LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5873-2020 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
F.A.R.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1240/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
Che:
1. la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che aveva, tra l’altro, accertato il diritto di F.A.R., assunto dall’amministrazione scolastica con contratti di lavoro a tempo determinato, a percepire il medesimo trattamento economico riconosciuto, in relazione all’anzianità di servizio, ai dipendenti a tempo indeterminato ed aveva condannato il Ministero al pagamento delle differenze retributive, rigettando l’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione resistente;
2. la Corte territoriale ha condiviso le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di prime cure ed ha rilevato che la violazione del principio di non discriminazione costituisce inadempimento contrattuale e la domanda con la quale il lavoratore rivendica la parità di trattamento ha natura risarcitoria ed è soggetta al termine ordinario decennale di prescrizione;
3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il MIUR sulla base di un unico motivo, al quale non ha opposto difese F.A.R., rimasto intimato;
4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
Che:
1. il Ministero ricorrente denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2947 e 2948 c.c. nonché della L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43, e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto applicabile il termine ordinario di prescrizione perché la domanda con la quale il lavoratore assunto a termine rivendica le medesime condizioni di impiego riservate al dipendente a tempo indeterminato ha natura retributiva e pertanto il credito si prescrive, se non azionato, con il decorso di cinque anni dalla data della maturazione;
2. il ricorso è manifestamente fondato perché la sentenza impugnata contrasta con l’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ” nell’impiego pubblico contrattualizzato, la domanda con la quale il dipendente assunto a tempo determinato, invocando il principio di non discriminazione nelle condizioni di impiego, rivendica il medesimo trattamento retributivo previsto per l’assunto a tempo indeterminato soggiace al termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 2948 c.c., nn. 4 e 5, il quale decorre, anche in caso di illegittimità del termine apposto ai contratti, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza, e per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto a partire da tale momento ” (Cass. n. 10219/2020; Cass. n. 12443/2020; Cass. n. 12503/2020; Cass. n. 4194/2021);
3. con le richiamate pronunce, alla cui motivazione, condivisa dal Collegio, si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., si è osservato che la pretesa che il singolo fa valere, nel rivendicare le stesse condizioni di impiego previste per il lavoratore comparabile, partecipa della medesima natura della condizione alla quale l’azione si riferisce e, pertanto, qualora la denunciata discriminazione sia relativa a pretese retributive, la domanda con la quale si rivendica il trattamento ritenuto di miglior favore va qualificata di adempimento contrattuale e soggiace alle medesime regole che valgono per la domanda che l’assunto a tempo indeterminato potrebbe, in ipotesi, azionare qualora quella stessa obbligazione non fosse correttamente adempiuta;
3.1. se ne è tratta la conseguenza che, quanto alla prescrizione, non può essere applicato il termine ordinario decennale in luogo di quello, quinquennale, previsto dall’art. 2948 c.c., n. 4 per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” e dal n. 5 in relazione alle “indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro”, perché è quest’ultimo il termine che vale per l’obbligazione alla quale si riferisce la domanda di equiparazione e perché, diversamente, si verificherebbe una discriminazione “alla rovescia”, nel senso che al dipendente assunto a termine finirebbe per essere riservato un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto per il lavoratore comparabile;
4. la sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto sopra enunciato e provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità;
5. non sussistono le condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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