Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33484 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giovanni – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12229-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA PAGLIA 42, presso lo studio della Dott. MARIA VITTORIA VITALE, e rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO MESSINA ed ALBERTO VITALE giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., rappresentata e difesa dagli avvocati PASQUALE COTICELLI e CIRO COTICELLI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 871/2018 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE C.A., premettendo di essere proprietaria di un’unità immobiliare nonché di alcuni accessori e pertinenze in *****, conveniva in giudizio nel 1986 dinanzi al Tribunale di Napoli S.G. e S.T., proprietari di un fabbricato confinante, lamentando, per quanto ancora rileva in questa sede, che nel corso dei lavori di riattazione del loro immobile, avevano demolito un casotto annesso al piano terra e nel riedificarlo avevano occupato parte del cortile comune, restringendo in tal modo il varco di accesso.

Chiedevano pertanto la condanna dei convenuti all’abbattimento della porzione di fabbricato che aveva invaso il cortile comune.

Nella resistenza dei convenuti, che a loro volta proponevano domanda riconvenzionale, assumendo che l’attrice avesse abusivamente trasformato una parte del cortile comune, che era stata elevata e pavimentata, il Tribunale di Torre Annunziata, cui la causa era stata nelle more trasmessa, con la sentenza n. 145 del 12/2/2013, accoglieva la domanda attorea, condannando i convenuti a rimuovere la parte di fabbricato che occupava il cortile comune, rigettando le altre domande dell’attrice nonché la riconvenzionale dei convenuti.

A seguito di appello dei S. nonché di appello incidentale di C.C. e C.M., eredi dell’originaria parte attrice, la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 871 del 21 febbraio 2018, rigettava entrambi i gravami, compensando le spese del grado.

Quanto alla censura degli appellanti principali che ritenevano che l’affermazione in ordine allo sconfinamento fosse frutto di un travisamento delle risultanze istruttorie, in quanto si era dato credito alla seconda CTU che aveva valorizzato le sole mappe catastali al fine di identificare i confini del cortile comune, la sentenza rilevava che in realtà l’ausiliario d’ufficio si era avvalso non solo delle mappe in questione, ma anche dei rilievi fotografici che ritraevano lo stato dei luoghi prima dell’intervento dei convenuti.

L’ausiliario aveva anche dato contezza del perché fosse inattendibile la relazione tecnica del Comune di Casola, alla quale aveva fatto riferimento il primo ausiliario d’ufficio, atteso che la stessa era stata redatta quando lo stato dei luoghi era già stato modificato, essendo anche privo di specificazione il dato riferito di un ampliamento di circa mq. 30.

Inoltre, se è vero che le mappe catastali sono un dato sussidiario dal punto di vista probatorio, il loro utilizzo è ammissibile laddove manchino altri elementi di conforto, muniti di certezza ed obiettività.

Nella specie, entrambe le perizie espletate non avevano potuto riscontrare termini certi, ovvero confini e segni naturali di delimitazione tra la proprietà degli appellanti principali e l’area comune, sicché si palesava corretto il ricorso alle mappe catastali.

Inoltre, lo stesso primo consulente d’ufficio aveva affermato di essersi rifatto a termini certi e fissi, ma senza che fosse stato chiarito se tali termini erano di datazione anteriore o meno rispetto all’esecuzione dei lavori da parte dei convenuti.

Tale conclusione trovava conforto anche in due diverse consulenze espletate in altri giudizi tra le stesse parti, nelle quali si era del pari fatto utilizzo delle mappe catastali, e che avevano evidenziato uno sconfinamento da parte dei S.. Ne’ si sarebbe potuto procedere a saggi sulle fondazioni per accertare l’esistenza di termini preesistenti, posto che anche la vecchia costruzione poteva essere stata a sua volta edificata senza il rispetto dei confini tra le proprietà.

Ciò rendeva quindi irrilevante l’espletamento di una nuova CTU.

Le critiche mosse alla consulenza dell’ing. Strino, fondate sulle deduzioni del proprio consulente di parte risultavano poi prive di fondamento in quanto anche l’ausiliario di parte si era rifatto alla relazione tecnica del Comune di Casola di Napoli, la cui inattendibilità era stata in precedenza chiarita, come del pari si palesavano chiare le ragioni di inattendibilità della prima perizia d’ufficio dell’ing. M..

Era poi disattesa la censura che investiva il rigetto della domanda riconvenzionale dei S., atteso che l’attività istruttoria si palesava superflua, in ragione del fatto che l’attività di pavimentazione di parte del cortile da parte della C. rientra pacificamente nel legittimo uso della cosa comune ex art. 1102 c.c.

Infine, quanto all’appello incidentale volto ad ottenere il ristoro del danno ed alla rimozione delle tegole e delle viti, quanto alle prime si osservava che non risultava che le tegole sporgessero in linea d’aria in maniera tale da alterare il paritario uso della cosa comune e non emergeva che le viti avessero alterato la destinazione del bene comune.

Quanto alla richiesta di danni, la Corte distrettuale riteneva che il principio per cui il danno da occupazione è un danno in re ipsa, non vale nel caso in cui l’occupazione riguardi un bene comune, essendo in tal caso necessario dimostrare in che termini e misura la sottrazione al pari uso di una porzione del cortile comune comporti dei sacrifici economicamente apprezzabili.

Avverso tale sentenza propone ricorso S.G. sulla base di un motivo di ricorso.

C.C. resiste con controricorso.

Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza avente ad oggetto la domanda di rimozione di un fabbricato in comunione tra il ricorrente ed altra comproprietaria ( S.T.) e che vede come controparti gli eredi dell’originaria parte attrice ( C.C. e C.M.), non risulta essere stato notificato nei confronti di tutti i soggetti che hanno preso parte al precedente giudizio di merito, non essendo stato infatti indirizzato anche S.T..

E’ bensì vero che nella specie si versa litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato.

Senonché, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).

In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie inammissibile, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

Con il motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. nonché degli artt. 61,62,116,132,191,195 c.p.c. nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La sentenza gravata avrebbe fatto proprie le conclusioni di una consulenza tecnica d’ufficio di segno difforme rispetto a quella precedentemente espletata nello stesso giudizio, ed avvalendosi unicamente delle risultanze delle mappe catastali.

Manca una specifica confutazione delle ragioni addotte dal primo ausiliario, sicché la sentenza non avrebbe potuto limitarsi ad aderire alla seconda consulenza tecnica d’ufficio.

Evidenti ragioni di logica e coerenza avrebbero quindi dovuto indurre il giudice di appello a disporre quanto meno la rinnovazione della CTU o la sua integrazione mediante saggi sulle fondazioni onde appurare l’esistenza di termini certi.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, ancorché il ricorrente in premessa deduca che non è sua intenzione contestare il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, il reale intento della parte, che è quello di sollecitare una complessiva rivalutazione delle emergenze probatorie, emerge chiaramente nella parte del motivo in cui si esplicita che il mezzo di impugnazione non intende lamentare un omesso esame del fatto tecnicamente valutato dal CTU, quanto un cattivo esame, denotando in tal modo come la critica aspiri ad una più appagante ricostruzione del fatto, in difformità di quanto invece accertato dal giudice di merito.

A tal fine deve ricordarsi che (Cass. n. 2103/2019), rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o “in toto”, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice, sicché l’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici, essendosi anche chiarito che non è neppure necessaria un’espressa pronunzia sul punto (Cass. n. 22799/2017).

Ma la conclusione non muta, anche a voler accedere all’orientamento più rigoroso (cfr. Cass. n. 5339/2015), sebbene maturato in relazione alla vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo cui il giudice, se non ha l’obbligo di motivare il diniego della richiesta di rinnovazione, che può essere anche implicito, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicché l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (conf. Cass. n. 10849/2007).

Vizio di motivazione che non può essere nella fattispecie dedotto, ancorché in relazione alla più restrittiva formulazione scaturente dalla novella del 2012, atteso che siamo al cospetto di un’ipotesi di cd. doppia conforme, per la quale, essedo stato l’appello proposto in data successiva al 12 settembre 2012, risulta applicabile l’art. 348 ter c.p.c., u.c., posto che la sentenza d’appello è fondata sulle medesime regioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione del Tribunale.

Nel caso in esame si rileva che la sentenza d’appello ha fornito ampia ed esauriente risposta alle varie critiche mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, come si rileva dall’esposizione in fatto che precede, avendo chiarito le ragioni per le quali era da reputarsi inattendibile il risultato cui era approdato il primo ausiliario d’ufficio.

Ha inoltre evidenziato come la seconda consulenza d’ufficio non si fondi esclusivamente sulle mappe catastali, ma tenga conto anche dei rilievi fotografici che documentano lo stato dei luoghi antecedente gli interventi posti in essere da S..

Ha altresì riferito le ragioni di inattendibilità della perizia di parte appellante, specificando il motivo per cui non si palesava di alcuna utilità il rinnovo della CTU ovvero l’esecuzione di saggi sulle fondazioni del fabbricato di parte appellante (non essendovi garanzia che il preesistente manufatto fosse effettivamente in regola con i confini tra le due proprietà, quali scaturenti dai rispettivi titoli).

Emerge con evidenza che la decisione impugnata abbia ampiamente soddisfatto anche i più rigorosi criteri che in base alla giurisprudenza di questa Corte debbono essere seguiti nel caso in cui il giudice intenda sposare le risultanze della CTU in presenza di critiche all’operato dell’ausiliario d’ufficio, sicché risulta con altrettanta evidenza che la censura, lungi dal denunciare un’effettiva violazione di legge, è un’istanza di complessiva rivalutazione del merito, inammissibile sia ai sensi del menzionato art. 348 ter c.p.c., sia perché trattasi di critica che esula dal novero di quelle suscettibili di essere portate all’attenzione del giudice di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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