Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33504 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1216-2020 proposto da:

V.V., domiciliato ope legis in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI BONINO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA ASL TO 3, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MARATONA 87, presso lo studio dell’avvocato SABINA COLLETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato DARIO VLADIMIRO GAMBA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 692/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 24/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DI PAOL ANTONIO ANNALISA.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Torino, adita dall’Azienda Sanitaria A.S.L. TO 3, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso di V.V. e annullato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per la durata di 30 giorni, inflitta dall’azienda il 12 luglio 2017;

2. la Corte territoriale ha premesso che all’appellato, addetto al Servizio Igiene e Sanità Pubblica, era stato contestato di avere eseguito un sopralluogo presso l’alloggio abitato dalla nipote, dalla quale aveva ricevuto brevi manu un esposto, e di avere disatteso le disposizioni aziendali inerenti le modalità di iscrizione al protocollo;

3. il giudice d’appello non ha condiviso le conclusioni alle quali il Tribunale era pervenuto in merito al difetto della necessaria proporzionalità fra addebito e sanzione, ed ha rilevato, in sintesi, che il V., oltre a violare il dovere di astensione imposto dal codice disciplinare in caso di coinvolgimento diretto o indiretto di interessi di parenti fino al 4 grado, non aveva protocollato l’esposto ricevuto dalla nipote ed aveva anche omesso di verbalizzare l’attività svolta nell’esercizio della funzione ispettiva, ledendo l’immagine della Pubblica Amministrazione;

4. ha aggiunto che l’appellato non poteva che essere consapevole degli interessi contrapposti delle parti coinvolte e che le modalità seguite non erano conformi neppure alla prassi asseritamente seguita nell’ufficio, in relazione alla quale non era stato provata la tolleranza dell’Azienda;

5. per la cassazione della sentenza V.V. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, ai quali ha opposto difese con controricorso l’Azienda Sanitaria;

6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia la “violazione ed errata applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 134c.p.c., e dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nonché del CCNL” e addebita alla Corte territoriale di avere rigettato, senza motivazione alcuna, le richieste istruttorie formulate nella memoria difensiva, volte a dimostrare circostanze decisive, ossia l’esistenza di una prassi derogatoria comunemente accettata, in base alla quale i sopralluoghi venivano eseguiti anche a prescindere dall’iscrizione al protocollo degli esposti;

2. con la seconda censura il ricorrente si duole, oltre che del rigetto immotivato delle istanze istruttorie, dell’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e rileva che il supplemento istruttorio, negato dal giudice d’appello, avrebbe consentito una diversa valutazione della gravità dell’illecito disciplinare;

3. il terzo motivo denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti; giudizio di gravità della violazione del codice disciplinare; esistenza di una prassi operativa in deroga alle disposizioni aziendali di cui viene contestata la violazione non considerata dalla motivazione”;

3.1. il ricorrente sostiene che non si sarebbe verificata alcuna violazione dell’obbligo di astensione perché non erano state assunte iniziative formali che, tenuto conto delle condizioni dell’immobile, sarebbero state sicuramente favorevoli alla conduttrice la quale, sulla base delle stesse, avrebbe potuto giustificare il recesso immediato dal contratto di locazione;

4. l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio è denunciato anche con il quarto motivo con il quale si assume che l’esistenza della prassi derogatoria era desumibile anche dalla deposizione resa dalla teste N.;

5. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni perché, sotto l’apparente deduzione di errores in procedendo e in indicando, sollecita una rivalutazione del merito della causa, non consentita nel giudizio di legittimità;

6. il primo motivo, nella parte in cui si duole della mancata acquisizione di nuovi documenti, è formulato senza il necessario rispetto dell’onere imposto dall’art. 360 c.p.c., n. 6, perché non trascrive né riassume nel ricorso il contenuto della prova documentale non ammessa, e ciò impedisce alla Corte di valutare ex actis la decisività della documentazione;

6.1. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c. perseguono la finalità di consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;

6.2. occorre poi che la parte assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, perché l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5, riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n. 19048/2016);

6.3. i richiamati principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469/2019);

6.4. quanto, poi, alla prova testimoniale occorre ricordare che nel rito del lavoro il principio di unità ed infrazionabilità della prova impedisce di dedurre in appello una prova che sia diretta, in presenza di un’attività istruttoria già espletata su punti decisivi della controversia, a sminuirne l’efficacia e la portata (Cass. S.U. n. 11353/2004);

6.5. infine occorre ricordare che l’indispensabilità richiesta dall’art. 437 c.p.c., comma 2, al pari di quella prevista dall’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo antecedente alla modifica operata dal D.L. n. 83 del 2012, ricorre solo qualora il mezzo istruttorio sia tale da eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato (Cass. S.U. n. 10790/2017), caratteristiche, queste, che difettano all’evidenza nella fattispecie;

7. per il resto i motivi che addebitano, in sintesi, alla Corte territoriale di essere incorsa nell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio in relazione all’esistenza di una prassi operativa derogatoria delle disposizioni aziendali sono inammissibili perché il fatto storico è stato esaminato dal giudice d’appello e le censure confondono “l’omesso esame del fatto” con “l’omesso esame di risultanze istruttorie” idonee a rappresentare il fatto stesso;

7.1. con la recente sentenza n. 34476/2019 le Sezioni Unite di questa Corte hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati in relazione alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ad opera del D.L. n. 83 del 2012 e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018, hanno evidenziato che:

a) il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;

b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;

d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione;

6.2. quest’ultimo vizio, non riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, va denunciato ai sensi del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ed è ravvisabile solo qualora la carenza o la contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di un requisito essenziale della decisione;

6.3. è evidente che nella fattispecie, anche a voler tralasciare la formulazione della rubrica e l’individuazione esatta dell’error denunciato, le critiche mosse alla sentenza impugnata non sono sussumibili in alcuno dei due vizi in rilievo, perché il fatto storico, ossia il modus operandi dell’ufficio, è stato preso in esame dalla Corte territoriale che ha escluso che l’Azienda conoscesse ed avesse tollerato la prassi instaurata di fatto, e non si ravvisa alcuna incoerenza o contraddittorietà della sentenza impugnata;

7. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed 3.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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