LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27564/2015 proposto da:
Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Me.Gr., M.G.;
– intimati –
e contro
M.I., M.A., M.M., elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’Avvocato Massidda Giovanni;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 218/2015 della COMM. TRIB. REG., SARDEGNA, depositata il 17/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2021 da STALLA GIACOMO MARIA.
RILEVATO
che:
p. 1. L’agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 218/01/15 del 17/6/2015 con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, in rigetto dei quattro appelli riuniti proposti dall’ufficio contro altrettante sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari, ha confermato l’illegittimità degli avvisi di rettifica e liquidazione notificati, per maggiore imposta di registro, su vari atti notarili del 2007 con i quali M.A., M.M., M.I., nonché Me.Gr. e M.G. avevano venduto ad Ares Immobiliare snc dei terreni edificabili in Comune di ***** (CA), località “*****”, tutti ricadenti in zona ***** e facenti parte del piano di lottizzazione già assentito denominato “*****”.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
– la stessa pretesa impositiva era stata dall’agenzia delle entrate rivolta anche nei confronti della società acquirente Ares Immobiliare, la cui opposizione era stata definita con la sentenza della commissione tributaria regionale della Sardegna n. 73/1/14 che aveva rideterminato il valore unitario dei terreni compravenduti in Euro 22,84 per metro quadrato;
– pur avendo l’agenzia delle entrate chiesto la cessazione della materia del contendere per effetto di atti di annullamento in autotutela con i quali essa aveva ritenuto di adeguarsi al valore così stabilito dalla sentenza teste’ menzionata, avente asserita efficacia di giudicato esterno nella presente controversia (così retrocedendo dall’iniziale determinazione del valore di mercato dei terreni in Euro 54,00 per metro quadrato), la presente controversia doveva pur tuttavia essere decisa nel merito;
– non condivisibile era la tesi dell’agenzia delle entrate secondo la quale il valore di mercato dei terreni compravenduti doveva individuarsi, non già in quanto dichiarato dalle parti nei singoli atti di trasferimento, bensì in quest’ultimo importo maggiorato di quanto corrisposto dalla società acquirente Ares ad una società intermediaria, la 100Mila srl (già promittente acquirente) a fronte della cessione da parte di quest’ultima alla suddetta acquirente Ares di alcuni contratti preliminari aventi ad oggetto i medesimi terreni (sicché, a detta dell’agenzia, il valore venale andava individuato nella somma tra prezzo corrisposto dalla parte acquirente ai M.- Me. con i vari atti definitivi, e prezzo dalla stessa corrisposto alla 100Mila srl a fronte della cessione dei suddetti preliminari);
– la ragione di non condivisibilità stava nel fatto che l’imposta di registro sui venditori non poteva eccedere quanto da costoro effettivamente ricevuto per la vendita, risultando essi estranei all’operazione “speculativa” (come già definita dalla citata sentenza CTR 73/1/14 invocata dalla stessa agenzia delle entrate) intervenuta tra altri soggetti, cioè tra l’acquirente Ares e l’intermediaria 100Mila srl;
– pur essendo gli atti di appello dell’agenzia delle entrate privi di specifiche contestazioni alle sentenze impugnate, limitandosi essi a riportare le argomentazioni già sviluppate in primo grado ed i relativi supporti probatori, ragioni di “più compiuta giustizia” imponevano comunque di decidere i gravami nel merito, con loro totale reiezione e conferma delle sentenze di primo grado che avevano annullato in toto gli avvisi opposti, ritenendo congruo il valore dei terreni così come risultante dai prezzi dichiarati negli atti di compravendita stipulati dai M. – Me.. Resistono con distinti controricorsi M.I., M.M. e M.A.; nessuna attività difensiva è stata invece posta in essere in questa sede dagli altri intimati Me.Gr. e M.G..
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; per non avere la Commissione Tributaria Regionale recepito la richiesta di parziale cessazione della materia del contendere a seguito dei provvedimenti di autotutela parziale con i quali l’ufficio si era adeguato al valore risultante dalla citata sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 73/1/14. Sicché la commissione avrebbe dovuto esprimersi non sulla legittimità dell’iniziale pretesa impositiva, bensì su quella della pretesa residua, pari ad Euro 22,84 a metro quadrato.
p. 2.2 Il motivo è destituito di fondamento.
La dichiarazione di cessazione della materia del contendere deve essere resa dal giudice in ogni caso in cui risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale dedotto e che, conseguentemente, non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto (Cass. n. 19845/19 ed altre).
Si afferma inoltre che: “nel processo tributario, come in quello civile, la cessazione della materia del contendere presuppone, da un lato, che nel corso del giudizio siano sopravvenuti fatti tali da eliminare le ragioni di contrasto e l’interesse alla richiesta pronuncia di merito e, dall’altro, che le parti formulino conclusioni conformi. Ne consegue che l’allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto da una sola parte come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere, comporta la necessità della valutazione del giudice, a cui spetterà l’eventuale dichiarazione dell’avvenuto soddisfacimento del diritto azionato ovvero la pronuncia sul merito dell’azione” (Cass. n. 5188/15).
Orbene, nel caso di specie né il giudicato esterno di cui alla più volte citata sentenza Commissione Tributaria Regionale n. 73/1/14, né i provvedimenti di annullamento parziale in autotutela erano in grado di determinare il presupposto sostanziale della cessata materia del contendere.
Per quanto concerne il primo evento, va considerato che quel giudicato non esplicava efficacia preclusiva nel presente procedimento in quanto, anche se riferito al medesimo rapporto tributario di imposizione degli atti di compravendita ed al medesimo accertamento di fatto, si era tuttavia formato nei confronti di parti diverse, per quanto legate da vincolo di solidarietà. Ne’ i M.- Me. avevano del resto mai dichiarato, nel corso del giudizio, di volersi avvalere degli effetti favorevoli (rispetto agli originari avvisi di accertamento) discendenti dal giudicato formatosi nei confronti della parte acquirente, ex art. 1306 c.c..
Per quanto concerne il secondo evento, con gli atti di annullamento parziale in autotutela l’amministrazione finanziaria intendeva adeguarsi agli effetti pratici del giudicato esterno, ma ciò non poteva ritenersi sostanzialmente definitorio della lite (con conseguente cessazione di ogni motivo di contesa), per il solo fatto che i contribuenti coltivavano in giudizio l’interesse non già a semplicemente ridurre la pretesa impositiva nei limiti di quel giudicato (come detto, reputato ad essi del tutto estraneo) ovvero di quegli atti di autotutela, bensì ad ottenerne senz’altro il totale annullamento; ciò sul presupposto, da essi ribadito per tutto il giudizio, che il valore venale dei terreni non fosse affatto quello indicato nel giudicato o negli atti di autotutela, ma quello esattamente corrispondente al prezzo di vendita dichiarato nei rogiti di trasferimento.
Dunque, correttamente la commissione tributaria regionale ha ritenuto che nella specie non sussistessero i presupposti della dichiarazione di cessazione della materia del contendere, dal momento che permanevano tra le parti motivi fondamentali di contrasto; motivi concernenti la lite nella sua unitarietà e non soltanto parte di essa (da qui l’infondatezza dell’istanza dell’agenzia delle entrate di dichiarazione di cessazione anche “solo parziale” della materia del contendere).
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e dell’art. 112 c.p.c.; per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ravvisato la genericità dei motivi di appello dedotti dall’agenzia delle entrate (riassunti nel ricorso per cassazione, pagg. 16 segg.), posto che negli atti di gravame l’ufficio aveva invece dedotto specifiche censure alle sentenze di primo grado, segnatamente sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, sulla determinazione del valore venale dei terreni compravenduti.
p. 3.2 Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Come si è anticipato (p. 1), la commissione tributaria regionale ha sì affermato che gli atti di appello dell’agenzia delle entrate “non muovono specifiche contestazioni alle sentenze impugnate”, limitandosi “a riportare le argomentazioni già sviluppate ed i relativi supporti probatori”, tuttavia da questa affermazione – mero obiter – non ha poi fatto scaturire alcun effetto decisorio, dal momento che essa ha poi ritenuto di “decidere nel merito” gli appelli così formulati (per dichiarate ragioni di più “compiuta giustizia”); appelli che, in effetti, sulla base tanto della motivazione quanto del dispositivo, non sono stati dichiarati inammissibili ma senz’altro respinti.
E’ dunque evidente che la questione circa l’assenza di specificità dei motivi di appello non è stata assunta dal giudice di merito a vera e propria ragione decisoria, il che basta ad escludere che l’agenzia delle entrate abbia sul punto registrato una pratica soccombenza, con conseguente esclusione di un suo qualificato interesse ad impugnare la decisione su questo particolare aspetto.
p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, dal momento che il valore venale ai fini dell’imposta di registro non coincideva con il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita e che, inoltre, l’ufficio poteva avvalersi, senza priorità di sorta, di “ogni altro elemento di valutazione” secondo quanto espressamente consentito dall’art. 51 cit., comma 3. Correttamente, dunque, il valore dichiarato negli atti di compravendita era stato rettificato con la maggiorazione dei costi sostenuti dalla società acquirente per il rilievo dei contratti preliminari dalla società intermediaria, dovendosi assumere secondo logica di mercato che tale somma esprimesse oggettivamente appunto il valore reale dei terreni, uniformemente distribuito sui vari lotti in quanto sostanzialmente omogenei.
Per contro, non era realistico ritenere che Ares avesse sborsato per l’acquisto più del valore effettivo dei terreni, una volta erroneamente ricondotto quest’ultimo al solo importo dichiarato negli atti di compravendita a titolo di prezzo.
p. 4.2 Il motivo è infondato.
La dedotta violazione normativa non sussiste, dal momento che la commissione tributaria regionale non ha né negato all’agenzia delle entrate la potestà di rettificare il valore dei terreni sulla base di tutti indistintamente i criteri desumibili dal D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, né ha stabilito un – in effetti inesistente – ordine gerarchico tra i criteri estimativi così individuati dalla legge; e neppure essa ha escluso che nell’esercizio della potestà di rettifica l’amministrazione finanziaria potesse, tra il resto, avvalersi anche di “ogni altro elemento” utile alla stima dell’effettivo valore venale ai fini dell’imposta di registro.
Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente nella doglianza in esame, la decisione del giudice di appello si è basata non su una distorta applicazione di legge preclusiva di una rettifica estimativa a tutto campo, ma su una valutazione di ordine prettamente fattuale in base alla quale la circostanza dell’avvenuto pagamento da parte della società acquirente Ares di un maggior corrispettivo di cessione dei preliminari già in capo alla 100Mila srl non rilevava in termini certi ed univoci ai fini della rettifica di valore dei terreni, così come risultante dai prezzi indicati negli atti di trasferimento.
E ciò perché, come osservato nella sentenza impugnata:
– si trattava di pattuizione estranea ai M.- Me., i quali non risultavano aver percepito dall’intera operazione somme ulteriori rispetto a quelle indicate a titolo di prezzo negli atti di trasferimento a loro nome (evenienza neppure dedotta dall’ufficio);
– la scelta di Ares di versare il maggior corrispettivo di cessione dei preliminari poteva trovare spiegazioni alternative alla copertura del reale valore di mercato dei terreni, segnatamente insite nell’intento di escludere dall’operazione immobiliare la società intermediaria e di realizzare “in proprio” l’operazione speculativa pur a fronte di un esborso per ottenere la disponibilità delle aree edificabili superiore al valore di mercato delle stesse;
– questa possibile ricostruzione alternativa, basata su un fine puramente “speculativo” delle scelte di parte acquirente, era stata già riscontrata in quella sentenza della commissione tributaria regionale, passata in giudicato nei confronti della parte acquirente, di cui la stessa agenzia delle entrate intendeva avvalersi; sentenza che, determinando in Euro 22,84 a metro quadrato il valore di mercato dei terreni, aveva per ciò soltanto disatteso anche l’impostazione qui ancora sostenuta dall’amministrazione finanziaria, volta ad identificare tout court il valore di mercato dei terreni nella somma dei corrispettivi pagati da Ares sia ai M.- Me. sia alla 100Mila srl.
E’ quindi evidente come non sia in gioco una erronea interpretazione o applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, da parte della Commissione Tributaria Regionale, e nemmeno l’indebita e vincolante equiparazione, da parte di quest’ultima, del “valore venale” con il “prezzo” dichiarato in atti dalle parti, quanto piuttosto una valutazione tipicamente di merito sui connotati dell’intera operazione immobiliare e sul fatto che l’amministrazione finanziaria, sulla quale gravava il relativo onere, non potesse idoneamente dimostrare il fondamento della rettifica sulla base di quel solo dato esterno, in sintesi costituito dalla identificazione del valore venale dei terreni con i “costi” globalmente sopportati dalla società acquirente per la loro disponibilità.
La stessa contestazione mossa dalla ricorrente secondo cui non sarebbe “realistico” assumere che la società acquirente abbia pagato i terreni per importo superiore al loro valore venale, dimostra una volta di più come ci si trovi di fronte ad una delibazione di ordine prettamente fattuale e valutativo, e non di stretta applicazione normativa (unico profilo investito dalla doglianza in esame).
Delibazione che la commissione tributaria regionale ha in effetti reso e motivato, assumendo in sostanza – con valutazione non sindacabile nella presente sede di legittimità – che Ares ben poteva invece accollarsi costi di acquisizione dei terreni superiori al valore venale di questi ultimi in un’ottica di natura prettamente speculativa che, nel complesso della operazione da essa gestita, le avrebbe comunque consentito il mantenimento di utili apprezzabili.
Ne segue dunque il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
Tale liquidazione è resa in via unitaria, salva maggiorazione in misura del 10% per ciascuna parte processuale difesa oltre alla prima, atteso che i controricorrenti sono stati difesi dal medesimo avvocato e con controricorsi di contenuto sostanzialmente sovrapponibile, pur con riguardo ad atti traslativi recanti diversi valori rettificati (Cass. n. 13595/21, n. 29651/18, n. 21064/09 ed altre).
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti, che liquida unitariamente in Euro 11.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, tenutasi con modalità da remoto, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021