Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33678 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Maria – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29302/2020 proposto da:

K.M., rappresentato e difeso dall’avv. Michele Carotta, con domicilio eletto a Roma presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione Internazionale, Ministero Dell’Interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1201/2020 della CORTE D’APPELLO di Venezia depositata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/10/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

FATTO E DIRITTO

Il ricorrente cittadino del Ghana, proponeva opposizione al Tribunale di Venezia avverso il provvedimento della Commissione territoriale che aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria.

La Corte d’appello respingeva il gravame di K.M., osservando che: non era credibile il racconto del ricorrente estremamente “vago,superficiale ed in gran parte incongruente anche per l’assoluta imprecisione nei dettagli temporali della vicenda narrata e la totale mancanza di riscontro di sorta in ordine alle lamentate vicissitudini” e che in ogni caso proprio in relazione all’assoluta mancanza di una qualche riferibilità anche soggettiva degli avvenimenti raccontati, gli stessi apparivano riconducibili alla sfera privata e personale.

Il giudice del gravame escludeva le condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale di quella sussidiaria, per mancanza di ogni pericolo per il ricorrente; nonché le condizioni personali di vulnerabilità e gli indici d’integrazione sociale idonei a giustificare la misura della protezione sussidiaria. K.M. ricorre in cassazione con due motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Con il primo motivo si denuncia la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente – omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per aver ritenuto la Corte di appello che le ragioni dell’espatrio fossero di natura personale ed espresso un giudizio di credibilità senza svolgere alcun approfondimento istruttorio sulla documentazione allegata.

Con un secondo motivo si duole della violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., della nullità della sentenza per motivazione apparente – omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per non avere il Giudice di appello valutato la vulnerabilità in relazione alla condizione di vita del ricorrente allegate in giudizio nonché per avere omesso l’esame di un fatto decisivo escludendo che il richiedente avesse raggiunto un adeguato livello di integrazione senza considerare che il richiedente si trova in Italia da ben cinque anni ed è impiegato con un contratto a tempo indeterminato già dal 2018.

Il primo motivo è inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

In questi termini, nel solco dunque della previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, la Corte di merito ha dato compiutamente ragione della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

In particolare ha precisato che le dichiarazioni dell’appellante non risultavano puntuali “per l’assoluta imprecisione nei dettagli temporali della vicenda e totale mancanza di un qualche riscontro in ordine alle lamentate vicissitudini” (cfr. sentenza d’appello, pag. 7).

Il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicché anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.

Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice del gravame ha spiegato le ragioni per le quali si dovesse escludere la credibilità delle dichiarazioni del ricorrente avendo riguardo sia al profilo intrinseco che a quello estrinseco del racconto facendo comunque rilevare la riconducibilità della vicenda alla sfera privata.

In tal modo la Corte di appello ha correttamente applicato i principi sopra enunciati, ha indicato gli elementi, di interna incoerenza e di contraddittorietà, ritenuti decisivi per il vaglio di non credibilità mettendo in evidenza l’inattendibilità del suo racconto.

Tale motivazione non è né nulla né apparente secondo il criterio distintivo utilizzabile poiché, stante alla sua esplicitazione consente un effettivo controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio (cfr. ex multis, Cass. 13248/2020).

D’altro canto, il ricorrente senza dubbio sollecita – con il motivo in disamina questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” delle sue dichiarazioni.

Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – ben vero, al di là dell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicché, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Il motivo è inammissibile quanto al racconto che resta non sindacabile in cassazione se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa.

Spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/07/2020) secondo quindi contenuti (quello del vizio di motivazione sub art. 360, comma 1, n. 5 cit.) neppure oggetto di deduzione nel proposto motivo.

Giova altresì rilevare che il dovere di cooperazione istruttoria, attenuante del principio dispositivo, non sorge ipso facto sol perché il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. In difetti di tale attendibilità, non sorge quel dovere, poiché l’una è condizione dell’altro (Cass., n. 3340/2019; Cass., n. 16925/2018).

Il secondo motivo è fondato nei termini di seguito esposti.

Il ricorrente si duole,da un lato, che la Corte d’appello non abbia riconosciuto una condizione di vulnerabilità per il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e dall’altro abbia escluso il raggiungimento di un adeguato livello di integrazione in Italia pur avendo il ricorrente dato prova di lavorare da diversi anni per la ditta Gaeta Santoro di Monticello Conte Otto diversamente da quanto era accaduto nel suo Paese d’origine dove non aveva mai svolto alcuna attività. Il giudice del gravame in merito a detta misura richiamandosi agli orientamenti giurisprudenziali espressi da questa Corte ha ritenuto che la mancanza di credibilità del racconto non potesse essere posta a fondamento della domanda di protezione umanitaria escludendo che la mera allegazione di aver acquisito un certo grado di integrazione sociale nel nostro Paese – non desumibile dall’effettuazione di prestazioni lavorative regolarmente retribuite,nel caso di specie neppure allegate, richiedendodosi la prova di una effettiva integrazione nel tessuto sociale e culturale nel paese ospitante – non fosse sufficiente occorrendo la prova della compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost., in caso di rimpatrio nel Paese d’origine in questo caso mancante.

Occorre tuttavia rilevare che di recente le S.U. della Corte con sentenza nr. 24413/2021, ha ridisegnato i contorni della comparazione che il giudice del merito è chiamato a svolgere senza discostarsi dalla lettura offerta dalla precedente decisione nr. 29459/2019 in merito all’Istituto della protezione umanitaria.

Il focus della comparazione, secondo il recentissimo indirizzo, va incentrato sul rispetto dei diritti umani senza che assuma rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto dal richiedente in Italia isolatamente considerato.

Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno.

Nel caso di specie, emerge, come sopra evidenziato dalla lettura della sentenza impugnata che, nella valutazione in ordine al riconoscimento della misura di protezione umanitaria il giudice del merito non ha considerato il livello di integrazione raggiunto dal richiedente desumendolo dalla dedotta esistenza di una rapporto lavorativo nonché dall’esistenza di un rapporto di locazione e dai legami affettivi sorti nel Paese di accoglienza, ed e’, pertanto, incorsa nella violazione della norma censurata.

Resta da aggiungere che, come di recente pure chiarito da questa Corte (Cass. n. 11178/2019), la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo i termini giuridici della controversia così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio.

La sentenza impugnata va cassata in accoglimento del secondo motivo e rinviata alla Corte di appello di Venezia anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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