LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30097/2020 proposto da:
C.O., elettivamente domiciliato in Roma, Via Borgo Pio n. 44, presso lo studio dell’avvocato Sacchetto Stefano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pusateri Luca, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
F.E. elettivamente domiciliata in Roma, Via Giosue’ Borsi n. 4, presso lo studio dell’avvocato Scafarelli Federica, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Corvaja Fabio, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, del 28/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/09/2021 dal cons. NAZZICONE LOREDANA;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO ALBERTO che chiede il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
E’ proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Venezia n. 366/2020, il quale ha dichiarato inammissibili il reclamo e l’istanza di risoluzione della controversia, insorta in ordine alla permanenza del minore presso la madre nel periodo estivo dell’anno 2020.
Si difende con controricorso l’intimata.
Il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato le memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso propone un unico motivo, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 337-bis c.c., art. 38 att. c.c., artt. 325 e 739 c.p.c., in quanto il termine per impugnare il decreto del tribunale è di trenta giorni, ai sensi dell’art. 325 c.p.c., trattandosi di decreto con contenuto di sentenza, non di dieci, ai sensi dell’art. 739 c.p.c..
2. – Il ricorso è inammissibile.
I provvedimenti di c.d. giurisdizione camerale o volontaria o non contenziosa mirano ad adeguare costantemente la realtà giuridica a quella di fatto. In aderenza al mutamento delle condizioni concrete, ed al fine di operare un regolamento degli interessi quanto più aderente alle esigenze materiali, l’ordinamento in taluni casi consente la riconsiderazione della situazione, ad opera dello stesso giudice che abbia provveduto o di un giudice superiore.
Sono le ipotesi in cui il soggetto, ove mutino le circostanze, ha il potere (ma potrebbe darsi anche il dovere) di ricorrere nuovamente al giudice, per chiedere la revoca, la modifica o l’integrazione del precedente provvedimento, che non si adatta più a regolare al meglio la mutata situazione di fatto.
Nel contempo, quindi, tali provvedimenti ammettono – mediante il reclamo ex art. 739 c.p.c., – di adire il giudice superiore per ottenere una decisione diversa, pur sulla base delle medesime risultanze processuali; ammettono altresì di instare per la revoca o la modifica del provvedimento ex art. 742 c.p.c..
Vi sono, infine, talune situazioni in cui il legislatore ha escluso persino questa non definitiva stabilità, non richiedendo neppure un mutamento delle circostanze per rimettere in discussione un dato regolamento giudiziale degli interessi: sono i casi in cui la scelta è stata quella, ispirata alla particolare delicatezza delle situazioni coinvolte, della continua ed aperta possibilità di riconsiderazione anche allo stato degli atti, sovente ad istanza del pubblico ministero.
Nel settore dei rapporti familiari, è particolarmente sentita l’esigenza dell’adeguamento della regolamentazione giuridica alla situazione di fatto.
Ne deriva che nei provvedimenti, come quello impugnato, la definitività, in particolare, certamente manca.
Difettando, invero, secondo i concetti elaborati dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. sin da Cass. n. 8455/1993, n. 9757/1994, n. 19094/2007), i requisiti di decisorietà e definitività, i provvedimenti che regolino il diritto di visita, anche in sede di reclamo, non sono ricorribili ai sensi dell’art. 111 Cost..
Vertendosi, pertanto, in tema di visita del minore, le sue modalità restano affidate agli apprezzamenti compiuti dai giudici di merito; ed il provvedimento, soggetto alle regole generali del rito camerale, è come tale inidoneo ad acquistare autorità di giudicato, neppure rebus sic stantibus, perché modificabile e revocabile non solo ex nunc, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche ex tunc, sulla base di un riesame di merito o di legittimità delle originarie risultanze processuali.
Trattandosi di un provvedimento che difetta della definitività, pertanto, esso non è impugnabile, ai sensi dell’art. 111 Cost., con ricorso straordinario per cassazione.
3. – Le spese seguono la soccombenza.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021