità – benché avente valore sistematico, in quanto caratterizzato dall’esigenza di salvaguardia dell’interesse superiore di condicio creditorum, anche contro eventuali espedienti tesi a vanificarla (cfr., oltre alla già citata Cass. n. 24056 del 2021, anche Cass. n. 8970 del 2019) – non è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte come autonomo criterio normativo, destinato a risolvere tutti i problemi di successione tra le procedure, bensì come enunciato meramente descrittivo di soluzioni regolative aventi specifiche e distinte fonti normative (cfr. Cass. n. 3156 del 2006). Sicché, ad esempio, il principio è stato riconosciuto a proposito della decorrenza del periodo sospetto ai fini dell’azione revocatoria fallimentare (oggi, peraltro, questa conclusione è normativamente sancita dalla L.Fall., art. 69-bis, comma 2, introdotto dalla L. n. 134 del 2012, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 83 del 2012), ma è stato negato a proposito della sospensione del corso degli interessi, quando il fallimento consegua ad un’amministrazione controllata anziché a un concordato preventivo. D’altro canto, per quanto possano essere considerate unitariamente a taluni effetti le diverse procedure concorsuali succedutesi, non pare discutibile che siano significativamente diverse le attività cui sono tenuti, rispettivamente, il commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo, che può prescindere dalla liquidazione dei beni del debitore, ed il curatore fallimentare, che deve sempre procedere alla liquidazione dell’attivo. Ciò spiega anche il perché, laddove al concordato preventivo faccia seguito il fallimento, la legge assegna al commissario un compenso distinto ed autonomo rispetto a quello che viene corrisposto al curatore del fallimento sopravvenuto. Detto fallimento, dunque, non elide, perciò solo, la competenza del tribunale, giudice del concordato, a liquidare il compenso invocato dal commissario giudiziale.

2.4.2. Infine, alle ragioni tutte già esposte da Cass. n. 15789 del 2021 (il rinvio contenuto nella L.Fall., art. 165, all’art. 39 delle medesima legge, che prevede che il compenso del curatore sia liquidato al termine della procedura, dal tribunale, con decreto non soggetto a reclamo; l’essere principio generale quello secondo cui i compensi di un ausiliario del giudice sono liquidati con decreto – non in sede contenziosa – dallo stesso giudice che quel soggetto ha nominato ed è dunque in grado di valutarne l’opera), va aggiunto che se i crediti per il compenso del curatore e degli altri ausiliari nominati dal giudice delegato non sono soggetti al procedimento di verifica (L.Fall., art. 39 e art. 111, comma 1), ritenere che lo sia, invece, il credito per compenso del commissario giudiziale comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento.

2.5. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto:

“In tema di procedure concorsuali, il rinvio compiuto dalla L.Fall., art. 165, comma 2, all’art. 39 della medesima legge – il cui comma 3 prevede che la liquidazione del compenso finale avvenga al termine della procedura – comporta che alla liquidazione del compenso invocato dal commissario giudiziale di un concordato preventivo ammesso, non giunto alla sua omologazione per il mancato raggiungimento delle necessarie maggioranze dei creditori L.Fall., ex art. 177 e seguito da dichiarazione di fallimento della parte debitrice proponente la domanda concordataria, debba provvedere il tribunale, quale giudice del concordato predetto, e non il giudice delegato del fallimento consecutivo”.

3. Potendosi passare, quindi, all’esame del motivo di ricorso formulato dall’Avv. L., che, giova ricordarlo, ascrive al tribunale tarantino di aver totalmente omesso la liquidazione del compenso spettantele, quale commissario giudiziale del concordato preventivo della ***** s.r.l. in liquidazione, con riferimento all’attivo da lei accertato nel corso della procedura, ritiene il Collegio che la corrispondente doglianza non meriti accoglimento.

3.1. Invero, si evince dal ricorso che il concordato predetto era stato prospettato con liquidazione dei beni e che, tuttavia, stante la sopravvenuta “improcedibilità” della proposta (a seguito di mancata approvazione da parte della maggioranza dei creditori), la liquidazione non era stata fatta.

3.1.1. Ha osservato, poi, il tribunale che, non essendo stata compiuta alcuna liquidazione, il criterio cui ragguagliare il compenso, in base al D.M. n. 30 del 2012, art. 5, doveva essere esclusivamente quello del passivo.

3.2. Orbene, è utile premettere che la L.Fall., art. 165, comma 2, dispone che “Si applicano al commissario giudiziale gli artt. 36, 37, 38 e 39”. Quest’ultimo, a sua volta, stabilisce che il compenso è determinato “secondo le norme stabilite con decreto del Ministro della giustizia” che, attualmente, è quello del 25.1.2012, n. 30, sicuramente applicabile, ratione temporis, nel caso di specie posto che la ***** s.r.l. in liquidazione fu ammessa alla procedura concordataria all’esito della sua istanza del 2 marzo 2017.

3.2.1. I compensi per i commissari sono regolati, quindi, dall’art. 5 del citato D.M., il quale distingue tra le procedure di concordato preventivo “in cui siano previste forme di liquidazione dei beni” (comma 1) e le “procedure di concordato preventivo diverse da quelle di cui al comma 1” (comma 2).

3.2.2. Il comma 1 di tale norma stabilisce che, nelle procedure di concordato in cui siano previste forme di liquidazione, spetta al commissario giudiziale, anche per l’opera prestata successivamente all’omologazione, il compenso determinato con le percentuali: (i) di cui all’art. 1, comma 1, del medesimo D.M. “sull’ammontare dell’attivo realizzato dalla liquidazione” e (ii) di cui all’art. 1, comma 2, “sull’ammontare del passivo risultante dall’inventario” redatto ai sensi della L.Fall., art. 172; la norma aggiunge, in chiusura del comma, che (iii) “si applica l’art. 4, comma 1”, relativo ai minimi previsti per il curatore fallimentare. Il comma 2, invece, sancisce che, nelle procedure di concordato preventivo diverse da quelle di cui al comma 1, spetta al commissario giudiziale, anche per l’opera prestata successivamente all’omologazione, il compenso determinato con le percentuali di cui all’art. 1, “sull’ammontare dell’attivo e del passivo risultanti dall’inventario” redatto ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 172; si aggiunge, in chiusura del comma, che “si applica l’art. 4, comma 1”.

3.2.3. La differenza, quindi, tra concordati liquidatori e non, per quanto attiene al compenso, sta nel fatto che, per il primo, le percentuali sono parametrate sull’attivo realizzato e, nel secondo sull’attivo inventariato a norma della L.Fall., art. 172, ossia sulla base dell’inventario redatto dal commissario, che attiene ai valori statici fissati al momento in cui tale inventario viene predisposto.

3.2.3. La norma è ben diversa da quella precedente di cui al D.M. n. 570 del 1992 che, non solo prevedeva due compensi (uno per l’attività fino all’omologa ed un altro per l’attività successiva) per il commissario giudiziale, ma ne distingueva anche i criteri di determinazione e, per il primo, stabiliva che esso era determinato “con le percentuali di cui all’art. 1, sull’ammontare dell’attivo e del passivo risultanti dall’inventario redatto ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 172 e 188” e che il secondo era calcolato “sull’attivo della liquidazione, nei casi di cessione dei beni previsti dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 182”.

3.2.4. Nel decreto previgente, dunque, veniva preso in esame l’attivo inventariato per poi passare all’attivo liquidato per la fase successiva all’omologa, sicché potevano giustificarsi pure quelle pronunce di legittimità secondo cui il compenso del commissario giudiziale nel concordato preventivo senza cessione di beni dovesse determinarsi sulla base dell’attivo inventariato, non sulla base dell’attivo realizzato (cfr. Cass. n. 9149 del 1997; Cass. n. 3691 del 2000). Questa distinzione tra attivo inventariato ed attivo liquidato, però, non è più considerata nel nuovo decreto, nel quale le risultanze dell’inventario rilevano soltanto ai fini del compenso sul passivo. Di conseguenza, in mancanza di effettiva liquidazione in un concordato con cessione dei beni, non è possibile tornare a far riferimento all’attivo inventariato.

3.3. Giova rimarcare, poi, che la recente Cass. n. 4711 del 2011 (resa in fattispecie sostanzialmente simile a quella odierna: lì si trattava di concordato aperto e poi revocato per violazioni della L.Fall., art. 162, denunziate nella relazione ex art. 173 della stessa legge, con separata dichiarazione di fallimento), dopo aver riportato il già riprodotto il D.M. n. 30 del 2012, art. 5, comma 1, ha osservato che l’utilizzo simultaneo dei primi due criteri – l’uno immediato e l’altro supplementare (come ben si ricava dal riferimento all’art. 1, comma 2, del medesimo D.M.) – “presuppone che vi sia stata la liquidazione delle componenti attive”. Ove ciò non sia avvenuto, l’unico parametro per la liquidazione del compenso è quello residuale di cui al richiamato art. 4, comma 1.

3.3.1. L’odierna ricorrente assume che il proprio compenso debba determinarsi in ogni caso con le percentuali di cui all’art. 1 sull’ammontare dell’attivo e del passivo risultanti dall’inventario avendo ella interamente svolto l’incarico affidatole (“il mancato raggiungimento delle maggioranze non può essere considerato un’interruzione dell’incarico del Commissario, ma, unicamente, un’ipotesi diversa di cessazione delle funzioni interamente portate a termine, mediante il deposito della Relazione L.Fall., ex art. 172 che ha consentito lo svolgimento dell’adunanza dei creditori e la votazione, seppure con esiti non idonei all’omologazione”. Cfr. pag. 4 della sua memoria datata 19 ottobre 2021). Ma un siffatto criterio, come si è già detto, è stabilito, oggi, solo per le procedure di concordato preventivo “diverse da quelle di cui al comma 1”, vale a dire per le procedure non liquidatorie.

3.3.2. Ciò comporta che la pretesa dell’Avv. L. di vedersi liquidare il compenso anche sull’attivo inventariato, come indicato in ricorso (cfr. pag. 10), in applicazione del criterio di cui all’art. 5, comma 2, non possiede alcun fondamento.

3.3.2.1. Il tribunale poteva commisurare il compenso all’importanza dell’attività svolta, purché nel rispetto dei minimi fissati per il compenso del curatore (art. 4 del D.M. citato). Poiché, in ogni caso, tale soglia non è stata violata, essendo stato liquidato un compenso ben superiore al minimo spettante, il ricorso va rigettato.

4. Non vi è necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo la ***** s.r.l. in liquidazione rimasta solo intimata, dovendosi, invece, dare atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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