Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33561 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18309-2019 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARTAGINE, 38, presso lo studio dell’avvocato ARTURO PRINCIPE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G BETTOLO 9, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CLAUDIO MAGGISANO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

*****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4157/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. P.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza 18 giugno 2018, n. 4157/2018, resa dalla Corte d’appello di Roma.

2. Ha notificato controricorso D.L., erede di D.F.B.. E’ rimasto altresì intimato, senza aver svolto attività difensive, il *****.

3. La Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame avanzato dall’avvocato P.A. contro la pronuncia resa in primo grado in data 15 gennaio 2010 dal Tribunale di Roma. Tale pronuncia, su domanda del condomino D.F.B., aveva annullato la delibera assembleare 31 gennaio 2006 del *****, in punto di ripartizione delle spese di conservazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento, poste a carico anche dei partecipanti che si erano distaccati. Nel giudizio di primo grado svolse intervento volontario l’avvocato P.A., altro condomino, per far valere apposite disposizioni del regolamento condominiale contrattuale, relative all’obbligo per tutti i condomini di contribuire alle spese di manutenzione delle cose comuni. Sull’appello del medesimo P.A., la Corte di Roma, premessa la qualità di interventore autonomo, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., comma 1, dell’appellante, e perciò affermata l’ammissibilità del gravame, ha ravvisato la “natura negoziale” della deliberazione maggioritaria del 31 gennaio 2006, e la sua contrarietà ad una precedente delibera assembleare del 1998, la quale aveva disposto l’esonero dei distaccati dalle spese di manutenzione straordinaria. La sentenza di secondo grado ha altresì evidenziato che la delibera del 1998 era poi stata applicataò puntualmente negli anni successivi, senza alcuna contestazione, sino appunto al 2006, dando così luogo ad una convenzione sulle spese, ex art. 1123 c.c., comma 1, approvata per fatti concludenti.

4. Il ricorso di P.A. premette, subito dopo l’epigrafe, di impugnare la sentenza della Corte d’appello di Roma per “errores in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”. Il primo riferimento è specificato nel senso che “una regola contrattuale vincolante non può essere ritenuta non più vigente per un ipotetico comportamento difforme, peraltro riferito ad un periodo relativo”; il richiamo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è invece spiegato come “omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso”. Il ricorrente racconta di aver “fatto una ricerca contattando diversi amministratori e diversi studi legali esperti in questioni condominiali”, ricevendo conferma che non vi sia “un solo caso in cui il condomino distaccato dall’impianto di riscaldamento venga esonerato dalle spese di manutenzione straordinaria”. Si evidenzia come il ricorrente “fin dal momento iniziale della lite” avesse “contestato che vi fosse stata una prassi pacifica che faceva sì che i condomini fossero esentati dal pagamento delle spese straordinarie”. Il ricorso discute anche del “fatto di comune conoscenza che le moderne caldaie richiedono interventi straordinari ogni cinque/dieci anni” e richiama i diversi orientamenti giurisprudenziali sul distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e le relative previsioni regolamentari.

Il controricorso di D.L. antepone una eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza dei requisiti di specificità, chiarezza, autosufficienza e sinteticità.

5. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria.

6. All’esito dell’adunanza del 22 ottobre 2020, la trattazione del ricorso venne rinviata a nuovo ruolo, in quanto nella memoria presentata dal ricorrente erano stati invocati gli effetti delle questioni di costituzionalità sollevate da questa Corte con ordinanze del 9 dicembre 2019, nn. 32032 e 32033, in relazione al D.L. n. 69 del 2013, artt. 62, 65, 66, 67, 68 e 72, convertito con modificazioni nella L. n. 98 del 2013, con riferimento all’assegnazione dei giudici ausiliari di Corte d’appello all’esercizio delle funzioni giurisdizionali esercitate da organi. collegiali.

Con sentenza n. 41 del 17 marzo 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 106 Cost.,, commi 1 e 2, del D.L. n. 69 del 2013, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72, conv., con modif., in L. n. 98 del 2013 – che istituiscono e disciplinano nell’ambito della magistratura onoraria la nuova figura dei giudici ausiliari d’appello-, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32. Pur accertata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, la sentenza n. 41 del 2021 ha contemplato l’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione è destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello, prevedendo che la reductio ad legitimitatem avvenga con la tecnica della pronuncia additiva, ovvero inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire. Alla normativa censurata, fino al termine indicato dal citato D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32, è stato perciò riconosciuta una “temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2”, il che rende legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario.

Ciò esclude che nella specie sia ravvisabile un vizio di costituzione del giudice della sentenza impugnata, rilevabile ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c..

7. Non è osservato il precetto contenuto nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, nel suppore un error in iudicando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non solo non viene fatta una apposita rubrica strutturata in proposizioni assiomatiche, ma neppure sono indicate le norme di diritto su cui si fonda la richiesta di cassazione della sentenza impugnata, né l’individuazione dei testi legislativi asseritamente violati può cogliersi dall’esposizione delle censure. Al difetto della puntuale indicazione delle disposizioni che si assumono violate, come di specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, si accompagnano considerazioni rese in forma discorsiva, che propongono una valutazione delle risultanze di causa diversa da quella data nella sentenza impugnata.

D’altro canto, il ricorso non osserva nemmeno la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto, fondandosi le doglianze del P. sulla “delibera assembleare del 1998”, sugli artt. 2 e 12 del regolamento condominiale, nonché sulla “prassi” di esonero dei distaccati dal pagamento delle spese straordinarie” (prassi che si assume “avvenuta in un secondo momento” e “revocata in una successiva assemblea laddove si disponeva che i condomini distaccatisi devono partecipare alle spese anche per il passato”), rispetto a tali documenti vien fatto solo un generico richiamo nella narrativa, non viene specificato in quale sede processuale gli stessi risultassero prodotti nelle fasi di merito, né vengono trascritti o sintetizzati i contenuti salienti, così precludendo la comprensione delle doglianze e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali poggiano le censure, nonché la valutazione della rispettiva decisività.

Il ricorso altresì carente del requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non consente una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa sostanziali e processuali, nonché delle vicende relative ai pregressi gradi di giudizio.

E’ infine inammissibile la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in quanto l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Il ricorrente, quindi, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, avrebbe dovuto indicare un “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, da cui esso risulti esistente, il “come” e i “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore della controricorrente D.L. nell’importo liquidato in dispositivo, mentre non occorre provvedere al riguardo per il *****, che non ha svolto attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato paci a quello previsto per il ricorso principale’, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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