Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33441 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20540/2020 R.G., proposto da:

P.C., rappresentato e difeso dall’avv. Leonardo Pighin, con domicilio in Latina, loc. Borgo Montello, Strada Minturnae n. 17;

– ricorrente –

contro

S.A., rappresentato e difeso da sé stesso, con domicilio in Latina, alla via Cairò n. 13;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Latina, depositata in data 14.7.2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10.6.2021 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. L’avv. S.A. ha chiesto la liquidazione del compenso per l’assistenza in una compravendita immobiliare e per il successivo perfezionamento di un acquisto, sulla base del mandato professionale conferito dal P., per un compenso espressamente concordato in Euro 27.268,80. Il difensore ha altresì dedotto di aver prestato la propria opera sia in un procedimento ex art. 404 c.c., per il quale era stato pattuito per iscritto un corrispettivo di Euro 7254,00, che in un giudizio divisorio, per il quale era stato previsto un compenso di Euro 16.062,28.

Ha chiesto il pagamento del saldo, pari ad Euro 45087,40, esponendo di aver percepito solo un acconto di Euro 6000,00.

Il tribunale ha disposto la separazione delle domande relative al compenso per attività stragiudiziale e, quanto a quello dovuto per la l’attività in materia civile, ha ridotto le spettanze del difensore per il giudizio di divisione, per carenza di prova dello svolgimento della fase decisionale.

La cassazione dell’ordinanza è chiesta da P.C. con ricorso in due motivi.

L’avv. S.A. resiste con controricorso.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente inammissibile, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4, 112 e 113 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, assumendo che il tribunale non poteva rìconoscere i compensi concordati dalle parti, dovendo valutarne la congruità in relazione all’importanza dell’affare, all’impegno profuso, ai risultati ottenuti, alla complessità delle questioni esaminate, e verificare se il contratto contenesse una chiara ed inequivocabile indicazione dei meccanismi di calcolo, occorrendo inoltre che la formazione dell’accordo fosse preceduta dall’osservanza di una serie di obblighi informativi ad opera del difensore. Infine, riguardo ad entrambi gli incarichi professionali per attività giudiziale, il compenso era stato richiesto per fasi, senza indicazione delle singole attività svolte e dei parametri utilizzati e senza verificarne la rispondenza ai criteri dell’art. 4 citato.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Come ha evidenziato il tribunale, le parti avevano concordato i compensi per le singole attività giudiziali, indicando l’importo spettante per ciascuna fase, sicché, in presenza di una determinazione convenzionale del corrispettivo, non era doveroso compiere alcuna ulteriore verifica circa la sua rispondenza ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4. Detti parametri hanno una valenza puramente sussidiaria, non sono vincolanti neppure in sede di determinazione consensuale del corrispettivo e vengono in considerazione solo ove le parti nulla abbiano stabilito quanto alla misura del compenso a norma dell’art. 2233 c.c. (Cass. 29837/2011; Cass. 4081/2014; Cass. 7575/2018).

La pronuncia ha poi dato atto che – conformemente a quanto previsto dai D.M. n. 140 del 2012 e D.M. n. 55 del 2014 – l’onorario era stabilito per fasi, sicché non occorreva verificare quali prestazioni – tra quelle rientranti in ciascuna fase – fossero state concretamente svolte, avendo le parti inteso prescinderne aì fini della quantificazione del dovuto.

La L. n. 247 del 2012, art. 13 prevede difatti che “la pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”.

3. Il secondo motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la pronuncia per aver liquidato il compenso, senza dar conto in motivazione delle ragioni delle soluzioni accolte.

Il motivo è inammissibile, posto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non censura più un vizio di motivazione, ma l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (Cass. s.u. 8053/2014).

In ogni caso la violazione di legge, quanto all’obbligo di motivazione, non è in concreto sussistente, avendo la pronuncia evidenziato che sussisteva prova sia del conferimento dell’incarico che delle attività espletate, con esclusione della sola fase decisionale in una delle due cause in cui era stato svolto il patrocinio, dando conto delle decisioni adottate.

Le argomentazioni formulate in ricorso si risolvono – in realtà – nella censura di insufficienza della motivazione su cui è ammesso alcun controllo in sede di legittimità (Cass. 8053/2014).

Il ricorso è quindi inammissibile, con spese liquidate in dispositivo. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Dà atto, aì sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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