LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giovanni – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19283-2020 proposto da:
A.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO TESTA per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CONVITTO NAZIONALE TORQUATO TASSO;
– intimato –
avverso la SENTENZA N. 1706/2019 DELLA CORTE D’APPELLO DI SALERNO, depositata il 912/2019;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nella camera di consiglio non partecipata del 24/6/2021.
FATTI DI CAUSA
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Convitto Nazionale Torquato Tasso, ha rideterminato l’indennizzo spettante per indebito arricchimento al geom. A.V. nella somma complessiva di Euro 17.206,23 ed ha compensato le spese di lite tra le parti, comprese quelle di consulenza tecnica d’ufficio, per entrambi i gradi di giudizio.
La corte, in particolare, nell’esaminare la censura relativa alla quantificazione dell’indennizzo spettante all’appellato a norma dell’art. 2041 c.c., dopo aver premesso, in diritto, che: in tema di azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione conseguente all’assenza di un valido contatto di appalto d’opera tra la stessa e un professionista, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. dev’essere liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido; – a tal fine, la parcella del professionista redatta sulla scorta delle tariffe professionali e reputata congrua dal consulente tecnico d’ufficio, può essere assunta come parametro comparativo per la determinazione dell’indennità spettante all’esecutore, con particolare riguardo alla determinazione del detrimento concretamente sofferto, decurtato il compenso costituente il profitto; ha ritenuto che “la diminuzione patrimoniale (danno emergente) va riferita non solo ai costi ed esborsi sopportati dall’esecutore, ma deve altresì ricomprendere quanto necessario a ristorare il sacrifico di tempo, nonché di energie mentali e fisiche del professionista, al netto della percentuale di guadagno” e che, nel caso in esame, era ragionevole decurtare la somma oggetto della condanna di primo grado (pari ad Euro 20.739,20) del 15%, rideterminando, quindi, la somma dovuta a titolo di indennizzo in Euro 17.206,23, fermo restando, per il resto, in assenza di impugnazione, quanto statuito dal primo giudice in merito agli interessi e alla rivalutazione monetaria.
La corte, infine, tenuto conto dell’esito finale della lite e della soccombenza reciproca delle parti, da apprezzarsi anche con riferimento alla circostanza che è stata accolta solo la domanda formulata in via subordinata dall’attore in primo grado e per di più per importo inferiore rispetto a quello indicato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ha disposto la compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, comprese quelle di consulenza tecnica d’ufficio, per entrambi i gradi di giudizio.
A.V., con ricorso notificato il 14/7/2020, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.
Il Convitto è rimasto intimato.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha decurtato l’importo oggetto della condanna in primo grado del 15%, senza fornire, tuttavia, alcuna motivazione logicamente e giuridicamente corretta.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha compensato le spese di lite senza, tuttavia, considerare che, a fronte dell’accoglimento della domanda subordinata proposta dall’attore, non vi è stata alcuna soccombenza reciproca delle parti.
3. Il primo motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, a seguito di un apprezzamento in fatto non censurato per il mancato esame di fatti decisivi risultanti dagli atti del giudizio, hanno determinato l’indennità spettante a norma dell’art. 2041 c.c.. D’altra parte, in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A. conseguente alla prestazione resa da un professionista in assenza di un valido contratto, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale (“detrimentum”) dal medesimo subita nell’erogazione della prestazione, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di profitto (“lucro cessante’) se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Cass. SU n. 23385 del 2008; conf., Cass. n. 12702 del 2019, la quale, in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la decisione di merito che, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, aveva assunto la parcella del professionista, redatta sulla base delle tariffe professionali e reputata congrua dal consulente tecnico d’ufficio, quale parametro comparativo dal quale desumere soltanto gli elementi di costo delle attività effettivamente svolte, decurtando poi la somma del 15% per escludere il riconoscimento del lucro cessante).
4. Il secondo motivo è infondato. La corte d’appello, infatti, ha correttamente applicato il principio per cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o (come nel caso in esame) in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite (correttamente riferito al rigetto della domanda principale ed al parziale accoglimento della domanda subordinata) poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale.
5. Il ricorso dev’essere, quindi, respinto. Peraltro, poiché il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.
6. Nulla per le spese di lite, in difetto di difesa del Convitto.
7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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