LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10267/2017 proposto da:
Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, presso lo studio dell’avvocato Martella Dario, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
nonché contro L.P.S., C.C., L.P.A., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Licciardello Sebastiano, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, presso lo studio dell’avvocato Martella Dario, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso al ricorso incidentale condizionato;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 358/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 01/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2021 dal cons. NAZZICONE LOREDANA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Vicenza con sentenza del 9 dicembre 2003 condannò Intesa Sanpaolo s.p.a. al risarcimento del danno in favore solidale di L.P.S. e C.C., liquidato in Euro 761.810,09, con gli interessi dalle singole operazioni di investimento, in relazione agli acquisti di azioni Seat Pagine Gialle s.p.a. eseguiti tra il gennaio 2000 ed il febbraio 2001.
Sull’appello principale della banca ed incidentale degli attori, con sentenza del 1 marzo 2017 la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha riliquidato il risarcimento del danno nella misura di Euro 883.701,32, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la banca, sulla base di otto motivi.
Resistono con controricorso gli intimati, proponendo ricorso incidentale per un motivo e depositando anche la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – I motivi del ricorso principale espongono avverso la sentenza impugnata censure che possono essere come di seguito riassunte:
1) violazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto il contratto quadro fu concluso il 12 gennaio 1998 e l’atto di citazione notificato il 15 ottobre 2010, onde era ormai maturata la prescrizione del diritto vantato, laddove la corte territoriale ha ignorato il fatto decisivo che si trattava di rapporto contrattuale, dovendo quindi rinvenirsi il dies a quo del termine prescrizionale alla data della sua stipulazione, non a quella dell’inchiesta penale condotta dalla Procura di Torino nel febbraio del 2001; a voler considerare i singoli acquisti, per quelli dal febbraio al giugno 2000 la prescrizione era comunque maturata;
2) omesso esame di fatto decisivo, consistente nelle notevoli minusvalenze dei titoli attorei sino al giugno 2000, idonei a palesare il danno, ben prima della inchiesta predetta, nonché nella databilità del preteso conflitto di interessi alla data del contratto del 12 gennaio 1998, dove però nessun danno si era prodotto;
3) violazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., perché né la lettera del 9 febbraio 2010, né quella del 13 marzo 2010, inviate dagli investitori, hanno prodotto l’interruzione della prescrizione, per la loro genericità e mancata messa in mora;
4) violazione degli artt. 11 preleggi, 21 e 216 del t.u.f., 27, 28 e 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, per avere la corte territoriale applicato il t.u.f. ed il predetto regolamento Consob, quando il contratto è stato concluso prima della loro entrata in vigore;
5) violazione degli artt. 21, lett. c), t.u.f. e 27 reg. Consob n. 11522 del 1998, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto la corte territoriale ha applicato la norma sul conflitto di interessi sopravvenuta al contratto quadro, invece che la L. n. 1 del 1991, art. 6, lett. g), ed, inoltre, non è stato provato che la banca detenesse titoli Seat nel proprio portafoglio, dovendosi considerare che la limitata partecipazione in Huit s.a., pari al 13,99%, non le permetteva di incidere sul progetto finanziario in atto, che il contratto inter partes prevedeva la totale dismissione della partecipazione indiretta in Seat Pagine Gialle s.p.a., onde la banca non aveva nessun interesse a sostenere il presso delle azioni stesse, ed, infine, che alla data del 3 agosto 2000, in ogni caso, ogni conflitto era cessato: tutte circostanze di cui la corte del merito ha omesso l’esame;
6) omesso esame di fatto decisivo, consistente nei numerosi investimenti sul mercato finanziario da parte degli attori, sin dal 1984 e sempre con titoli assai rischiosi, anche con notevoli guadagni in passato;
7) violazione degli artt. 11 preleggi, 1227 c.c., 21 t.u.f. e 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto, mentre il tribunale aveva ritenuto il concorso di colpa degli attori per gli ordini del 19 e 21 giugno 2000, in ragione delle precedenti perdite dei medesimi titoli, la corte del merito ha omesso di esaminare tale circostanza, onde ne è derivata la decisione di esclusione di quel concorso, oltretutto applicando i criteri prudenziali derivanti dalle norme sopravvenute del t.u.f.;
8) violazione degli artt. 1226 e 2697 c.c., art. 112 c.p.c., perché con riguardo alla liquidazione del lucro cessante, relativo alla mancanza di rendimenti alternativi per quel denaro, la corte d’appello ha applicato l’art. 1226 c.c. in modo errato, avendo pronunciato pur senza espressa domanda attorea e non avendo ancorato il decisum al pur minimo parametro di fatto o ad una c.t.u., invocata dagli attori ma non ammessa sul punto, finendo così per attribuire agli investitori, mediante l’uso del criterio della rivalutazione secondo gli indici Istat, un tasso pari al 2,5-3% annuo, superiore a qualsiasi rendimento garantito.
1.2. – Il ricorso incidentale condizionato espone un unico motivo, con il quale si deduce che controparte non sollevò nessuna eccezione circa l’inefficacia interruttiva delle raccomandate menzionate.
2. – La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che:
a) l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sollevata dalla banca, è infondata, in quanto si tratta di una responsabilità di natura contrattuale, con termine di prescrizione decennale, il quale inizia a decorrere, nella specie, non dagli ordini di acquisto, ma dal momento in cui il danno diviene percepibile: che va individuato nella inchiesta penale della Procura di Torino, risalente al 2001 ed idonea a rendere percepibile oggettivamente la rischiosità dell’investimento, successiva all’ultima operazione del febbraio 2001; ne deriva che la notificazione dell’atto di citazione, avvenuta il 15 ottobre 2010, ricade entro il termine prescrizionale; a ciò ha aggiunto che vi era la costituzione in mora mediante le lettere del 12 febbraio 2010 e del 13 marzo 2010;
b) agli investimenti per cui è causa si applica il regolamento Consob n. 11522 del 1998, in quanto ad esso successivi, e, comunque, la L. n. 1 del 1991 dettava già principi e regole di comportamento cui l’intermediario non si è uniformato, del tutto comparabile a quelle del testo unico della finanza;
c) la banca omise qualsiasi informazione sui titoli, quanto alla natura, all’emittente, al rating nel periodo, essendo essi ad alto rischio e volatili, come aveva accertato il c.t.u., con completa carenza informativa; inoltre, vi fu, in tal modo, l’investimento di tutti i risparmi, e, addirittura, della provvista finanziaria derivante da un’apertura di credito, in presenza di una modesta tolleranza al rischio ed inesperienza finanziaria, desumibile dagli strumenti finanziari mediamente acquistati, in quanto in parte speculativi, in parte accompagnati da investimento in titoli di rischio medio-bassi, senza adeguata diversificazione ed equilibrio di portafoglio; la sola reale informazione riguardò i rischi generali degli investimenti;
d) la banca operò in conflitto di interessi, dal momento che partecipava per il 13,99 al capitale sociale di Huit s.a., socio unico di Huit II s.a., a sua volta controllante al 61,3% di Seat s.p.a., mentre quella quota fu ceduta con effetti solo dal 3 agosto 2000: ma gli artt. 21, lett. c, t.u.f. e 27 reg. Consob n. 11522 del 1998 impongono all’intermediario di astenersi dalle operazioni in conflitto di interessi;
e) quanto al danno, ha però corretto l’importo individuato dal Tribunale: perché, da un lato, non può essere duplicata la posta mediante la liquidazione anche dell’addebito sul conto corrente utilizzato per l’acquisto di azioni e rimborsato già a tale titolo; dall’altro lato, ha ritenuto fondato l’appello incidentale circa la liquidazione dell’importo di Euro 276.100,00, negato dal primo giudice ex art. 1227 c.c. e relativo agli ordini del 19 e 21 giugno 2000, secondo il c.t.u. “inspiegabili”, in ragione delle perdite per i medesimi titoli appena maturate, concorso di colpa invece negato dalla corte d’appello, in ragione dell’affidamento riposto nell’intermediario;
f) va liquidato anche il lucro cessante, corrispondente ad investimenti alternativi che gli attori avrebbero potuto eseguire e che, in mancanza di specifiche allegazioni al riguardo, va liquidato in misura pari alla rivalutazione secondo gli indici Istat.
3. – I primi tre motivi concernono la disattesa eccezione di prescrizione.
Quanto al primo motivo, non ha pregio l’assunto della ricorrente circa la pretesa individuazione del dies a quo del termine prescrizionale alla data del 12 gennaio 1998, di conclusione del contratto-quadro per gli investimenti finanziari.
La corte territoriale ha ritenuto al contrario che il termine decennale, proprio della responsabilità, di natura contrattuale, non fosse ancora decorso, allorché fu notificato l’atto di citazione in data 15 ottobre 2010, reputando termine iniziale quello della percepibilità del fatto in relazione alle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Torino nel 2001. Il motivo non censura efficacemente tale ragionamento, pretendendo infondatamente di collocare altrove i termini prescrizionali.
Neppure è fondato il secondo motivo, ove si lamenta l’omesso esame di fatto decisivo con riguardo alla coscienza dell’illecito, che sarebbe sopravvenuta per le stesse perdite maturate sui titoli, e si deduce la databilità del conflitto di interessi al momento della conclusione del contratto-quadro del 12 gennaio 1998.
Mentre su tale ultimo profilo a breve si dirà, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è infondata, non trattandosi di fatto storico trascurato, ma di apprezzamento circa una situazione psicologica di conoscibilità di un evento, rimessa alla valutazione discrezionale della corte del merito.
Il terzo motivo si palesa inammissibile, in quanto censura una ratio decidendi resa dalla corte del merito ad abundantiam: il rilievo dell’interruzione della prescrizione (attraverso le lettere di costituzione in mora del 12 febbraio 2010 e del 13 marzo 2010) e’, invero, insussistente, una volta esclusa dalla corte d’appello la maturazione in sé del termine prescrizionale alla data di notificazione dell’atto di citazione.
4. – Il quarto motivo è inammissibile.
Una volta, invero, che la corte del merito ha motivato anche con riguardo alla violazione dei principi e delle regole di condotta anteriori al t.u.f., diviene irrilevante l’argomento dell’avere altresì reputato applicabili questa ultima disciplina.
5. – Il quinto motivo è del pari inammissibile, per difetto di interesse a ricorrere sul punto.
L’accertato inadempimento degli obblighi di informazione, gravanti sull’intermediario, rende irrilevante la censura sull’avere la banca altresì violato un ulteriore obbligo, qual è quello di non agire in conflitto di interessi.
6. – Non coglie nel segno il sesto motivo, che censura l’omesso esame di fatto decisivo circa le operazioni a rischio già compiute in passato dagli attori: nessun omesso esame sussiste al riguardo, essendo stata svolta ed ampiamente esaminata anche una consulenza tecnica sul punto; né si tratta di circostanza decisiva, non escludendo affatto il precedente ricorso a strumenti finanziari speculativi il diritto al risarcimento del danno per la successiva condotta di inadempimento della banca ai doveri dell’intermediario finanziario.
7. – Il settimo motivo si duole dell’avere la corte del merito negato il concorso dei danneggiati nella produzione dell’evento dannoso, ai sensi dell’art. 1227 c.c., quanto alle operazioni del 19 e 21 giugno 2000, in ragione delle precedenti perdite dei medesimi titoli, che hanno reso l’investimento non accorto da parte degli stessi investitori.
La corte del merito ha, tuttavia, escluso detto concorso, con un accertamento di fatto qui non ripetibile.
8. – L’ottavo motivo censura la concessa rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto non ancorata a nessun criterio certo quale parametro della operata liquidazione equitativa, oltre al vizio di ultrapetizione.
Mentre quest’ultima censura è infondata, avendo correttamente la corte del merito reputato domandato l’integrale risarcimento sofferto, né dovendo la parte chiedere ex art. 99 c.p.c., anche la liquidazione secondo un criterio equitativo (cfr. Cass. 24 gennaio 2020, n. 1636; conf. n. 25943 del 2007, n. 17492 del 2007, n. 315 del 2002), è invece fondata la doglianza di attribuzione di un importo non rispondente al danno.
Costituisce principio consolidato che, in materia di inadempimento contrattuale, l’obbligazione di risarcimento del danno configura un debito di valore, sicché, qualora si provveda all’integrale rivalutazione del credito relativo al maggior danno fino alla data della liquidazione, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, gli interessi legali sulla somma rivalutata dovranno essere calcolati dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione (Cass. 20 aprile 2020, n. 7948; Cass. 5 maggio 2016, n. 9039; nello stesso senso già Cass., sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26008, non massimata sul punto; nonché Cass. 4 ottobre 1999, n. 11021).
Invero, poiché nei debiti di valore gli interessi hanno natura compensativa e mirano a reintegrare il creditore danneggiato della perdita economica occorsa per effetto della mancata disponibilità della somma liquida necessaria all’eliminazione del pregiudizio sofferto, gli stessi non possono che decorrere dal momento in cui il danno è monetizzato nel suo preciso ammontare.
Si è anche affermato come possa sussistere un danno ulteriore, causato dal ritardato pagamento dell’equivalente monetario attuale della somma dovuta all’epoca dell’evento lesivo, ma tale danno sussiste solo quando, dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe se (in ipotesi tempestivamente soddisfatto) avesse potuto utilizzare l’importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza ovvero in impieghi più remunerativi, la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima, solo in tal caso potendosi ravvisare un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche mediante il meccanismo degli interessi, mentre in ogni altro caso il danno va escluso (Cass. 24 ottobre 2007, n. 22347). Onde occorre, sul punto, una prova specifica, oppure almeno il ricorso ad un criterio razionale, costituente il parametro di liquidazione del maggior danno sofferto, in presenza della allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo secondo il criterio sopra precisato.
Orbene, la sentenza impugnata sul punto opera una commistione: da un lato, riporta la censura degli appellanti incidentali, i quali avevano lamentato che il tribunale avesse liquidato i soli interessi, come per un debito di valuta, sull’importo dovuto e non anche concesso la rivalutazione della somma pari alle perdite pecuniarie sofferte; dall’altro lato, senza prendere posizione sulla natura del debito, si limita ad affermare che è dovuto anche il lucro cessante, liquidabile ai sensi dell’art. 1226 c.c.; ancora, omette completamente di riferire a quale parametro abbia ancorato la liquidazione.
Nel complesso, la doglianza intende dunque censurare la irragionevole liquidazione del “maggior danno”, che, mediante il cumulo degli interessi e della rivalutazione, ha finito per sovracompensare il danno patito.
Con riguardo al lucro cessante attribuito, dunque, è fondata la censura di mancanza di qualsiasi parametro, sinanco menzionato ancor prima che dimostrato, cui poterne ancorare la liquidazione.
Ne deriva l’accoglimento del motivo, in quanto sulla somma di Euro 883.701,32, come determinata dalla corte d’appello, avrebbe dovuto essere calcolata la rivalutazione Istat, con gli interessi decorrere dalla sentenza, senza l’attribuzione di ulteriori importi.
9. – Il ricorso incidentale condizionato è inammissibile.
Esso enuncia mere doglianze generiche sul fatto che controparte non avrebbe tempestivamente proposto eccezioni circa l’inefficacia interruttiva delle raccomandate, inviate dagli investitori alla banca, le quali al contrario erano idonee ad interrompere il termine prescrizionale.
Il motivo è radicalmente inammissibile, per plurime ragioni: esso, invero, non costituisce un motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., neppure individuando l’errore di diritto o le norme violate; esso, si appunta, inoltre, su tema irrilevante, come sopra esposto.
10. – In conclusione, in accoglimento dell’ottavo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con la riforma della sentenza impugnata e l’espunzione dal quantum – liquidato dalla corte d’appello – degli interessi con decorrenza dalle singole operazioni, e stabilendo, invece, che sulla somma di Euro 883.701,32, da rivalutare ad oggi secondo gli indici Istat, gli interessi decorrano dalla presente decisione.
11. – Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo per i primi due gradi di giudizio, mentre, atteso il tenore della decisione, sono interamente compensate per il giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo motivo del ricorso principale, disattesi gli altri motivi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto, e, decidendo nel merito, ridetermina il dovuto nella somma di Euro 883.701,32, come liquidata dalla corte territoriale, oltre alla rivalutazione Istat sino alla data della presente decisione e con gli interessi legali dalla stessa.
Condanna Intesa Sanpaolo s.p.a. al pagamento delle spese di lite dei precedenti gradi del giudizio in favore di L.P.S. e C.C. in via solidale, liquidate: 1) per il primo grado di giudizio, in Euro 10.500,00 complessivi, di cui Euro 500,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge; 2) per il secondo grado di giudizio, in Euro 11.200,00 complessivi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge.
Compensa per intero le spese del giudizio di legittimità.
Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico dei ricorrenti incidentali in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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