Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33559 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13127-2018 proposto da:

GESTORE SERVIZI ENERGETICI SPA, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato TIBERIO SARAGO’ ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in ROMA, P.LE DELLE BELLE ARTI 8, pec: (Ndr: testo originale non comprensibile);

– ricorrente –

contro

C.P., rappresentata e difesa dagli ROMANO’ FRANCESCO e MARCO SALIVA ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in ROMA, VIA CARLO POMA 4, pec: avvromanograncesco.cn ec.it e marcobaliva.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1563/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2021 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

FATTI DI CAUSA

1. Il Gestore dei Servizi Elettrici propose opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma in favore di C.P., quale legale rappresentante della Castelnuovo Ecologia S.a.S., per la somma di Euro 57.862 oltre interessi, a titolo di corrispettivo di fornitura di energia a saldo di una fattura.

L’opponente espose di aver estinto la posizione debitoria con un unico versamento a saldo di alcune fatture, mentre la C. Ecologia, cui era subentrata la C. come unica socia una volta estinta la società, aveva imputato parte di quel pagamento ad interessi non dovuti. Precisò altresì che il credito della C. Energia era stato ceduto alla C. a garanzia degli affidamenti alla stessa concessi, sicché essa istante aveva sospeso i pagamenti delle fatture una volta verificato che il conto corrente di accredito era diverso da quello su cui aveva effettuato i precedenti pagamenti.

La C. si costituì in giudizio assumendo essere dovuti gli interessi per il ritardato pagamento, avendo il GSE omesso di effettuare i pagamenti sul c/c indicato dalla banca cessionaria.

2. Il Tribunale di Roma accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, riconoscendo alla C. i soli interessi maturati tra la data di comunicazione dell’estinzione dell’obbligazione ed il pagamento eseguito da GSE.

3. La Corte d’Appello di Roma, adita da C.P., con sentenza n. 1563 dell’8/3/2018, ha accolto l’appello, rigettando l’opposizione. Ha rilevato che il G.S.E. avrebbe dovuto eseguire correttamente i pagamenti alla banca cessionaria, essendo vincolato dalla cessione del credito regolarmente notificatagli, mentre aveva trattenuto le somme di cui era debitrice nei confronti della C., somme che avrebbero prodotto frutti, di guisa che correttamente la C. aveva imputato parte del pagamento ad interessi maturati tra la scadenza dell’obbligazione e l’effettivo adempimento, con la conseguente permanente scopertura di una quota ancora dovuta.

4. Avverso la sentenza che, rigettando l’opposizione, ha altresì condannato GSE al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio, il soccombente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ha resistito C.P. con controricorso.

5. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – sussistenza della giurisdizione amministrativa ai sensi dell’art. 103 Cost., artt. 7 e 133 c.p.a e sul difetto di giurisdizione dell’a.g.o. – il ricorrente lamenta che non sia stato rilevato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo, che avrebbe dovuto radicarsi in ragione della natura del GSE che, sebbene formalmente privato, deve essere – in quanto partecipato dal Mes- a tutti gli effetti equiparato alla pubblica amministrazione. A sostegno della eccezione il ricorrente menziona una sentenza di questa Corte (S.U. n. 4326 del 2014) che, avendo ad oggetto un atto del GSE, avrebbe per l’appunto affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

1.1 Il motivo è infondato. Oggetto del presente giudizio è infatti il pagamento di fatture relative alla cessione di energia elettrica, dunque l’esecuzione di un contratto di compravendita intercorso tra due società di diritto privato, sulla quale non può dubitarsi circa l’esistenza della giurisdizione del giudice ordinario. Nella fattispecie in esame, a differenza della menzionata pronunzia di questa Corte, relativa all’impugnazione di un provvedimento in autotutela di riconoscimento di tariffe incentivanti di un impianto fotovoltaico, non sussiste alcun profilo pubblicistico che possa radicare la giurisdizione amministrativa.

Il motivo deve, pertanto, essere rigettato.

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 1264 c.c., con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorrente assume che l’impugnata sentenza abbia erroneamente omesso di rilevare che il credito da parte della cedente era stato per molto tempo inesigibile, fino al momento in cui la cessionaria non aveva comunicato l’intervenuta estinzione della cessione di credito. Ad avviso del ricorrente nessun pregiudizio avrebbe potuto derivare dal ritardo dovuto alle difficoltà di risoluzione delle problematiche del rapporto interno tra la correntista e la banca. In ogni caso il giudice avrebbe dovuto rilevare la buona fede di esso Gestore fino al momento in cui non fosse stata data prova dell’avvenuta estinzione della cessione del credito, essenziale per potersi liberare dell’obbligazione su di sé gravante.

2.1 Il motivo non ha alcuna correlazione con la ratio decidendi secondo la quale il debitore avrebbe dovuto effettuare i pagamenti o alla società (sul conto indicato nelle fatture) o alla banca sul conto comunicato dalla C. ma giammai attendere un lasso di tempo così lungo prima di adempiere. Ne’ sussisteva alcun ostacolo all’adempimento dal momento che le fatture di pagamento erano di per sé stesse espressione di richiesta di pagamento. E’ evidente, allora, come la disciplina della cessione del credito, di cui il ricorrente invoca la pretesa violazione, sia del tutto eccentrica rispetto alla decisione in quanto la condotta contestata al GSE non è di aver mal pagato (al cedente piuttosto che al cessionario) ma di non aver pagato per anni nulla a nessuno. Il thema decidendum è infatti la liceità della condotta del debitore che, assumendo il pretesto della cessione, ha omesso di pagare sia al preteso cedente sia all’asserito cessionario.

3. Con il terzo motivo di ricorso – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002 ratione temporis con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente assume che la sentenza avrebbe erroneamente riconosciuto gli interessi maturati nella misura di cui al richiamato decreto nonostante il rapporto fosse sorto prima della sua entrata in vigore e dunque dovesse riconoscersene l’inapplicabilità ratione temporis.

3.1 Il motivo è infondato. La sentenza ha correttamente ritenuto che gli interessi maturati fossero stati calcolati alla stregua di quelli commerciali in quanto la singola fornitura, di cui alla fattura rimasta impagata, è stata effettuata dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2002. Il rapporto di somministrazione intercorso tra la C. Energia e il GSE comporta che le singole prestazioni, ancorché tra loro connesse, siano distinte ed autonome di guisa da essere soggette alla disciplina legale vigente al momento della loro esecuzione e non anche a quella dell’eventuale accordo “a monte”. In questo senso il contratto di somministrazione si distingue dalla vendita a consegne ripartite perché, nel primo caso, la periodicità o la continuità delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato (ove non sia stata determinata l’entità della somministrazione), si che ogni singola prestazione è distinta ed autonoma rispetto alle altre, mentre la vendita a consegne ripartite è caratterizzata dalla unicità della prestazione, rispetto alla quale la ripartizione delle consegne attiene soltanto al momento esecutivo del rapporto (Cass., 2, n. 7380 del 4/7/1991; Cass., 2, n. 15189 dell’11/7/2011).

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.800, (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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