LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9059-2019 proposto da:
PRENATAL S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso lo studio dell’avvocato ALDO SIMONCINI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso, unitamente all’avvocato STEFANO ZUCCHI;
– ricorrente –
contro
F.A., rappresentata e difesa dall’avvocato ROSA MAURO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 23/2019 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE, depositata il 7/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;
Lette le memorie depositate dalla controricorrente.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE F.A. nella qualità di socia accomandataria della A.F. di A.F. s.a.s. impugnava la sentenza del Tribunale di Prato che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della Prenatal S.p.A. avente ad oggetto il pagamento di un residuo credito, derivante dall’impegno della convenuta di rimborsare alla società, quale agente, le spese in una misura forfettaria annuale.
Il Tribunale aveva disatteso la domanda ritenendo che non sussisteva alcun obbligo giuridico della società convenuta, in quanto gli impegni scaturenti dalla missiva del 26/6/1991 concernevano i rapporti con la F. quale persona fisica; inoltre, con successiva scrittura del 1/7/1991 si era inteso superare tutti gli eventuali accordi orali o scritti intervenuti tra le parti.
La Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 23 del 7 gennaio 2019 accoglieva l’appello e condannava la Prenatal al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 76.623,01, oltre interessi legali.
Secondo i giudici di appello la reale ricostruzione della volontà delle parti deponeva nel senso che, sebbene l’impegno azionato dall’attrice, con il quale la convenuta si obbligava a versare alla F., nella qualità di socia accomandataria della A.F. di A.F. s.a.s., la somma annuale di Lire 30.000.000 fosse contenuta in una scrittura del 26/6/1991, doveva escludersi che il versamento di tale somma, pacificamente avvenuto nei successivi tre anni fosse da ricondurre ad una liberalità posta in essere dall’appellata.
Infatti, il carattere obbligatorio di tale impegno si ricavava dalla previsione secondo cui tale somma sarebbe stata computabile ai fini del calcolo del FIRR, dell’indennità di clientela e dell’indennità sostitutiva del preavviso, essendo correlata alle vicende del contratto di agenzia, a nulla rilevando che lo stesso impegno non fosse stato poi riprodotto nel contratto di agenzia stipulato a distanza di qualche giorno, il 1 luglio 1991.
Infatti, occorreva ricordare che all’epoca dei fatti il contratto de quo poteva essere stipulato anche oralmente, e la stessa convenuta aveva tenuto fede a tale obbligo per i successivi tre anni, avendo quindi sospeso la sua erogazione in maniera illegittima.
Ciò trovava conforto anche nelle indagini del CTU il quale aveva riscontrato come la Prenatal avesse inizialmente corrisposto sia le provvigioni che il rimborso spese oggetto di causa, senza ritenere quest’ultimo assorbito dalle prime.
Sempre dalla consulenza d’ufficio emergeva poi che delle erogazioni asseritamente effettuate dall’appellata risultava la prova solo di una nota di credito di Lire 17.137.172, non risultando in atti altre fatture e documenti giustificativi, con la conseguenza che dal credito complessivamente vantato dall’attrice andava detratta solo la detta somma documentata, residuando quindi il credito oggetto della condanna di cui al capo di dispositivo.
Avverso tale sentenza propone ricorso la Prenatal S.p.A. sulla base di quattro motivi.
F.A. resiste con controricorso ed ha depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Preliminarmente deve darsi atto dell’inammissibilità delle memorie depositate per conto della società ricorrente dagli i avv. Francesco Rotondi ed Angelo Quarto, qualificatisi nuovi difensori della ricorrente, in quanto nominati in sostituzione del precedente difensore rinunziante all’incarico, attesa la non conformità della procura alla previsione di cui all’art. 83 c.p.c., avuto riguardo al carattere di specialità che connota il giudizio di legittimità.
Infatti, tale procura è stata rilasciata su autonomo foglio, che nelle stesse memorie si riferisce essere stato solo depositato telematicamente.
Ma anche ove voglia accedersi alla tesi che la stessa sia stata apposta in calce alle memorie, in quanto contenuta in un’unica busta telematica, occorre rilevare che non soddisfa i requisiti di forma imposti dalla legge in ragione della data di introduzione del giudizio di primo grado, trattandosi di procura con autentica della firma della parte ad opera da parte dello stesso difensore, e non di procura speciale con atto pubblico ovvero con autentica notarile.
Infatti, poiché la causa è stata introdotta dinanzi al Tribunale di F. già nel 2000, nella fattispecie occorre far riferimento alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c. secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 18323/2014; Cass. n. 20692/2018).
Sempre in limine litis va disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente, in quanto nel fascicolo del ricorrente si rinviene copia analogica della sentenza impugnata, (predisposta in formato digitale) recante in calce attestazione di conformità, così come del pari si rinviene la richiesta di trasmissione del fascicolo di ufficio al giudice che ha pronunciato la sentenza gravata, parimenti richiesta a pena di improcedibilità del ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 preleggi, nonché degli artt. 1326,1362,1363,1369,1371,1372 e 2697 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si deduce che la Corte d’Appello non ha preso in considerazione che la lettera del 26/6/1991, che contiene l’impegno della ricorrente a versare una somma annuale a titolo di rimborso spese, è di data anteriore al contratto di agenzia del 1/7/1991, e quindi destinato a prevalere sulla prima.
Una volta appurata tale circostanza, si sarebbe poi dovuto addivenire alla conclusione che i versamenti effettuati per i primi tre anni, essendo privi del carattere dell’obbligatorietà, erano da ricondurre al novero delle liberalità.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, si rileva che non ricorre la omessa disamina di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come dedotta da parte ricorrente, atteso che la sentenza gravata è pervenuta alla conclusione della sopravvivenza degli obblighi di cui alla missiva del 26/6/1991, nella chiara consapevolezza della sua anteriorità cronologica rispetto al contratto di agenzia, di pochi giorni successivo, non avendo in alcun modo inteso retrodatare gli effetti del contratto o posticipare la sottoscrizione della missiva, ma avendo per converso ritenuto che, pur in presenza del contenuto del contratto di agenzia, con il quale si sarebbe inteso disciplinare in maniera onnicomprensiva tutti gli aspetti del rapporto, gli obblighi di cui alla lettera precedentemente sottoscritta erano destinati a sopravvivere, essendo del tutto compatibili con il contratto posteriore.
Passando alle dedotte violazioni di legge, deve ricordarsi che costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 e s.s. c.c., e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, e’, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.
Il motivo in esame, pur a fronte della enumerazione di una serie di articoli del codice civile disciplinanti le regole di ermeneutica contrattuale, non individua la specifica violazione di legge, ma sollecita solo un diverso esito interpretativo, per sé maggiormente appagante, diverso da quello raggiunto dal giudice di merito, ma senza che le critiche mosse denotino l’assoluta implausibilità della soluzione invece alla quale è pervenuta la Corte distrettuale.
E’ ben presente al giudice di merito il fatto che il contratto di agenzia non richiama la previsione della quale ha chiesto l’esecuzione l’attrice nel presente giudizio, ma ha rilevato che, all’epoca dei fatti il contratto di agenzia non era assoggettato ad un peculiare regime di forma e che la contraria indicazione di cui al contratto del 1 luglio era da reputarsi superata dal comportamento esecutivo della stessa preponente che per ben tre anni aveva corrisposto la somma di cui alla missiva del 26/6/1991, sul chiaro presupposto della permanenza del preesistente obbligo e della sua sopravvivenza alla stipula del contratto di agenzia.
La censura per l’effetto si risolve in una critica all’apprezzamento di fatto del giudice di appello e come tale non può avere seguito in questa sede.
Il secondo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..
Si rileva che nella comparsa di risposta in primo grado, la società aveva dedotto di aver corrisposto in favore della società della quale la F. era socia accomandataria cospicue somme di denaro, prive di giustificazione negli obblighi contrattuali, delle quali chiedeva tenersene conto nel caso di accoglimento dell’avversa domanda.
La Corte d’Appello non ha tenuto in considerazione tale richiesta, senza assumere alcuna decisione al riguardo.
Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, senza considerare, sempre in relazione alle somme di cui al secondo motivo, che la controparte non ne aveva mai contestato l’incasso, così che il giudice ne avrebbe dovuto tenere conto, sebbene il CTU avesse riferito di non aver rinvenuto la relativa documentazione giustificativa.
I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.
Rileva il Collegio che la sentenza impugnata alla fine di pagina 6, lungi dall’omettere di decidere sulle richieste di valutare asseriti pagamenti effettuati in favore dell’attrice, ha invece espressamente esaminato la richiesta, rilevando che, in assenza di prova documentale, poteva tenersi conto solo del versamento di cui alla nota di credito del 27/11/1997, il cui importo è stato poi conseguenzialmente detratto dall’ammontare complessivo del credito riconosciuto alla F.. Risulta evidentemente sconfessata la ricorrenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, avendo la Corte d’Appello espressamente valutato ed esaminato i fatti indicati dalla ricorrente, così come la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’adozione di una pronuncia espressa di rigetto.
Quanto, invece alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. e rilevato che alla fattispecie la norma non è direttamente applicabile, essendo stato il giudizio introdotto in epoca anteriore alla modifica dell’art. 115 c.p.c., che ha espressamente previsto, per i giudizi instaurati a far data dal 4 luglio 2009, l’obbligo per la parte costituita di contestare specificamente i fatti addotti dalla controparte, si osserva che il motivo risulta comunque privo di specificità nella parte in cui pur assumendo che la controparte non avrebbe contestato tali fatti, omette di riprodurre il contenuto degli atti difensivi della controparte dai quali desumere l’atteggiamento di non contestazione, asserendo apoditticamente che i pagamenti invocati non erano stati disconosciuti dalla F. (cfr. Cass. n. 12840/2017; Cass. n. 20637/2016).
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 198 c.p.c., nonché dell’art. 2711 c.c., oltre che l’omessa disamina circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Si censura la sentenza di appello nella parte in cui ha escluso che fosse stata offerta la prova dei pagamenti asseritamente effettuati dalla ricorrente.
Risulta però trascurato che la stessa Corte d’Appello nel conferire il mandato al CTU, al fine di accertare l’ammontare dei crediti vantati dall’attrice, aveva fatto richiamo alla possibilità di disporre l’esibizione delle scritture contabili ai sensi dell’art. 2711 c.c..
Ne deriva che il giudice non avrebbe potuto pervenire a disattendere la richiesta della ricorrente, facendo semplicemente riferimento alla mancata allegazione della relativa documentazione giustificativa, ma avrebbe dovuto ordinare alla controparte ai sensi dell’art. 2711 c.c. l’esibizione di tutti gli atti contabili e della documentazione fiscale.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha costantemente affermato che (Cass. n. 9020/2019) in tema di poteri istruttori d’ufficio del giudice, l’emanazione dell’ordine di esibizione (nella specie, di documenti) è discrezionale, e la valutazione di indispensabilità neppure deve essere esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere motivazionale ed il provvedimento di rigetto dell’istanza è insindacabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa (conf. Cass. n. 4504/2017).
Inoltre (cfr. Cass. n. 9522/2012) perché il giudice eserciti legittimamente i suoi poteri istruttori officiosi (tra i quali quello di esibizione previsto dall’art. 2711 c.c.) occorre che la parte onerata dalla prova abbia tempestivamente e con sufficiente analiticità allegato i fatti specifici da provare e che, sempre tempestivamente, abbia almeno fondatamente allegato di non avere altro mezzo (o di avere invano esperito altri mezzi) per dimostrarli.
Con specifico riferimento proprio al contratto di agenzia si è affermato che (cfr. Cass. n. 6258/1996) l’agente che, al fine di ottenere il pagamento delle relative provvigioni, deduca la conclusione di affari diretti da parte del preponente, in violazione del patto di esclusiva, nella zona a lui riservata, ha l’onere di provare l’avvenuta conclusione di tali affari, e non può supplire al mancato assolvimento dello stesso mediante richiesta di esibizione della contabilità aziendale del preponente relativa agli anni nei quali assume essersi verificata la violazione del patto, potendo richiedere solo che siano esibiti atti e documenti specificamente individuati e individuabili.
Alla luce di tali principi si palesa evidente come la ricorrente denunci il mancato esercizio del potere ufficioso di ordinare l’esibizione (nemmeno poi sollecitato in sede di precisazione delle conclusioni in appello, come si rileva dalla lettura delle stesse come riportate in sentenza), mancato esercizio come detto incensurabile in sede di legittimità, ma senza nemmeno specificare con precisione quali atti e documenti specifici avrebbe dovuto esibire la controparte, palesando in tal modo come per la sua assoluta genericità la doglianza miri a supplire all’evidente inottemperanza all’onere della prova sulla stessa incombente, quanto alla dimostrazione dei pretesi pagamenti effettuati, con la deduzione di un mancato esercizio di un ordine di esibizione che avrebbe però connotati meramente esplorativi.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avv. Rosa Mauro, dichiaratasene anticipataria.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, con attribuzione all’avv. Rosa Mauro, dichiaratasene anticipataria;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
Codice Civile > Articolo 1326 - Conclusione del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1363 - Interpretazione complessiva delle clausole | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1369 - Espressioni con piu' sensi | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1371 - Regole finali | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1372 - Efficacia del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2711 - Comunicazione ed esibizione | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 83 - Procura alle liti | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 198 - Esame contabile | Codice Procedura Civile