Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33588 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18689-2019 proposto da:

G.C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GHERA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO GAROFALO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ENZO MORRICO, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2320/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 11/12/2018 R.G.N. 396/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI Federico.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Con sentenza del 5.2.2013 il Giudice del lavoro di Bari rigettava il ricorso con il quale G.C.R. aveva impugnato il licenziamento intimatole in data 11.6.2001, ritenendo, in sostanza, fondati gli addebiti disciplinari mossile da Telecom Italia s.p.a..

Su ricorso della lavoratrice, la Corte di Appello di Bari, con sentenza del 15.9.17, rigettava il gravame proposto dalla G., compensando le spese di lite.

La Corte ribadiva il rigetto della domanda ritenendo peraltro l’infondatezza delle censure svolte con riferimento al secondo licenziamento intimatole il 12.6.01 per superamento del periodo di comporto.

La G., mediante ricorso depositato il 16.3.2018, agiva in revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, avverso la sentenza emessa il 15.9.17, chiedendo procedersi ad una nuova disamina della lite e concludendo per l’accoglimento dell’appello.

Resisteva la Telecom Italia s.p.a. concludendo per l’inammissibilità e comunque per il rigetto dell’istanza di revocazione.

Lamentava la G. che la Corte avrebbe calcolato “erroneamente il numero complessivo dei giorni compreso tra il 25.10.00 ed il 17.5.01 (tutti di malattia ininterrotta) indicandolo in n. 208 giorni anziché 205 giorni” (dato corretto che avrebbe condotto alla conclusione che alla data del 17.5.2001 – limite esterno del comporto- le assenze totalizzate sarebbero state pari a 364 giorni, laddove il limite interno contrattualmente previsto era di 365 giorni); il tutto tenendo anche conto che la Telecom in alcuni atti difensivi avrebbe “ammesso” che essa istante “avrebbe usufruito di un periodo di assenza a tutto il 30.4.2011 pari a 347 giorni” (sicché essi, sommati ai 17 giorni di assenza effettuati a maggio 2011, “ammonterebbero in ogni caso a 364 giorni).

Con sentenza dell’11.12.18, la Corte d’appello di Bari, dopo talune considerazioni inerenti la ravvisabilità nella specie di un errore revocatorio, rigettava (comunque) il ricorso per revocazione, per la non decisività dell’errore (inerente la questione dei 208 giorni anziché 205) poiché a tali giorni dovevano sommarsi anche le assenze, 162, effettuate dal 17.11.99 al 24.10.00 (rientrante nel periodo di comporto esterno di 18 mesi), col risultato che le assenze totali (367 giorni) superavano il cd. comporto interno (365 giorni).

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la G., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la società Telecom Italia con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1) Con primo motivo la ricorrente denuncia (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 395 c.p.c., n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la illegittima dichiarazione di inammissibilità della revocazione ordinaria inerente l’asserito erroneo calcolo dei giorni di malattia;

2) Con secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, la violazione degli artt. 1362,1324 e 2697 c.c.; L. n. 604 del 1966, art. 5; artt. 115 e 116 c.p.c., per l’omessa considerazione, nel computo dei giorni di assenza per malattia, dei cedolini paga da cui risultava un numero di giornate inferiore a quello prospettato da parte di Poste, cui la Corte aveva aderito, e per mancato assolvimento dell’onere probatorio relativamente al superamento del periodo di comporto;

3) Con terzo motivo la G. denuncia (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e art. 395 c.p.c., n. 4) erronee statuizioni in ordine alla non decisività ed alla natura non controversa dell’errore di fatto posto a motivo della revocazione.

4.- In base al principio della regione più liquida, può esaminarsi dapprima il secondo motivo, riguardando le censure 1 e 3 la teorica ammissibilità della richiesta di revocazione.

La Corte di merito ha infatti logicamente accertato (a prescindere dalla pur controvertibile sussistenza di errore revocatorio, per riguardare in tesi un fatto che costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare), che anche valutando (solo) 205 (e non 208, dapprima calcolato e contestato) giorni di assenza oltre agli ulteriori 162 giorni ricompresi nell’arco temporale collettivo di riferimento (cd. limite esterno del comporto), il risultato era che comunque risultava superato il limite oggettivo del comporto (cd. interno, 365 giorni), legittimando il licenziamento de quo.

La ricorrente, al riguardo, contesta i giorni di malattia ricompresi nel periodo 17.11.99 -24.10.00, sostenendo che esse ammonterebbero a 159 e non 162.

La doglianza è tuttavia inammissibile.

In primo luogo per non censurare la statuizione della sentenza impugnata ove è affermato (pag.4) che le buste paga prodotte ed i conteggi Telecom sul punto “non sono mai stati contestati dalla M.”; in secondo luogo perché non sono state prodotte le buste paga in questione (in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4).

Va aggiunto che quanto ai 6 giorni di assenza per malattia di ottobre 2000 (pag. 25 ricorso), o quanto meno 2 giorni calcolati del periodo 24 ottobre 2000, non è affatto chiarito perché essi non dovrebbero sommarsi ai 159 già raggiunti ad agosto 2000.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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