Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33479 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24814-2020 proposto da:

V.A., rappresentato e difeso dall’avv. ANTONELLA CELEGHIN;

– ricorrente –

contro

F.D., rappresentato e difeso dall’avv. SANDRO LIVIERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5623/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 16/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Per quanto interessa in questa sede la Corte d’appello di Venezia Genova ha riformato la sentenza di primo grado intervenuta nella causa promossa da F.D. nei confronti di V.A.. L’attore, deducendo di essere creditore del convenuto, aveva chiesto di essere autorizzato ad accettare, in nome e luogo del proprio debitore, l’eredità di V.G., alla quale il convenuto V.A. era chiamato in concorso con altri. L’attore aveva precisato che la domanda si giustificava in quanto il convenuto non aveva risposto all’actio interrogatoria esperita dal creditore, avendo quindi perduto il diritto di accettare l’eredità. La domanda, rigettata in primo grado, è stata accolta dalla Corte d’appello, che ha autorizzato il creditore ad accettare l’eredità di V.G. in nome e per conto del rinunciante ai sensi dell’art. 524 c.c.

Per la cassazione della decisione d’appello V.A. ha proposto ricorso affidato due motivi. Con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 524 c.c.: si sostiene che la norma consente ai creditori l’impugnazione della rinuncia all’eredità da parte del chiamato e non anche della decadenza derivante dall’inutile decorso del termine accordato al chiamato stesso ai sensi dell’art. 481 c.c. Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione del contraddittorio. Si sostiene che la causa doveva svolgersi anche nei confronti di coloro che erano subentrati al rinunciante e in genere degli altri eredi, in qualità di litisconsorti necessari.

F.D. ha resistito con controricorso.

La causa è stata fissata dinanzi alla Sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza del ricorso.

Il primo motivo è infondato.

E’ controverso se il rimedio previsto dall’art. 524 c.c. sia utilizzabile dai creditori soltanto in presenza di una rinunzia “formale” oppure anche nelle ipotesi di decadenza del chiamato dal diritto di accettare l’eredità a seguito dell’esperimento dell’astio interrogatoria ex art. 481 c.c. o ai sensi dell’art. 487 c.c., comma 3, ovvero nel caso di maturata prescrizione. Pur trattandosi di questioni dibattute in dottrina si rileva che nella giurisprudenza della Corte si è affermata la tesi estensiva con riferimento al meccanismo decadenziale previsto dall’art. 481 c.c. (Cass. n. 7735/2007). La stessa giurisprudenza, in linea con l’opinione dominante in dottrina, esclude invece il ricorso all’impugnazione ai sensi dell’art. 524 c.c. allorquando il diritto di accettare l’eredità si sia prescritto ai sensi dell’art. 480 c.c. (Cass. n. 15664/2020).

A tale orientamento occorre dare continuità. Il rimedio, previsto dall’art. 524 c.c., deve essere accordato ai creditori del chiamato anche nel caso in cui il chiamato stesso abbia lasciato infruttuosamente decorrere il termine intimatogli ai sensi dell’art. 481 c.c. In quanto all’obiezione, fondata sulla natura eccezionale della norma, è del tutto condivisibile il rilievo, proposto in dottrina, che, in riferimento al sistema dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, non può dirsi eccezionale una norma che, pur configurando uno strumento singolare, è riducibile al principio di organizzazione del sistema. Questa soluzione è corroborata dal principio di uguaglianza, essendo le due ipotesi assimilabili dal punto di vista del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del chiamato. Sarebbe quindi iniquo accordare il rimedio nel caso di rinuncia e negarlo nel caso di inerzia a seguito di actio interrogatoria. Il secondo motivo è infondato. Costituisce principio acquisito che nell’azione esercitata dal creditore ai sensi dell’art. 524 c.c. legittimato passivo è il solo debitore rinunziante (Cass. n. 310/1982; n. 3548/1995; n. 17866/2003).

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese. Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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