LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 605/2017 proposto da:
Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Lorenzo Magalotti n. 15, presso lo studio dell’avvocato Verrecchia Paolo Maria, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale telematica in sostituzione;
– ricorrente –
contro
Immobiliare RO.TA S.r.l., in Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Ferrari n. 4, presso lo studio dell’avvocato Sgroi Corrado, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Isnardi Carlo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2069/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 26/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2021 dal cons. DI MARZIO MAURO.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. – La Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. ricorre per un articolato motivo, nei confronti di Immobiliare RO.TA S.r.l. in liquidazione, contro la sentenza del 26 maggio 2016 con cui la Corte d’appello di Milano ha respinto il suo appello avverso sentenza del locale Tribunale di condanna della banca al pagamento, in favore della parte attrice, della somma di Euro 232.922,58, con accessori e spese, a titolo di risarcimento del danno cagionato dalla violazione di obblighi di comportamento su di essa banca gravanti, in veste di intermediario finanziario, in relazione ad un’operazione in strumenti finanziari derivati del 17 giugno 2008, denominata Collar In & Out 3062149.
2. – Ha osservato la Corte territoriale:
-) che lo strumento finanziario impiegato, apparentemente caratterizzato da una finalità di copertura della variazione dei tassi di interesse sull’esposizione debitoria di Immobiliare RO.TA S.r.l., “assolveva, di fatto, a una funzione di tipo speculativo”, dal momento che il nozionale concordato tra le parti, per l’importo di 3.000.000 di Euro, eccedeva considerevolmente l’entità dell’esposizione, inferiore ai 600.000 Euro, tanto più che il tasso strike era stato fissato al 5,70%, in un momento in cui l’Euribor a tre mesi era pari al 5%, di guisa che, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado, solo il range compreso tra il 4,60% ed il 5,70% generava in capo alla società differenziali positivi, ed era dunque in definitiva “assai remota la possibilità per il cliente di beneficiare di differenziali positivi”;
-) che l’operazione era inadeguata ai sensi dell’art. 40 del regolamento Consob numero 16190 del 2007, sia perché l’operazione non corrispondeva agli obiettivi di investimento del cliente, se non in minima parte, sia perché il cliente non risultava essere in grado di sopportare il rischio connesso all’investimento, sia perché lo stesso cliente non possedeva la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi dell’operazione;
-) che l’intermediario finanziario era venuto meno ai propri obblighi informativi, non essendo a tal fine sufficiente la consegna al cliente del contratto quadro e del documento informativo sugli strumenti finanziari derivati OTC, ed occorrendo invece una dettagliata e puntuale informazione sul rischio, sull’effetto leva, sulla liquidità del prodotto e la volatilità del prezzo;
-) che non poteva riconoscersi alla cliente la qualità di operatore qualificato ai sensi dell’art. 31 del regolamento Consob numero 11522 del 1998, trovando applicazione la disciplina dettata dal successivo regolamento Consob numero 16190 del 2007, in applicazione del quale Immobiliare RO.TA S.r.l. risultava essere cliente al dettaglio;
-) che il Tribunale aveva correttamente risposto, richiamandosi alla consulenza tecnica d’ufficio, alle questioni sollevate dalla banca in ordine alla sproporzione del nazionale, all’inadeguatezza dello strumento finanziario e all’obbligo di restituzione delle somme complessivamente addebitate;
-) che, quanto al motivo d’appello relativo all’obbligo di restituzione delle somme complessivamente addebitate dalla banca sul conto corrente intestato alla cliente, somma che secondo l’appellante quest’ultima non aveva corrisposto, doveva rilevarsi “che trattasi di questione che riguarda l’esecuzione della decisione e non 41 suo merito”.
3. – Immobiliare RO.TA S.r.l. in liquidazione resiste con controricorso e deposita memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
4. – L’unico articolato motivo, che si protrae da pagina 4 a pagina 23(denuncia: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2697 c.c., comma 2) ex art. 360 c.p.c., n. 3), e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5)”.
Si osserva in sintesi nel motivo, considerando che taluni argomenti vengono reiterati, e tralasciando le citazioni giurisprudenziali che inframmezzano l’esposizione, quanto segue:
-) i giudici di merito sarebbero “aprioristicamente pervenuti alle decisioni assunte omettendo di considerare l’effettiva insussistenza di concreti supporti probatori degli assunti della parte attrice in prime cure ed i presupposti dimostrativi dell’assunto diritto risarcitorio, dell’ammontare del danno effettivamente subito e del nesso di causalità, alla luce delle emergenze processuali effettive”;
-) il nozionale era stato fissato nell’importo di 3.000.000 di Euro in ragione di una concordata limitazione di esso a fronte di “fidi in Centrale Rischi” per un importo prossimo ad ascendere all’ammontare complessivo di 3,7 milioni di Euro;
-) i giudici di merito avevano “completamente omesso di esaminare, quale fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, la piena conformità del comportamento della B.N.L. S.p.A. rispetto alle disposizioni normative pro tempore vigenti in materia”;
-) analoghe operazioni in derivati erano state effettuate da R.M., legale rappresentante della società, attraverso altre società a lui riconducibili, come documentato dal contratto quadro e dal relativo documento informativo, sicché sussisteva in capo alla cliente, quale “operatore sostanzialmente qualificato”, l’effettiva consapevolezza, per pregressa competenza specifica ed esperienza diretta in materia di analoghi contratti, dei rischi e benefici connessi all’operazione, tanto più che lo strumento finanziario in questione aveva reso inizialmente un flusso positivo, con successiva inversione di tendenza dovuta esclusivamente alle imprevedibili dinamiche della curva dell’indice Euribor a tre mesi, cui era seguita la risoluzione anticipata del rapporto “con mero addebito contabile dei flussi negativi e senza loro effettivo pagamento”;
-) i giudici di merito non avevano considerato che la semplice dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante, secondo cui la società dispone della competenza ed esperienza richiesta in materia di operazioni in valori mobiliari, esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche sul punto, sicché essi erano incorsi in erronea valutazione dei mezzi di prova disponibili, in presenza di incongruenze dell’elaborato peritale depositato dal consulente tecnico d’ufficio in primo grado;
-) lo stesso consulente aveva riconosciuto che i flussi economici riconducibili all’operazione di copertura avevano trovato compensazione con i minori esborsi sostenuti a titolo di interessi sull’esposizione sottostante, ferma restando la mera appostazione contabile della relativa valorizzazione ed il mancato effettivo pagamento del corrispondente ammontare;
-) nessuna norma imponeva agli intermediari di dar conto degli scenari probabilistici, cui aveva fatto riferimento il consulente tecnico d’ufficio in primo grado, né era stato individuato alcun addebito per oneri finanziari occulti.
Ritenuto che:
5. – Il ricorso è inammissibile.
5.1. – La denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., è stata prospettata secondo un’impostazione estranea, già in astratto, alla consumazione della violazione lamentata.
E’ difatti noto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949).
Nel caso di specie, viceversa, il ricorso non prospetta un ribaltamento del riparto degli oneri probatori, e cioè non afferma che il giudice di merito avrebbe posto a carico dell’intermediario finanziario oneri probatori invece gravanti sul cliente, ma critica la complessiva valutazione fatta del materiale istruttorio disponibile, attraverso il quale la Corte territoriale è giunta alla conferma della sentenza impugnata.
5.2. – Anche la denuncia di omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso è eccentrica rispetto al dato normativo, giacché il fatto cui si riferisce il vigente art. 360 c.p.c., n. 5, è un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053). Nel caso di specie, viceversa, non v’e’ traccia, nel ricorso, di uno o più specifici fatti storici che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare e che, se considerati, avrebbero condotto ad una decisione più favorevole alla banca, la quale, invece, sollecita una riconsiderazione delle valutazioni compiute in sede di merito, che hanno indotto a reputare, in breve, che l’operazione fosse inadeguata e che l’intermediario non avesse ottemperato ai propri obblighi informativi, nulla infine rilevando la circostanza che la cliente non avesse sopportato l’esborso della somma portata dalla sentenza di primo grado, trattandosi “di questione che riguarda l’esecuzione della decisione e non al suo merito”.
In altri termini, la ricorrente, lungi dal dolersi del vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, contesta piuttosto la persuasività del convincimento del giudice di merito fondato sull’esame delle risultanze probatorie, contrapponendovi la propria tesi difensiva, così da attingere il piano della sufficienza motivazionale, ciò che non è più ammesso nel regime di sindacato minimale previsto dalla norma, nell’interpretazione che le Sezioni Unite, nella sentenza poc’anzi richiamata, hanno dato. In definitiva, il motivo sollecita la rivalutazione del merito, che la Corte territoriale, con la sua insoddisfacente motivazione, non avrebbe adeguatamente apprezzato: ma il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato è tuttora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357).
5.3. – D’altro canto, anche a voler riqualificare la complessa censura spiegata, reputando che la ricorrente abbia inteso lamentare non già i vizi indicati, violazione dell’art. 2697 c.c., ed omessa considerazione di fatti decisivi e controversi, bensì la radicale insufficienza motivazionale della sentenza impugnata, giacché dotata di una motivazione collocata al di sotto del “minimo costituzionale” (v. ancora Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), sta di fatto che la censura così riqualificata è comunque inammissibile per difetto di specificità.
Ed invero, il ricorso è già carente sul piano della narrativa, giacché riferisce che la società originaria attrice avrebbe agito in via principale per la “ripetizione”, per motivi non meglio indicati, di un certo importo, ed in via subordinata, nuovamente senza ulteriori chiarimenti o specificazioni, “anche a titolo risarcitorio, previa dichiarazione di risoluzione e/o annullamento dell’operazione in strumenti finanziari derivati”, mentre successivamente si afferma, a pagina 3 del ricorso, che il Tribunale “accoglieva la domanda attorea subordinata”: domanda che non è dato comprendere però quale fosse, sicché non si intende se il contratto sia stato annullato o sia stato dichiarato per qualche ragione risolto, mentre manca ogni spiegazione sul come e perché il giudice di primo grado sia pervenuto a quantificare la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno nell’importo di Euro 232.922,58.
Ed inoltre:
-) la sentenza impugnata non tratta affatto della questione del rapporto tra il nozionale e l’asserito effettivo importo dell’esposizione debitoria della società, non è chiaro se nei confronti di altre banche o della stessa B.N.L. S.p.A., per 3,7 milioni di Euro;
-) l’affermazione del giudice di merito secondo cui la fissazione del tasso strike al 5,70%, in un momento in cui l’Euribor si attestava sul 5%, connotava il contratto di un carattere prevalentemente, anche se non esclusivamente speculativo, non è in effetti comprensibilmente censurata;
-) la censura concernente la consapevolezza della cliente in ordine ai caratteri dell’operazione compiuta è anch’essa generica, laddove si assume che Immobiliare RO.TA S.r.l. avrebbe avuto veste di “operatore sostanzialmente qualificato”, affermazione che non si cimenta con la motivazione addotta dal giudice di merito secondo cui il R., legale rappresentante della società, era stato sottoposto ad apposito test conoscitivo, a seguito del quale era stato qualificato, dalla stessa banca, come “cliente al dettaglio”;
-) di scenari probabilistici la Corte d’appello, in via diretta, non parla affatto, sicché anche le considerazioni svolte in proposito sono in realtà estranee al tessuto motivazionale che sostiene la sentenza impugnata;
-) lo stesso infine vale per l’affermazione secondo cui “trattasi di questione che riguarda l’esecuzione della decisione e non al suo merito”.
In definitiva, ed ancora una volta, il motivo, lungi dal manifestare astratta attitudine a scardinare la motivazione addotta dal giudice di merito, contrapponendo agli argomenti impiegati nella sentenza impugnata altri argomenti tali da smentire quelli ivi svolti, prospetta, in violazione del principio di necessaria specificità dei motivi di ricorso per cassazione, una propria soggettiva rilettura della vicenda, che non intacca la giustificazione della decisione impugnata.
6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021