Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33397 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17774/2015 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. *****, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO N. 184, presso lo studio dell’avvocato ENRICO ZACCARETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERLUIGI MARIA TENAGLIA;

– ricorrente –

contro

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA ADRIANA n. 20 presso lo studio dell’Avvocato EMANUELE PAGLIARO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 05/02/2015 R.G.N. 1136/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

RILEVATO IN FATTO

che:

1. la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 112/2015, in riforma della pronuncia del Tribunale di Chieti accoglieva l’appello proposto da T.F., operatore specializzato psicologo, nei confronti del Centro di Salute Mentale della ASL di Chieti, volto ad ottenere l’accertamento della natura subordinata delle prestazioni rese nei confronti dell’ASL con decorrenza dal 16.12.1998 e la condanna dell’Azienda al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione al rapporto di lavoro subordinato, in conformità al c.c.n.l. per il personale medico del comparto Sanità;

2. il ricorrente deduceva di aver prestato attività alle dipendenze dell’ASL chiamata in giudizio in forza di borse di studio per il periodo dal 28.1.1995 al 28.2.1997 e dal 16.12.1997 al 15.12.1998, in regime di convenzione per il periodo dal 16.5.1999 al 16.8.1999, da111.11.1999 all’1.2.2000 e dal 15.3.2000 al 28.2.2004 ed in virtù di collaborazione coordinata e continuativa per il periodo dall’11.5.2004 al 31.12.2006, dal 15.3.2007 al 15.3.2008 e dal 15.6.2008 al 31.12.2008;

3. la Corte territoriale rilevava che l’attività di collaborazione del T. in favore dell’ASL risultava per tabulas dall’esame documentale e, in particolare, dalle delibere di riferimento al servizio prestato;

riteneva pacifico l’inserimento in pianta organica del ricorrente, in considerazione vuoi dell’impegno orario prestabilito e della corresponsione di un onorario mensile onnicomprensivo, vuoi della durata complessiva del rapporto protrattosi senza soluzione di continuità per oltre nove anni;

statuiva che nulla era dovuto per il periodo di cui alle borse di studio in quanto tali rapporti non hanno natura lavorativa e sono estranei al sinallagma contrattuale e precisava, al riguardo, che la funzione di tali borse era quella di offrire un effettivo addestramento;

evidenziava che non risultava nemmeno allegata circostanza alcuna da cui dedurre un mascherato rapporto di lavoro a tempo subordinato dietro lo schermo della borsa di studio;

5. quanto all’attività di lavoro prestata in forza di convenzioni e di collaborazione coordinata e continuativa, escludeva che vi fosse prova della corrispondenza di tale attività ad un obiettivo o progetto specifico e riteneva, invece, dimostrata “la presenza dei c.d. indici rilevatori dell’esistenza di un rapporto di pubblico impiego”, così come individuati dalla giurisprudenza;

in particolare, evidenziava che nel caso di specie: – l’operatore era stabilmente inserito nell’organizzazione dell’Ente; – svolgeva mansioni di psicologo ed era inquadrato in una qualifica “che esprime una specializzazione professionale non connessa ad un’oggettiva apicalità di area o di settore”; osservava un orario eterodeterminato; – svolgeva le mansioni di psicologo osservando le direttive dell’Azienda quanto alle determinazioni temporali e quantitative della prestazione; – riceveva una retribuzione predeterminata e periodica che prescindeva dagli obiettivi o dai risultati conseguiti; – gli incarichi erano “reiterati” e sicuramente rispondevano all’esigenza di coprire una carenza di organico;

secondo la Corte territoriale era stata, pertanto, data prova certa della natura subordinata del rapporto, con conseguente applicazione dell’art. 2126 c.c. con conseguente diritto alla retribuzione e alla contribuzione propria di un rapporto pubblico “regolare”;

i giudici di appello consideravano, inoltre, provati anche i periodi di attività non coperti da contratto, sia tramite prova per testi sia tramite i fogli di presenza allegati in corso di causa ed attestanti la continuativa frequentazione, da parte del ricorrente, del Centro di Salute Mentale dell’ASL di *****;

ritenevano, quanto ai suddetti periodi, applicabile l’art. 2041 c.c., in virtù della continuità del rapporto dal 16.12.1998 al 31.12.2008, avendo il T. messo a disposizione le proprie energie lavorative in favore dell’Azienda e avendo l’ASL di Chieti implicitamente riconosciuto l’utilità della prestazione;

da ultimo la Corte sottolineava che non era stata riproposta nelle conclusioni dell’appello la richiesta di riammissione in servizio presso l’Azienda, cui il T. aveva fatto riferimento solo nella parte motiva dell’atto e che, in ogni caso, tale richiesta, alla luce del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, era da considerarsi infondata;

6. ricorre per la cassazione della sentenza l’ASL di ***** con tre motivi;

7. il T. ha proposto difese con regolare controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. con il primo motivo l’ASL denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., e art. 113 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

sostiene l’illogicità del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale nel riconoscere l’esistenza del rapporto di subordinazione in quanto nessuna simmetria può riscontrarsi tra i criteri determinati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini del riconoscimento della subordinazione e le condizioni contrattuali del T.;

lamenta che i giudici di appello abbiano ritenuto sussistente il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro con affermazioni del tutto apodittiche e presuntive, in spregio alle risultanze di causa e sulla base di meri elementi indiziari e che non abbiano considerato la mancanza di prova dell’elemento essenziale della subordinazione ossia della soggezione del lavoratore al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare;

2. con il secondo motivo I’ASL denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, della L. n. 183 del 2010, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile l’art. 2126 c.c., perché in materia di pubblico impiego il risarcimento astrattamente suscettibile di tutela è quello previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36;

sostiene che, in ogni caso, il danno deve essere specificatamente dimostrato dalla parte interessata, non potendo mai essere automatico e che nel caso de quo nessuna prova era stata fornita;

si duole, poi, dell’errore della Corte territoriale nell’aver attribuito al lavoratore l’intero trattamento retributivo e previdenziale previsto dall’art. 2126 c.c., in violazione di quanto permesso dalla legge che, in punto di quantificazione del danno, ai sensi della L. n. 183 del 2010, fa espresso riferimento ad un indennizzo onnicomprensivo, con esclusione di un ricalcolo delle differenze retributive;

3. con il terzo motivo l’ASL denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 2041 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

lamenta la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato per avere, in spregio all’art. 112 c.p.c., riconosciuto il trattamento retributivo anche per i periodi non coperti da contratto, così estendendo il petitum e attribuendo al T. un’utilità che egli non aveva nemmeno richiesto;

4. il primo motivo non può essere accolto;

4.1. ad onta della denunciata violazione di legge, in realtà il ricorrente sollecita un riesame nel merito delle valutazioni e delle considerazioni fatte dalla Corte d’appello, sebbene il vizio di violazione di legge consista in un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e ne implichi necessariamente un problema interpretativo; l’allegazione di un’erronea ricognizione del fatto mediante nuova lettura delle risultanze istruttorie e’, invece, cosa diversa dall’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (tra le recenti: Cass. n. 3340 del 2019); in particolare, secondo questa Corte, la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo l’eventuale erronea individuazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 9106 del 2021; Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 5436 del 2019; Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009); qualora l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto, può farsi ricorso ad elementi dal carattere sussidiario e indiziario (per tutte: Cass., Sez. Un., n. 379 del 1999, con la risalente giurisprudenza ivi richiamata) che, lungi dal prescindere dall’essenzialità della subordinazione, ne accertano in via indiretta l’esistenza quali evidenze sintomatiche di un vincolo non rintracciabile aliunde; è chiaro che la mera applicazione dei singoli indici rivelatori rimane muta – o può essere addirittura fuorviante – se non si accompagna ad una globale visione di insieme che attribuisca maggiore o minor valore ad alcuni di essi a seconda delle peculiarità della prestazione di cui si discute; vale, cioè, il paradigma logico secondo cui gli indizi, proprio perché tali, vanno letti congiuntamente affinché il processo inferenziale conduca a risultati univoci; ancora le Sezioni unite di questa Corte (n. 379/99 cit.) insegnano come “ciò che deve negarsi è soltanto l’autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione del rapporto in contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale (id est, a costituire il criterio, generale ed astratto, preordinato a siffatto risultato specifico), non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi, funzionale alla suddetta indagine prioritaria e decisiva sulla sussistenza del requisito della subordinazione, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori dell’effettività di tale sussistenza”;

4.3. è stato anche precisato (Cass. n. 14573 del 2012) che in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, deve essere effettuata secondo il tradizionale primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro: l’esistenza di tale parametro deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il nomen juris utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente (v. in termini anche Cass. n. 13858 del 2009; Cass. n. 10043 del 2004; Cass. n. 4770 del 2003);

4.5. ai fini, poi, della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica e adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, non deponendo in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni (Cass. n. 3314 del 2019; Cass. 28161 del 2018; Cass. n. 17101 del 2017; Cass. n. 1639 del 2012; Cass. n. 12749 del 2008);

4.5. ciò detto, al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, essendo del tutto estranea allo scrutinio di legittimità la funzione di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie;

l’accertamento in ordine alla ricostruzione dei fatti, principali e secondari, che concretano gli indici sintomatici della subordinazione e del come si siano verificati nella vicenda storica che origina la controversia compete ai giudici di merito, così come spetta loro anche la valutazione di detti fatti, al fine di esprimerne un giudizio complessivo che sintetizzi le ragioni del convincimento maturato;

in particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (per tutte, sui limiti del sindacato di legittimità in tema di subordinazione v. Cass. n. 11015 del 2016; successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass. n. 25383 del 2017; da ultimo: Cass. n. 32385 del 2019);

inoltre, il giudice di legittimità può sindacare la sussunzione operata dall’impugnata sentenza, sempre nei limiti di una censura appropriata, negando – per dirla con la decisione delle SS.UU. n. 379/99 già citata – che un singolo elemento sintomatico possa fondare la riconduzione del rapporto in contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale, dovendo invece essere praticata una valutazione globale dei medesimi, quali “concordanti, gravi e precisi indici rivelatori” dell’effettività della sussistenza della subordinazione; tuttavia chi ricorre per cassazione non può – come nella specie ha fatto parte ricorrente – limitarsi ad opporre un diverso convincimento, criticando la sentenza impugnata per aver valorizzato talune circostanze, che si assumono prive di valore significativo, piuttosto che altre, ritenute al contrario più rilevanti, con ciò assumendo erroneamente di avere individuato vizi idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata;

4.7. ai principi di diritto innanzi richiamati, condivisi dal Collegio, si è correttamente attenuta la Corte territoriale la quale, oltre a valorizzare l’assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, (professionalità e competenze non esistenti in organico, pag. 6 della sentenza impugnata), ha affermato la natura subordinata del rapporto dopo avere esaminato le modalità di svolgimento dello stesso e avere escluso qualsiasi margine di autonomia del prestatore;

il giudice d’appello ha, così, ravvisato la prova degli indici sintomatici della subordinazione indicati nello storico di lite;

il giudizio di merito compiutamente espresso dalla Corte territoriale non è sindacabile in questa sede né è configurabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua attuale formulazione e nell’interpretazione datane da Cass. Sez. Un., n. 8053 del 2014;

5. anche il secondo motivo è infondato;

la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte con riguardo all’art. 2126 c.c., e alla sua applicabilità anche alle Pubbliche Amministrazioni;

va, infatti, ricordato che un rapporto di lavoro subordinato di fatto con un ente pubblico non economico, per i fini istituzionali dello stesso, ancorché non assistito da un regolare atto di nomina e, al limite, vietato da norma imperativa, rientra nella nozione di impiego pubblico e non impedisce l’applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente diritto alla retribuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico `regolare’ (v. Cass. n. 20009 del 2005; Cass. 1639 del 2012; Cass. n. 23645 del 2016; Cass. n. 3384 del 2017 cit.; Cass. n. 17101 del 2017 cit.);

infondatamente la ricorrente richiama la quantificazione del danno di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, che opera su un piano del tutto diverso rispetto a quello oggetto della presente controversia, riguardando la diversa ipotesi in cui operi la conversione del contratto a termine;

per il resto i rilievi attengono al merito della controversia;

6. è invece fondato il terzo motivo;

6.1. va innanzitutto evidenziato che il rilievo con il quale la ricorrente lamenta il vizio di ultra ed extrapetizione è ritualmente formulato essendo espressamente richiamata la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 (e cioè la nullità della sentenza o del procedimento) ed evincendosi dal complessivo argomentare che la sentenza non si è attenuta alla regola fissata dall’art. 112 c.p.c.;

il motivo, inoltre, supera il vaglio preliminare di ammissibilità anche per quanto riguarda gli atti ritenuti rilevanti il cui contenuto è riprodotto nelle parti essenziali e che sono stati anche puntualmente richiamati con precisa indicazione della loro allocazione nei fascicoli di parte inseriti nel fascicolo d’ufficio della Cassazione (pagg. 44 e 45 del ricorso per cassazione);

6.2. nel riconoscere il trattamento retributivo anche nei periodi in cui non vi era stata idonea copertura contrattuale inter partes ai sensi dell’art. 2041 c.c. effettivamente la Corte territoriale è incorsa nella denunciata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sol che si consideri che una domanda di indebito arricchimento non era stata introdotta dal T. né con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado né con l’atto di appello (si vedano i relativi atti, come detto puntualmente richiamati in sede di ricorso per cassazione);

in particolare, il Tribunale di Chieti aveva sottolineato, con riferimento al periodo prestato in assenza di qualsiasi stipula di convenzione, l’inutilizzabilità del parametro di cui all’art. 2126 c.c., e “la mancanza di qualsiasi richiesta da parte del ricorrente ex art. 2041 c.c.” (v. pag. 44 del ricorso per cassazione);

peraltro, in sede di atto di appello, proprio il T. aveva evidenziato (v. pag. 7 e 8 di tale atto richiamato alle pagg. 44 e 45 del ricorso per cassazione) che l’azione di arricchimento, per il limite imposto dall’art. 2041 c.c., “non poteva essere proposta in sede di ricorso di lavoro essendo richiesta già la corresponsione delle differenze retributive maturate a seguito del rapporto di lavoro dal 16.12.1998 al 31.12.2008”;

6.3. si ricorda che il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del ‘petitum’ e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (v., ex multis, Cass. n. 8048 del 2019; Cass. n. 9002 del 2018; Cass. n. 18868 del 2015);

6.4. nella specie la richiesta di pagamento, reclamandosi l’applicazione dell’art. 2126 c.c., era stata avanzata in riferimento alla dedotta nullità dei contratti di collaborazione e parasubordinazione intercorsi tra le parti (domanda cui, inizialmente, si era aggiunta quella intesa ad ottenere la stabilizzazione del rapporto, non più riproposta in sede di appello);

una pronuncia di arricchimento senza causa, con riguardo ai periodi di lavoro non ‘copertì dalla stipula di formali contratti di collaborazione coordinata e continuativa (per i quali era stata formulata richiesta ex art. 2126 c.c.), non poteva essere data d’ufficio e, ove pure fosse stata introdotta una domanda in tal senso con l’atto di appello, la stessa si sarebbe dovuta dichiarare inammissibile perché nuova;

del resto, viola il principio della domanda (art. 112 c.p.c.), oltreché quello del contraddittorio, il giudice che sostituisca, ‘ex officiò, Tactio de in rem versò ad altra azione proposta dalla parte (v. Cass. 22 aprile 1981, n. 2379);

7. da tanto consegue che il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, mentre vanno rigettati gli altri;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e ad una nuova determinazione delle somme spettanti al Tatarelli escludendo dal computo quelle quantificate ex art. 2041 c.c. e verificando, alla luce dei rilievi mossi dall’appellante alla pronuncia del Tribunale (che, come evidenziato, quanto alle prestazioni asseritamente rese in assenza di qualsiasi stipula di convenzione aveva escluso la possibilità di far ricorso all’invocato principio di cui all’art. 2126 c.c., e ritenuto preclusa al suo vaglio la richiesta del ricorrente ex art. 2041 c.c., non formulata in sede di ricorso introduttivo), se per i suddetti intervalli sia stata eventualmente formulata esplicita domanda di pagamento ad altro e diverso titolo;

il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;

8. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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