Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33531 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5910-2020 proposto da:

A.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARONCINI 6, presso lo studio dell’avvocato GENNARO CONTARDI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE – ASL ROMA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEVERE 20, presso lo studio dell’avvocato GUIDO LOCASCIULLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3093/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di A.T. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’ASL Roma *****, volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico subito a causa della nocività del luogo di lavoro, che aveva determinato l’insorgenza di gravi patologie (adenocarcinoma del colon e del retto, metastasi polmonari, iposmia e disturbo depressivo reattivo);

2. la Corte territoriale ha premesso che il primo giudice aveva fondato la pronuncia di rigetto su due distinte rationes decidendi rilevando, da un lato, che la ricorrente non aveva provato l’asserita nocività dell’ambiente di lavoro ed il collegamento causale con le patologie accertate, dall’altro che la parte datoriale aveva dimostrato di essersi sempre attivata con diligenza, disponendo gli interventi di riparazione e di manutenzione necessari e sottoponendo con continuità la lavoratrice ai controlli per la verifica del rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti;

3. ha precisato che questa seconda ratio, di per sé sufficiente a sorreggere la pronuncia di rigetto, non era stata specificamente censurata e ne ha desunto che il motivo di impugnazione era “privo di efficacia emendativa della sentenza”;

4. a soli fini di completezza ha aggiunto che la prova della nocività dell’ambiente di lavoro non poteva essere offerta facendo leva su accertamenti effettuati in altro giudizio promosso da una collega di lavoro affetta da patologie diverse rispetto a quelle denunciate dalla A.;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.T. sulla base di due motivi, ai quali ha resistito con controricorso la ASL Roma *****;

6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

7. l’Azienda Sanitaria ha depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2909 c.c., dell’art. 116 c.p.c., nonché “omesso esame circa un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e addebita, in sintesi, alla pronuncia gravata di avere erroneamente escluso l’efficacia di giudicato della sentenza con la quale, nel giudizio promosso da P.L. sempre nei confronti della ASL Roma *****, era stata accertata la nocività dell’ambiente di lavoro;

1.1. aggiunge che il nesso causale fra l’attività lavorativa e l’insorgenza della patologia era stato accertato dall’INAIL che aveva riconosciuto l’inabilità al lavoro per causa di servizio ed un’invalidità quantificata nella misura del 95%;

2. con la seconda censura è denunciata la violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, prospettata come conseguente alla fondatezza del primo motivo;

3. il ricorso è inammissibile perché non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata e svolge considerazioni prive della necessaria specifica attinenza al decisum;

4. nello storico di lite si è evidenziato che la Corte territoriale ha ritenuto che l’appellante non avesse impugnato il capo della pronuncia del Tribunale con il quale la responsabilità era stata esclusa sul rilievo che il datore di lavoro aveva dimostrato di essersi attivato a tutela della salute dei propri dipendenti, disponendo la manutenzione dei macchinari e periodici controlli sul personale;

5. la ricorrente non censura questo passaggio motivazionale della decisione, né dimostra che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, entrambe le rationes decidendi della sentenza di primo grado erano state oggetto di specifica impugnazione e si limita ad argomentare sulla nocività dell’ambiente di lavoro, che andava desunta dal giudicato formatosi in altro giudizio e fra altre parti, incentrando l’impugnazione su quelle che lo stesso giudice d’appello ha affermato essere considerazioni svolte a soli fini di completezza;

6. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, perché compito della Corte di legittimità è quello di esercitare un controllo sulla legalità e logicità della decisione ed il giudizio si svolge entro detti limiti, che non consentono di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa;

6.1. i motivi, pertanto, devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le ragioni per le quali quel capo è affetto dal vizio denunciato;

6.2. se ne è tratta la conseguenza che la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4 e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);

7. a detta assorbente ragione di inammissibilità si deve aggiungere che il motivo, che sollecita un giudizio di merito non consentito in sede di legittimità, è fondato su documenti (sentenza resa in altro giudizio e fra altre parti, richieste di interventi inviate dalla coordinatrice del reparto) rispetto ai quali non risultano assolti gli oneri di specificazione e di allegazione richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., perché la ricorrente non riporta nel ricorso il contenuto della documentazione né fornisce indicazioni in merito ai tempi ed alle modalità della produzione (Cass. S.U. n. 34469/2019);

8. inammissibile è anche il secondo motivo perché la denunciata violazione dell’art. 91 c.p.c. viene prospettata solo come conseguenziale alla fondatezza delle censure sviluppate nel primo motivo;

9. l’inammissibilità del ricorso, che va dichiarata per la sua evidenza in applicazione del principio della “ragione più liquida”, rende non necessaria la pronuncia sull’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della controricorrente;

10. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

11. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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