Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33437 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4533-2020 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliata in Roma, Via Cosseria, 2, presso lo studio dell’avvocato Criscuolo Giuseppe, rappresentata e difesa dagli avvocati Imperato Paolo, Farace Mario;

– ricorrente –

contro

F.P., F.E.M., elettivamente domiciliati in Roma, Via Di Villa Grazioli 15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bevilacqua Aldo;

– controricorrenti –

e contro

F.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1546/2019 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 15/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Casadonte Annamaria.

RILEVATO

Che:

-la signora C.F. ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Salerno che ha rigettato il di lei gravame avverso la sentenza del Tribunale di Salerno che aveva respinto la domanda di restituzione proposta dalla medesima Cappuccio nei confronti di Farace Anna;

– il primo giudice aveva qualificato la domanda proposta dalla Cappuccio in termini di azione di rivendicazione per avere l’attrice agito per la restituzione della parte di terreno di mq 32 della particella ***** del foglio ***** del NCT del Comune di Scala, località Acquabona, asseritamente occupata illegittimamente da un corpo di fabbrica della convenuta Farace;

– in tale prospettiva il Tribunale di Salerno riteneva che l’attrice non avesse fornito la prova della proprietà esclusiva, attesa l’irrilevanza del solo atto di acquisto del 1996, dal quale risultava la proprietà solo parziale, reputando invece necessario risalire attraverso i danti causa fino all’acquisto originario ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione;

– a fondamento dell’appello la Cappuccio deduceva l’erronea valutazione in ordine all’onere della prova, attesa la mancata contestazione da parte della convenuta, rimasta contumace, che determinava l’attenuazione dell’onere probatorio;

– la Corte d’appello, avanti alla quale si sono costituiti gli appellati F.E.M. e F.P. nella qualità di eredi di Farace Anna, dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., ha rilevato il mancato rideposito del fascicolo di primo grado in precedenza ritirato nell’ambito del giudizio di prime cure, così come dei documenti depositati nel precedente grado di giudizio, non prodotti dall’appellante in sede di costituzione;

– ciò posto, la Corte ha ritenuto non assolto dalla Cappuccio l’onere di provare mediante tempestive produzioni documentali, nel rispetto del divieto di cui all’art. 345 c.p.c., la titolarità dell’immobile neppure secondo il contenuto attenuato del predetto onere, che, invece, ha ritenuto del tutto sguarnito di prova;

– la Corte ha anche evidenziato come la contumacia della Farace nel primo giudizio non possa essere assimilata alla non contestazione ex art. 115 c.p.c. che presuppone un comportamento concludente della parte costituita; la Corte ha infine precisato, per quanto ancora di interesse, che la contestazione può manifestarsi per la prima volta in appello ove la parte sia rimasta contumace;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta con ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., cui resistono F.E.M. e F.P. con controricorso pure illustrato da memoria;

– non ha svolto attività difensiva l’intimata F.C..

CONSIDERATO

Che:

-va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del controricorso formulata dalla ricorrente nella memoria, per difetto del requisito della specialità della procura ex art. 365 c.p.c., atteso che il mandato si riferisce chiaramente alla difesa nel giudizio di impugnazione in cassazione della sentenza d’appello oggetto del ricorso in esame;

– il primo motivo del ricorso, con cui si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c. in relazione al contegno omissivo dell’originaria parte evocata e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’omessa applicazione dell’attenuazione dell’onere probatorio, nonché il mancato esame di elementi unuivoci atti a dimostrare la sicura contitolarità del bene ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. Sez. Un. 7155/2017; Cass., Sez. II, 29629/2020);

-la Corte d’appello ha escluso che il principio di non contestazione possa applicarsi nel caso di specie ritenendo, in conformità con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il principio in questione presuppone un comportamento concludente della parte costituita, mentre nel caso di specie la parte è contumace nel primo grado ma si è costituita in appello formulando difese contrarie alla domanda dell’appellante (cfr. Cass. 14623/2009; id.4161/2014; id. 416/2015; id.16800/2018);

– la Corte di cassazione ha chiarito che l’esclusione dei fatti non contestati dal “thema probandum” non può ravvisarsi in caso di contumacia del convenuto, in quanto la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio, non essendovi un onere in tal senso argomentabile dal sistema; pertanto, al convenuto, costituitosi in appello, non è precluso contestare i fatti costitutivi e giustificativi allegati dall’attore a sostegno della domanda;

– parimenti inammissibile è la doglianza sull’applicazione dell’onere probatorio attenuato che non à stato escluso dalla Corte d’appello, la quale ha ritenuto decisiva la rilevata mancata produzione di documentazione idonea anche nella prospettiva dell’onere probatorio attenuato ed alla luce della contestazione svolta dalla controparte in sede di gravame;

– inammissibile è poi per difetto di specificità la censura sull’omesso esame di “elementi univoci atti a dimostrare la sicura contitolarità del bene”;

– il secondo motivo con cui si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’omessa pronuncia sulla richiesta di accoglimento parziale della domanda di rivendicazione è inammissibile;

– la Corte territoriale non ha ritenuto, diversamente da quanto accaduto nel precedente invocato dalla ricorrente (cfr. Cass. 20671/2019), la sussistenza della piena proprietà di una frazione immobiliare inferiore a quella rivendicata, ma ha escluso che sia stata accertata la piena proprietà di una qualunque frazione immobiliare, sicché ha considerato assorbente l’esame della domanda di accoglimento parziale;

– la censura e’, quindi, inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi;

– atteso l’esito sfavorevole del ricorso, la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite in favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dei controricorrenti, liquidate in Euro 3000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile-2, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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