LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5048/2018 proposto da:
Consorzio Enologo Kronion Cooperativa Agricola Società In Liquidazione in persona dei commissari liquidatori C.A.
e M.A., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’Avvocato Di Prima Giuseppe;
– ricorrente –
contro
Agenzia Delle Entrate Direzione Provinciale Agrigento;
– intimato –
e contro
Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 291/2017 della COMM.TRIB.REG., SICILIA, depositata il 27/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2021 da Dott. STALLA GIACOMO MARIA.
RILEVATO
che:
p. 1. Il Consorzio Enologico Kronion coop.agr. in liquidazione propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 291/01/17 del 27.1.2017, con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di rettifica e liquidazione – per imposta di registro, ipocatastale e sanzioni – notificatogli in relazione all’atto 17 dicembre 2009 con il quale il Consorzio aveva ceduto alla Moncada Energy Group srl la propria azienda composta da avviamento, mobili ed immobili costituenti uno stabilimento industriale per la lavorazione e la commercializzazione di vini e sottoprodotti. A fronte di un prezzo dichiarato di cessione in Euro 29.396,02, l’amministrazione finanziaria aveva rettificato il valore di avviamento da Euro 11.090,00 ad Euro 287.564,00; il valore del fabbricato strumentale da Euro 18.306,00 ad Euro 967.172,00; il valore dell’immobile strumentale da O Euro ad Euro 2.423.990,00 (così ric.pag.3).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
– contrariamente a quanto sostenuto dal consorzio, l’avviso di rettifica e liquidazione doveva ritenersi adeguatamente motivato, così come già esposto dai primi giudici con condivisibili affermazioni; tanto più che, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento doveva ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto di rilevazione del maggior valore, elemento nella specie sussistente;
– ciò posto, la decisione dei primi giudici andava confermata anche in ordine a tutti gli elementi contenuti nell’avviso di accertamento, non superati dalle carenti argomentazioni del consorzio appellante.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il Consorzio lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per omessa pronuncia e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.. Ciò per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato sul motivo di appello relativo alla nullità (eccepita fin dal ricorso introduttivo) dell’avviso di rettifica e liquidazione (allegato sub 4) al ricorso per cassazione) per mancanza di elementi essenziali, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 52, quanto ad indicazione delle aliquote, calcolo della maggiore imposta, determinazione delle sanzioni.
p. 2.2 Il motivo è destituito di fondamento.
E’ orientamento pacifico che perché possa configurarsi la nullità della sentenza, ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo invece necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; il vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto (o la non esaminabilità) pur in assenza di una specifica argomentazione (da ultimo, tra le molte, Cass.n. 2151/21).
Orbene, nel caso di specie non può dirsi che il giudice di appello abbia omesso di pronunciarsi sul motivo concernente l’asserita nullità dell’avviso di rettifica per difetto di motivazione, dal momento che la decisione sul punto è ben individuabile attraverso il richiamo a quanto, sulla stessa doglianza, ritenuto dai primi giudici. Ci si trova dunque di fronte ad una pronuncia per relationem ancorata ad un ben individuato orientamento di legittimità sui parametri necessari e sufficienti di motivazione dell’atto impositivo (con la citazione di Cass.n. 11560/16), ed espressamente associata alla dichiarata condivisione della prima decisione, anche in ragione “delle motivazioni e di tutti gli elementi contenuti nell’avviso di accertamento, nonché delle carenti argomentazioni dell’appellante”, con la conseguenza di ritenere che “tanto conferma quanto è stato oggetto di decisione dei primi giudici, condiviso da questo collegio”.
Il motivo di appello, lungi dal non essere stato esaminato, è stato dunque univocamente rigettato, con radicale esclusione della dedotta causa di nullità ex art. 112 c.p.c..
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 e art. 2697 c.c.. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che, nel caso di cessione aziendale, la stima doveva essere unitaria per l’intero compendio, e non resa per singoli cespiti.
Ed in effetti nel caso di specie le parti avevano concordato un prezzo di cessione aziendale onnicomprensivo e non per singoli beni; inoltre, la commissione tributaria regionale non aveva considerato che il prezzo convenuto di Euro 29.396,02 teneva conto di tutte le passività aziendali, vertendosi di azienda ceduta da una società non produttiva ed in liquidazione, per giunta con ingenti esposizioni debitorie (per complessivi Euro 1.891.315,64) per la maggior parte nei confronti della stessa cessionaria (Euro 1.240.478,58). Quanto al fabbricato strumentale (cat.D1), il valore era stato determinato dall’ufficio, senza tenere conto dei pregiudizi iscritti, utilizzando la rendita catastale (per importo pari ad Euro 2.423.990,00), ma tale valore era stato inopinatamente ripreso a tassazione due volte, come risultava dall’avviso impugnato.
p. 3.2 II motivo è infondato.
In base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4: “per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma 1 è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento ed esclusi i beni indicati nell’art. 7 della parte prima della tariffa, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa”.
Ciò premesso, va considerato che nella specie la divergenza tra “prezzo” della cessione e “valore” del compendio aziendale – come già ritenuto dai primi giudici, con affermazione recepita in appello – è stata dall’amministrazione finanziaria desunta dallo stesso atto di cessione d’azienda e dalle schede di compilazione della richiesta di registrazione, dalle quali si evinceva la compresenza di una componente mobiliare e di avviamento, e di una componente immobiliare assoggettata sia ad imposta proporzionale di registro sia ad imposta ipotecaria e catastale.
In particolare, dallo stesso atto di cessione d’azienda risultavano attività totali per Euro 1.920.711,66 a fronte di un valore di terreni e fabbricati pari ad Euro 1.200.000,00; con conseguente individuazione differenziale del valore della componente mobiliare (compreso l’avviamento) di Euro 720.711,66.
Quanto al debito del Consorzio verso la cessionaria, è lo stesso ricorrente a riferire che si trattava di posta destinata ad “estinguersi per confusione”, così da non risultare estranea alla determinazione della base imponibile, citato D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 51, comma 4.
Per quanto concerne l’immobile D1 – ritenuto dai giudici di merito suscettibile di destinazione extra-aziendale – è ancora la parte ricorrente a riconoscere che la rettifica è dipesa dall’applicazione del metodo della rendita catastale, e dunque da criterio automatico ed obiettivo (attesa la sua valorizzazione iniziale in importo inferiore a quello catastale).
Tutto ciò esclude la dedotta violazione della legge impositiva di registro e, al contempo, la violazione della regola generale sull’onere della prova, dal momento che la dimostrazione della fondatezza della rettifica è stata dall’amministrazione finanziaria (sulla quale in effetti gravava) fornita in forza, non di un’analisi comparativa di mercato o di elementi esterni di discrezionalità tecnica, bensì delle stesse risultanze contabili in atto; ovvero, come detto, in base ai criteri catastali automatici. E ciò ha comportato l’applicazione dell’imposta proporzionale con aliquota sul valore aziendale complessivo.
Dal che appare evidente come la doglianza, una volta esclusa la difformità della decisione dalla normativa di riferimento, miri in realtà ad inammissibilmente ottenere nella presente sede di legittimità una nuova valutazione di tipo estimativo.
Quanto, infine, alla pretesa duplicazione dell’imposizione sulla componente immobiliare, basta richiamare l’autonomia dei presupposti del registro, da un lato, e dell’imposta ipocatastale, dall’altro; autonomia in base alla quale quest’ultima imposta, applicata sul solo fatto generatore delle formalità di trascrizione e voltura catastale, implica la considerazione, negli atti di cessione aziendale o di conferimento, di una base imponibile al lordo, e non al netto, delle passività gravanti sugli immobili trasferiti.
In tema di imposte ipotecarie e catastali, in altri termini, la base imponibile di un complesso aziendale comprendente beni immobili va determinata stabilendo il valore di mercato di ciascuno di essi, senza tenere conto delle passività che eventualmente gravino su questi ultimi (tra le altre, Cass.nn. 6406/14; 23873/15; 26046/16).
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna del Consorzio ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 5600,00, oltre spese prenotate a debito;
v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile tenutasi con modalità da remoto, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021