LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14224-2020 proposto da:
D.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIAMMARRUCCO CINZIA per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato PROVENZANO PIERGIORGIO per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 18/2020 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, depositata il 7/1/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/6/2021 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.
FATTI DI CAUSA
1.1. La corte d’appello ha rigettato l’appello di D.A. nei confronti della sentenza con la quale il tribunale ha respinto la domanda che lo stesso aveva proposto in via riconvenzionale per ottenere la condanna dell’attore M.P. al pagamento del residuo corrispettivo dovuto per i lavori eseguiti su incarico di quest’ultimo.
2.1. D.A., con ricorso notificato il 9/3/2020, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.
2.2. M.P. ha resistito con controricorso.
2.3. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,116,167 e 91 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto la domanda riconvenzionale che lo stesso aveva proposto per ottenere il pagamento del saldo del compenso a lui dovuto per i lavori eseguiti su commissione dell’attore.
3.2. La corte d’appello, però, così facendo, non ha considerato che, a fronte della domanda riconvenzionale, l’attore nulla aveva dedotto o eccepito in merito a quanto richiesto, non avendo contestato i lavori extracontrattuali richiesti, né aveva disconosciuto il documento consuntivo dei lavori né la relativa fattura, riconoscendone, anzi, nel corso del suo interrogatorio all’udienza del 25/6/2016, l’esecuzione, per cui l’esecuzione dei lavori richiesti al committente era, sia nell’an, sia nel quantum, un fatto pacifico e incontroverso tra le parti.
3.3. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1657 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto la domanda riconvenzionale per il mancato accordo sui lavori extracontrattuali richiesti in corso d’opera senza, tuttavia, considerare che tali lavori, per loro stessa natura, non risultano previsti né quantificati nel contratto e che il loro costo risulta specificato nel successivo consuntivo, mai specificamente contestato, che ricapitola i lavori richiesti in aggiunta e i relativi costi.
4.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
4.2. Il ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno escluso che il convenuto avesse il diritto di ricevere il saldo del compenso per i lavori asseritamente svolti su incarico dell’attore e rimasti insoluti.
4.3. La valutazione delle prove raccolte, però, anche se si tratta di quella conseguente alla mancata contestazione di una parte dei fatti dedotti dalla controparte, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio – nel caso in esame neppure invocato come tale – consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
4.4. Rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
4.5. Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). La valutazione delle risultanze delle prove, al pari della scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011).
4.6. Del resto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
4.7. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha escluso che il convenuto avesse fornito la prova di lavori svolti su richiesta dell’attore ma rimasti insoluti. Ed una volta escluso, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o più circostanze decisive, che il convenuto avesse dimostrato in giudizio l’esecuzione di lavori che non sono stati pagati dal committente, non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda proposta dal convenuto, in quanto volta, appunto, al pagamento del compenso ancora spettante per l’esecuzione dei predetti lavori.
4.8. Ne’ tale decisione viola il precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile, del resto, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando, come invece pretende il ricorrente, la censura abbia avuto ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).
4.9. E neppure, infine, rileva l’invocata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che è deducibile in cassazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, solo se ed in quanto si alleghi, rispettivamente, che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, o contraddicendola espressamente, e cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, e cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, ovvero che il giudice, nel valutare una prova ovvero una risultanza probatoria, o non abbia operato, pur in assenza di una diversa indicazione normativa, secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), o che abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento laddove la prova era soggetta ad una specifica regola di valutazione: resta, dunque, fermo che tali violazioni non possono essere ravvisate, come invece pretende il ricorrente, nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. n. 11892 del 2016, in motiv.).
5. Il ricorso dev’essere, quindi, respinto. Peraltro, poiché il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura dei 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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