Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33439 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per regolamento di competenza, iscritto al n. 16990/2020 R.G. proposto da:

B.U., rappresentato e difeso dall’avv. Martingano Francesco e dall’avv. Caridà Agostino, con domicilio eletto in Roma, alla Via Po n. 24, presso l’avv. Salvatore Arena;

– ricorrente –

contro

S.E., rappresentata e difesa dall’avv. Massimiliano Vito con domicilio eletto in Roma, Viale Liegi n. 16;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia n. 2456/2020, depositato in data 30.3.2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 29.4.2021 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Alberto Celeste, che ha chiesto di accogliere il ricorso e di dichiarare la competenza territoriale del tribunale di Vibo Valentia.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE.

1. L’avv. B.U. ha ottenuto dal tribunale di Vibo Valentia il d.i. n. 96/2018, per il pagamento dei compensi professionali per il patrocinio svolto in favore di S.E. in un giudizio civile di risarcimento dei danni, in cui la resistente era stata chiamata in giudizio dalla Casa di Cura Fabia Mater a titolo di manieva.

L’ingiunta ha proposto opposizione, eccependo – tra l’altro l’incompetenza territoriale del Tribunale adito e invocando l’applicabilità del foro del consumatore ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33.

Instaurato il contraddittorio, il tribunale ha dichiarato la competenza territoriale del tribunale di Roma, revocando il decreto ingiuntivo e regolando le spese, sull’assunto che il patrocinio era stato esercitato in una controversia in cui la Sali era stata evocata in qualità di dipendente della Casa di cura per esigenze estranee allo svolgimento di un’attività professionale – di cui neppure vi era prova – rivestendo quindi la qualità di consumatrice, con conseguente operatività del foro del consumatore.

Per la cassazione dell’ordinanza l’avv. Buccarelli ha proposto ricorso in tre motivi.

S.E. ha depositato memoria ex art. 47 c.p.c..

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2094,2697 e 2729 c.c., art. 38 c.p.c., comma 2, D.Lgs. n. 2006 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che il tribunale abbia ritenuto che la cliente fosse stata convenuta – nel giudizio in cui era stato svolto il patrocinio – quale lavoratrice dipendente dalla casa di Cura Fabia Mater, circostanza che era rimasta indimostrata e la cui prova competeva alla resistente, avendo quest’ultima sollevato l’eccezione di incompetenza.

Il secondo motivo denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il tribunale abbia dato per presupposta la qualità di consumatrice in capo alla resistente, in assenza di qualsivoglia elemento di prova.

Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Secondo il ricorrente, la Sali era stata evocata in giudizio per rispondere in proprio dell’attività svolta e per manlevare – a tale titolo – la casa di cura, sicché già tale per tale motivo non rivestiva affatto la qualità di dipendente della casa di cura, come provava anche il possesso della partita iva. La difesa in giudizio era invece collegata da un evidente nesso funzionale con l’attività professionale della patrocinata, restando esclusa l’applicabilità del foro del consumatore.

3. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Va preliminarmente evidenziato che, dato l’oggetto e la finalità del regolamento necessario di competenza, vengono in rilievo in questa sede la violazione delle sole norme sulla competenza e non eventuali vizi di motivazione o la violazione di norme sul procedimento, a meno che queste ultime non abbiano impedito alla parte di apportare al giudice elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza (Cass. 24846/2016; Cass. 15019/2008; Cass. 7075/2006; Cass. 12890/2017).

Compito di questa Corte è – difatti – quello di individuare la regola di competenza applicabile, anche a prescindere dalle deduzioni delle parti o dai motivi di ricorso.

Ciò posto, è utile porre in evidenza che la decisione del tribunale di declinare la propria competenza territoriale a vantaggio del foro del consumatore si basa sui fatti allegati in giudizio dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive e comunque sul dato incontestato che la Sali era stata difesa dal ricorrente, quale chiamata in causa – a titolo di manleva – nella veste di dipendente della Casa di Cura Fabia Mater. In replica all’eccezione ex art. 38 c.p.c., l’avv. Buccarelli aveva invece sostenuto che la cliente, essendo in possesso della partita iva, doveva qualificarsi – in assenza di altri elementi lavoratrice autonoma o comunque, non essendo stata acquisita prova della qualità di consumatrice, l’eccezione di incompetenza doveva essere respinta, gravando sulla parte che l’aveva sollevata l’onere di dar prova dei presupposti applicativi del foro di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33.

Tuttavia, essendo la competenza di cui si discute di natura inderogabile e quindi rilevabile d’ufficio, il tribunale era tenuto ad accertare il possesso della qualità di consumatore in capo alla resistente anche in caso di inerzia della parte che aveva invocato il foro del consumatore.

Anche secondo l’insegnamento della giurisprudenza comunitaria, spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva, verificare anche d’ufficio, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come “consumatore” ai sensi della suddetta direttiva (cfr., con riferimento alla direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, CGUE, sentenza Mostaza Claro, C-168/05, punto 28; CGUE 4.6.2015 C497/13; Cass. 1666/2020 in motivazione).

Tale obbligo è giustificato dalla considerazione che il sistema di tutela posto in atto da tali direttive è fondato sull’idea che il consumatore si trova in una situazione d’inferiorità rispetto al professionista, per quanto riguarda il potere nelle trattative e il grado di informazione (Cass. 28162/2019).

Quanto poi alla sufficienza degli elementi presi in esame dal tribunale, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., comma 2, l’eccezione di incompetenza territoriale non introduce nel processo di merito un tema sul quale è possibile lo svolgimento di un’istruzione piena e formale, ma deve essere decisa allo stato degli atti, sulla base delle risultanze emergenti dagli atti introduttivi e dalle produzioni documentali, salvo il caso in cui, in ragione di quanto reso necessario dal tenore dell’eccezione o del rilievo del giudice, non sia necessaria, secondo quanto prevede l’art. 38 c.p.c., u.c., un’eventuale istruzione di natura sommaria “in limine litis”, diretta a chiarire il contenuto di quanto già risulta dagli atti (Cass. 17794/2013; Cass. 20553/2019; Cass. 12445/2010).

3.1. Fatta tale premessa e passando all’esame della specifica questione di competenza, deve ribadirsi che la nozione di “consumatore”, ai sensi dell’art. 2, lett. b), della direttiva 93/13, ha un carattere oggettivo (CGUE sentenza Costea, C-110/14) e va valutata alla luce di un criterio funzionale in modo da stabilire se il rapporto contrattuale rientri nell’ambito delle attività estranee all’esercizio di una professione o di un’attività imprenditoriale.

Nello specifico, è dunque decisivo che la Sali fosse stata convenuta in giudizio quale dipendente della Casa di Cura e, sebbene la resistente fosse stata chiamata rispondere per i danni ricollegabili allo svolgimento di una tipica attività intellettuale, tale particolarità non escludeva a priori la sussistenza di un rapporto di subordinazione, potendo a tal fine legittimamente valorizzarsi come è evidenziato nella memoria della resistente – elementi sussidiari, quali l’inserimento in turni lavorativi predisposti dalla clinica (cfr. memoria ex art. 47 c.p.c., pag. 7), la sottoposizione a direttive circa lo svolgimento dell’attività di guardia medica, l’imputazione delle attività direttamente in capo alla clinica nei rapporti con i terzi (Cass. 10043/2004; Cass. 13858/2009; Cass. 14573/2012; Cass. 5436/2019).

Non rilevava invece che la parte dovesse rispondere per fatto proprio, considerato che anche il lavoratore dipendente risponde verso il datore per i danni provocati a terzi nello svolgimento delle mansioni (art. 1219 c.c.), né potendo rilevare – di per sé, in tale contesto – che la resistente fosse munita di partita iva (Cass. 669/2004).

In definitiva, deve confermarsi che il patrocinio era stato svolto in una causa che riguardava un rapporto di lavoro subordinato, operando il foro del consumatore: l’incarico professionale non poteva considerarsi pertinente o funzionale ad un’attività professionale della cliente, del cui svolgimento non vi è alcuna prova in atti.

Come già stabilito da questa Corte, “in tema di competenza per territorio nel procedimento di ingiunzione proposto da un avvocato nei confronti del proprio cliente per il pagamento di onorari professionali, qualora detto cliente sia un lavoratore subordinato, questi non perde la propria qualità di “consumatore” – ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 3, comma 1, lett. a), – per il fatto di essersi avvalso dell’opera dell’avvocato per questioni relative alla propria attività lavorativa in quanto l’attività di lavoro subordinato non è qualificabile come attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale; sicché a tale controversia si applicano le regole in tema di foro del consumatore di cui al citato D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u)” (Cass. 12685/2011; Cass. 1464/2014; Cass. 21187/2017).

Il ricorso è respinto e va dichiarata la competenza del tribunale di Roma, ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33.

Le spese processuali gravano sul ricorrente, con liquidazione in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

PQM

rigetta il ricorso e dichiara la competenza territoriale del tribunale di Roma, ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, lett. a u), dinanzi al quale rimette le parti, con riassunzione nei termini di legge.

condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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