LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19704-2020 proposto da:
B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE NOMENTANA 414, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO DE CIANTIS, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SPA, n. *****, in persona dei curatori pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA IVONE, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 2813/2020 del TRIBUNALE di ROMA, depositato l’08/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.
RILEVATO
– che viene proposto da B.R., affidandolo a due motivi, ricorso avverso il decreto del 8.7.2020 con cui il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento ***** s.p.a. proposta dall’odierno ricorrente avverso il decreto con cui il G.D. aveva rigettato la domanda di insinuazione per l’importo di Euro 804.715,98 – presentata dal B. a titolo di differenze retributive per il periodo dal 1.11.1997 al 5.3.2012 e – in cui non era stato asseritamente regolarizzato il rapporto di lavoro a tempo indeterminato svolto alle dipendenze della società, con le mansioni di responsabile direttivo;
che il Tribunale di Roma aveva fondato il rigetto dell’opposizione sul rilievo che, dalla documentazione prodotta dalla parte opposta, e relativa alla procedura concordataria intrapresa inizialmente dalla società poi fallita, era emerso che il sig. B. (figlio dei due soci della ***** s.p.a. poi fallita), in risposta alla richiesta di circolarizzazione dei crediti svolta nell’ambito della procedura concordataria, aveva affermato di essere creditore per la ben minore somma di Euro 41.518,00 (di cui una certa somma per tfr);
– che a tale dichiarazione doveva attribuirsi la natura di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., avente valore di prova legale, in quanto resa proprio alla società debitrice;
– che, in ogni caso, dall’esame del piano e dell’elenco dei creditori della società, confermati dalla relazione dell’attestatore, era emerso un credito da lavoro dell’opponente di soli Euro 41.518,00 e solo dopo la revoca del concordato preventivo l’opponente, figlio dei due soci della società ***** s.p.a., poi fallita, aveva rivendicato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato che sarebbe intercorso dall’1.11.1997 sino al 9.06.2016 e un credito per differenze retributive di oltre 800.000,00 Euro;
che, pertanto, la pretesa dell’odierno ricorrente per somme ulteriori rispetto a quelle indicate nella predetta dichiarazione doveva ritenersi priva di fondamento;
– che il curatore della procedura fallimentare ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso; che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c.;
che la procedura controricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul rilievo che la curatela non si era tempestivamente costituita nel termine di almeno dieci giorni prima dell’udienza, stabilito dalla L. Fall., art. 99, entro cui la parte opposta deve, a pena di decadenza, sollevare le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e provvedere alla indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti prodotti;
che, in particolare, la curatela si era costituita in giudizio con memoria difensiva depositata il 6.2.2019, mentre la prima udienza fissata per la trattazione del ricorso in opposizione era quella del giorno 7.2.2019;
2. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sul rilievo che, ai sensi del disposto dell’art. 2697 c.c., a fronte dell’onere del lavoratore di provare gli elementi costitutivi del rapporto, corrisponde un onere del datore di lavoro di provare la corresponsione degli elementi dovuti per legge o per contratto;
– che, nel caso di specie, mentre, da un lato, il ricorrente aveva provato gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro, dall’altro, la curatela non aveva dimostrato il pagamento dei suoi emolumenti;
3. che preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla curatela relativamente al primo motivo, avendo il ricorrente specificamente indicato la norma asseritamente violata (la L. Fall., art. 99), nonché le ragioni giuridiche svolte a fondamento delle proprie censure (inammissibilità della produzione documentale della curatela per effetto della costituzione tardiva in giudizio);
4. che il secondo motivo, da esaminare prioritariamente sotto un profilo logico, è inammissibile;
che, infatti, indipendentemente dalla tempestività o meno nel deposito della dichiarazione rilasciata dal ricorrente nell’ambito dell’attività di circolarizzazione dei crediti svolta nella procedura di concordato preventivo, il Tribunale ha evidenziato (pag. 4 decreto impugnato) che “D’altra parte, dall’esame del piano e dell’elenco dei creditori della società, confermati dalla relazione dell’attestatore era emerso un credito da lavoro dell’opponente di soli Euro 41.518,00 e solo dopo la revoca del concordato preventivo l’opponente, figlio dei due soci della società ***** s.p.a., poi fallita, ha rivendicato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato che sarebbe intercorso dall’1.11.1997 sino al 9.06.2016 e un credito per differenze retributive di oltre 800.000,00” (Euro); che, dunque, anche a non voler tener conto del documento di cui il ricorrente eccepisce la tardività nella produzione, il Tribunale ha accertato la minor somma dovuta dal fallimento, nella misura sopra indicata, alla luce di altri specifici elementi di prova, quali l’esame del piano e dell’elenco dei creditori, la relazione dell’attestatore e la prova logica rappresentata dal rilievo che il B., figlio dei due soci della società fallita, ha rivendicato la maggior somma richiesta nella insinuazione allo stato passivo solo a seguito della revoca del concordato preventivo;
che tali elementi – con cui il ricorrente non ha minimamente ritenuto di confrontarsi – sono stati debitamente apprezzati e valorizzati dal Tribunale nella ricostruzione dei fatti, unitamente alle risultanze delle prove testimoniali, essendo stato dallo stesso giudice di merito evidenziato che “tutti i testi escussi non hanno confermato le circostanze dedotte alla lett. f) dell’atto introduttivo dirette a provare la debenza di somme per tredicesima, quattordicesima, ferie non godute e permessi lavoro straordinario che andrebbero a formare l’ulteriore pretesa”;
che, pertanto, le censure del ricorrente si appalesano come inammissibili, essendo solo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal Tribunale di Roma;
che il primo motivo è quindi assorbito;
che, conclusivamente, il ricorso va rigettato, con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidazione come da dispositivo e nella sussistenza dei presupposti del raddoppio del contributo unificato.
PQM
Rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 13.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi7 oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021