Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33533 del 11/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7009-2020 proposto da:

D.R.A., domiciliato ope legis in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato TONY LUIGI DE GIORGI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1251/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 06/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’Appello di Lecce ha respinto l’appello di D.R.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, volta ad ottenere l’accertamento del diritto a percepire, dalla data del trasferimento per mobilità volontaria, l’assegno personale non riassorbibile, con inclusione nella base di calcolo del premio di esercizio percepito nel periodo in cui aveva svolto attività lavorativa alle dipendenze delle Ferrovie dello Stato, e con conseguente condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento, con decorrenza dal 1 marzo 2001, dell’importo lordo mensile di Euro 119,41;

2. la Corte territoriale ha premesso che all’appellante, inizialmente transitato nei ruoli del Ministero delle Finanze, era stato attribuito dal Ministero l’assegno ad personam non riassorbibile ai sensi del D.P.C.M. n. 325 del 1988, nel quale era stato incluso anche il premio di esercizio, in ottemperanza alla giurisprudenza di legittimità ed ai pareri espressi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Ragioneria Generale dello Stato;

3. successivamente il D. era transitato per mobilità volontaria alle dipendenze dell’Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato che aveva riconosciuto l’assegno nei soli limiti del rispetto del divieto di reformatio in peius e, pertanto, l’aveva riassorbito, in parte, a seguito del passaggio nella fascia economica superiore, riducendolo ad Euro 8,09 mensili;

4. il giudice d’appello ha ritenuto corretto l’operato dell’amministrazione perché conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’assegno ad personam, in quanto finalizzato unicamente ad impedire la riduzione del complessivo trattamento economico, è destinato ad essere riassorbito nei successivi miglioramenti contrattuali;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.R.A. sulla base di due motivi, trattati unitariamente, ai quali ha opposto difese con controricorso l’Agenzia delle Dogane;

6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

che:

1. il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, nonché del D.L. n. 40 del 2010, art. 2, comma 1 bis, convertito dalla L. n. 73 del 2010 e sostiene, in sintesi, che l’assegno personale doveva essere ritenuto non riassorbibile in quanto qualificato espressamente tale dal provvedimento del 2 dicembre 2003 con il quale il Ministero del Tesoro aveva rideterminato il trattamento economico spettante agli ex ferrovieri, includendo nella base di calcolo anche il premio di esercizio;

2. il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, perché la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui “in tema di passaggi di personale e procedure volontarie di mobilità nel pubblico impiego privatizzato, in difetto di disposizioni speciali che espressamente definiscano un determinato trattamento retributivo come non riassorbibile o, comunque, ne prevedano la continuità indipendentemente dalle dinamiche retributive del nuovo comparto, si applica, argomentando dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 34, come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31), il principio generale della riassorbibilità degli assegni ad personam. L’operatività di detto principio non può essere esclusa dalla contrattazione collettiva, alla quale sono demandate, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, la determinazione degli elementi che formano il trattamento economico complessivo dei pubblici dipendenti, nonché, per quanto riguarda il riassorbimento, le sole modalità applicative del principio, che dunque resta intangibile per la fonte contrattuale, stante l’inderogabilità della normativa che disciplina l’criteri generali della materia” (Cass. n. 11771/2021; Cass. n. 10210/2020; Cass. n. 19039/2017);

3. il principio generale della riassorbibilità non può essere escluso nella fattispecie, innanzitutto perché la determina dirigenziale sulla quale il ricorrente fa leva non ha carattere generale né natura di provvedimento amministrativo, trattandosi, invece, di un atto datoriale di gestione del rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, che, in quanto tale, non può attribuire alcun diritto soggettivo, ove non conforme alla legge ed alla contrattazione collettiva (cfr. Cass. n. 11645/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata – punto 9.2);

3.1. va, poi, aggiunto che quell’atto si riferisce al passaggio dall’Ente Ferrovie dello Stato al Ministero, disciplinato dalla normativa speciale all’epoca vigente, che non può certo trovare applicazione in caso di successivo trasferimento volontario presso altra Amministrazione, verificatosi in un modificato contesto legale e contrattuale;

4. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo;

5. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472