LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20665-2015 proposto da:
F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI DE NOTARIIS;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;
– controricorrente –
nonché contro F.N., in proprio e nella qualità di erede di R.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 260/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 09/02/2015 R.G.N. 90/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 9.2.15, la Corte d’Appello di Campobasso ha confermato la sentenza del 3.10.12 del tribunale di Larino, che aveva rigettato la domanda della odierna ricorrente di condanna al pagamento della rendita vitalizia L. n. 1338 del 1962, ex art. 13 dovuta per il mancato pagamento di due anni di contribuzione necessari per beneficiare della pensione di anzianità per lavoro svolto quale unità attiva del nucleo del padre coltivatore diretto negli anni 1968-1970.
In particolare, la corte territoriale ha ritenuto inammissibile l’azione – qualificata di mero accertamento – volta ad accertare lo status di coltivatore diretto.
Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per 5 motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’INPS; le altre parti convenute (i genitori della ricorrente, quali parti del rapporto lavorativo) son rimaste intimate.
Con il primo motivo si deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 2697 e 2909 c.c., per essersi pronunciata la corte territoriale su questione non oggetto di gravame e quindi passata in giudicato.
Con il secondo motivo si deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per assenza o mera apparenza della motivazione (fatta per relationem alla sentenza di primo grado, ma in modo del tutto acritico).
Con il terzo motivo si deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 – 4 e 5, violazione dell’art. 414 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per avere trascurato la duplicità delle domande proposte, una relativa alla rendita l’altra relativa all’accertamento dello status di coltivatore diretto.
Con il quarto si deduce violazione della L. n. 338 del 1962, art. 13 per aver trascurato che la norma, che richiede la prova scritta ai fini della rendita, non esclude relativamente al rapporto di coltivatore diretto la prova testimoniale, per di più se solo integrativa della prova documentale.
Con il quinto motivo si deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2724 c.c., per aver trascurato la sussistenza delle condizioni che rendevano comunque ammissibile la prova testimoniale.
E’ preliminare l’esame del secondo motivo.
La sentenza impugnata – senza riportare il contenuto della decisione ed i motivi di appello – lo ritiene infondato “facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, ritenute condivisibili… e da intendersi riportate e trascritte”; la sentenza quindi aggiunge che “non è fondato l’assunto dell’appellante circa l’ammissibilità dell’azione di mero accertamento de qua” e richiama massima (relativa ad accertamento di nesso di causalità di infortunio), così ritenendo esaurito il suo compito.
Ciò detto, va evidenziato (con Sez. U, Sentenza n. 14814 del 04/06/2008, Rv. 603305 – 01; Sez. L, Sentenza n. 25866 del 21/12/2010 (Rv. 615589 01; Sez. L -, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018, Rv. 651205 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22022 del 21/09/2017, Rv. 645333 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 107 del 08/01/2015, Rv. 633996 01) che, in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame.
Ne’ può ritenersi utile il richiamo alla massima della cassazione operato dalla corte territoriale, in quanto si è del pari affermato (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17403 del 03/07/2018, Rv. 649381 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 11227 del 09/05/2017, Rv. 644191 – 01) che, in tema di provvedimenti giudiziali, la motivazione “per relationem” ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento. Nel caso, infatti, nessuno sforzo è fatto dalla sentenza impugnata per adattare il principio richiamato in massima alla fattispecie -del tutto diversa- oggetto del giudizio, magari rapportandola alle censure dell’appellante (per nulla considerate) ad alle diverse valutazioni operate in prime cure (che secondo quanto dedotto dal ricorrente sembrano seguire invece un diverso ragionamento).
Il motivo è dunque fondato.
Restano assorbiti gli altri motivi.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla stessa corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla stessa corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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