Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33781 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23387/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;

– ricorrente –

contro

Sicula Laterizi S.r.l., in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppina Pistone;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

Sicula Laterizi S.r.l., in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppina Pistone;

– ricorrente in via incidentale –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza n. 979/21/2016, depositata il 14 marzo 2016, della Commissione tributaria regionale della Sicilia;

udita la relazione della causa svolta, nella Camera di consiglio del 15 luglio 2021, dal Consigliere Dott. Liberato Paolitto.

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 979/21/2016, depositata il 14 marzo 2016, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto, per quanto di ragione, l’appello proposto da Sicula Laterizi S.r.l., così pronunciando in parziale riforma della decisione di prime cure che, per suo conto, aveva disatteso l’impugnazione di una cartella esattoriale, emessa in esito a controllo automatizzato della dichiarazione presentata dalla contribuente per il periodo di imposta 2006 (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis), e relativamente al credito d’imposta usufruito, in compensazione, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7;

1.1 – a fondamento del decisum, il giudice del gravame ha ritenuto che:

– il credito di imposta in contestazione, – relativo ad un incremento occupazionale realizzato, con una unità lavorativa, nel luglio 2001, era stato usufruito dalla contribuente negli anni 2001 e 2002;

– per gli anni successivi, e sino al 2006, il corrispondente credito di imposta non era stato riportato in dichiarazione (nel quadro RU);

– secondo un precedente giurisprudenziale di legittimità, detto credito d’imposta, corrispondente ad un diritto soggettivo del contribuente, avrebbe potuto essere esercitato entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, non potendosi ritenere condivisibile, né vincolante, l’opinione espressa dall’amministrazione in un documento di prassi (Circolare 9 aprile 2004, n. 16/E) circa il termine ultimo di godimento qual correlato al primo versamento successivo all’emanazione di detta circolare;

– la stessa Corte di legittimità, peraltro, aveva statuito che la dichiarazione dei redditi, – qualora il conseguimento di un beneficio fiscale risulti subordinato alla sua indicazione ‘nella dichiarazione stessa, – riveste natura di dichiarazione negoziale, in quanto tale irretrattabile, anche in caso di errore (non essenziale né riconoscibile);

– la circostanza che la contribuente, pertanto, – dopo aver utilizzato il credito di imposta negli anni 2001 e 2002, – non lo avesse riportato, nella sua residua componente, nelle successive dichiarazioni, e sino a quella relativa al periodo di imposta 2006, non costituiva “comportamento valutabile alla stessa stregua di un mero errore materiale” e comportava che “l’indicazione dell’importo di Euro 11.155,00 riportato nel quadro RU del modello Unico 2007, per l’anno d’imposta 2006” non potesse essere riferito “agli anni d’imposta 2003 e 2004”;

– ciò non di meno, doveva dichiararsi il diritto della contribuente a detrarre il credito di imposta, per Euro 5.577,00, in quanto oggetto di riconoscimento da parte dell’Agenzia;

2. – l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi;

– la Sicula Laterizi S.r.l., in liquidazione, resiste con controricorso ed articola due motivi di ricorso incidentale.

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle Entrate denuncia la nullità della gravata sentenza per violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, ed all’art. 112 c.p.c., e all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, deducendo, in sintesi, che, per un verso, la sentenza impugnata aveva definito la lite contestata con motivazione apparente, sulla base, quindi, di argomenti connotati da vaghezza e tra di loro contraddittori, e, per il restante, aveva impropriamente utilizzato un’allegazione svolta da essa esponente, – involgente l’entità del credito di imposta portato in compensazione, – al solo fine di dimostrare l’erroneità, quanto ai conteggi, dei dati da controparte esposti;

– il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 289 del 2002, art. 63, alla L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 10, ed al Reg. CEE del 12 gennaio 2001, n. 69 del 2001; assume, in sintesi, l’Agenzia che: a) – il credito di imposta riportato dalla contribuente per periodi successivi al 31 dicembre 2003 poteva essere utilizzato solo in caso di incapienza (id est per impossibilità di operare la compensazione su saldi a debito), dovendosi, altrimenti, individuare nel primo versamento successivo a detta data il termine ultimo fissato, a pena di decadenza, per operare la compensazione (citato art. 63); b) – i giudici di merito, – che avevano incentrato il loro decisum sull’esistenza, per vero non contestata, del credito di imposta, – avevano omesso di considerare la natura decadenziale del termine sopra indicato e, dunque, la necessità che, così come previsto da altre disposizioni di favore, il credito di imposta andava indicato nella stessa dichiarazione (quadro RU), salva la rettifica a favore da esercitare entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo; c) – il credito di imposta in contestazione, così come riconosciuto da dicta giurisprudenziali, rimaneva, ad ogni modo, sottoposto al rispetto della clausola de minimis qual fissato dal citato art. 7, comma 10;

2. – il primo motivo del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 7, sull’assunto che illegittimamente il giudice del gravame aveva rilevato la necessità di indicazione, nella dichiarazione dei redditi, del credito di imposta che, in ragione della disciplina sua propria, non poteva ritenersi esposto né ad un termine di decadenza né alla stessa necessità di detta indicazione nella dichiarazione reddituale, così come del resto (già) rilevato in precedenti giurisprudenziali di legittimità;

– col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o 4, la ricorrente in via incidentale denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 388 del 2000, art. 7, all’art. 115 c.p.c., ed all’art. 2697 c.c., deducendo, in sintesi, che la gravata sentenza, – nell’accertare un credito di imposta in misura corrispondente, però, a quanto oggetto di allegazione da parte dell’Agenzia, – aveva omesso di considerare i dati probatori da essa esponente offerti al giudizio al fine del (corretto) riscontro del complessivo credito d’imposta spettante, – con riferimento tanto al credito (già) oggetto di compensazione quanto a quello residuo riportato nella dichiarazione relativa al periodo di imposta 2006, credito che, peraltro, nemmeno aveva formato oggetto di specifica contestazione;

3. – il primo motivo del ricorso principale è destituito di fondamento, e va senz’altro disatteso;

3.1 – il giudice del gravame, nel pronunciare nei termini di cui sopra si è dato conto, è senz’altro incorso in errori di diritto involgenti la specifica fattispecie sottoposta al suo esame, – errori di cui in immediato seguito si darà conto, – epperò, non solo per questo, ha reso una pronuncia nulla per difetto di motivazione, posto che la contrarietà a diritto del decisum, – seppur conseguente ad incoerenze ricostruttive, – comunque si correla ad un complesso di argomentazioni che ne esplicitano il percorso ricostruttivo, e la stessa ratio decidendi;

4. – l’esame del secondo motivo del ricorso principale, – da condurre congiuntamente, per l’identità della quaestio iuris di fondo che li connota, con quello del primo motivo del ricorso incidentale, evidenzia l’infondatezza del motivo di ricorso principale, e la fondatezza di quello incidentale, con conseguente assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale;

4.1 – la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7 – nel disciplinare gli aiuti concessi alle imprese, sotto forma di credito di imposta, ai fini dell’incremento dell’occupazione, – ha espressamente previsto che il credito d’imposta, così riconosciuto, “non concorre alla formazione del reddito e del valore della produzione rilevante ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive né ai fini del rapporto di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 63” ed “e’ utilizzabile, a decorrere dal 1 gennaio 2001, esclusivamente in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241.”;

– il legislatore, – che, nel disciplinare dette modalità di utilizzazione del credito di imposta, non aveva previsto (più) stringenti prescrizioni del tipo di quelle che saranno successivamente poste dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 539 e ss., – col D.L. n. 138 del 2002, art. 5, conv. in L. n. 178 del 2002, ha, quindi, introdotto un sistema di monitoraggio dei crediti di imposta, e dei relativi limiti di godimento, sistema affidato a decreti ministeriali, e ad un decreto interdirigenziale – espressamente prevedendo che la relativa disciplina avrebbe trovato applicazione con riferimento ai “nuovi crediti di imposta i cui presupposti si sono realizzati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.”;

– successivamente il D.L. n. 209 del 2002, art. 2, conv. in L. n. 265 del 2002, ha introdotto un ulteriore limite al credito d’imposta in esame identificandolo in una predeterminata soglia dell’incremento occupazionale utile ai fini della maturazione dello stesso credito d’imposta, soglia costituita dall’incremento del numero dei lavoratori dipendenti “rilevato alla data del 7 luglio 2002 secondo le modalità della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7”, e riferito alle assunzioni effettuate a decorrere dall’entrata in vigore dello stesso provvedimento normativo;

– da ultimo la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63, ha rimodulato il credito di imposta introdotto dalla citata L. n. 388 del 2000, art. 7, prorogandolo sino al 31 dicembre 2006, ed espressamente disciplinandolo con riferimento:

– agli incrementi occupazionali verificatisi nell’anno 2003, e ricadenti nell’ambito di applicazione del D.L. n. 209 del 2002, citato art. 2 (art. 63, comma 1, lett. a));

– alle nuove assunzioni, ricadenti o meno in detto ambito applicativo, verificatesi sino al 31 dicembre 2006 (art. 63, comma 2, lett. b));

– lo stesso art. 63, al comma 2, ha quindi disposto nei seguenti termini: “Il contributo di cui al comma 1, lett. a), primo periodo, può essere attribuito comunque non oltre il 31 dicembre 2003; quelli di cui al comma 1, lett. a), secondo e terzo periodo, e lett. b), possono essere attribuiti comunque non oltre il 31 dicembre 2006. In entrambi i casi previsti dal primo periodo, i contributi possono essere fruiti, solo mediante compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, anche successivamente a tali date, in caso di incapienza.”;

4.2 – e’, dunque, a quest’ultima disposizione che si correla la tesi interpretativa dell’Agenzia: il richiamo &D’istituto della compensazione troverebbe (qui) una sua specifica modalità applicativa che, rilevante ai fini della dedotta decadenza, si identificherebbe col primo versamento d’imposta successivo all’entrata in vigore della disposizione, in quanto il credito di imposta sarebbe usufruibile, anche successivamente al 31 dicembre 2003, ma solo “in caso di incapienza”;

– per di più, si assume, il riferimento operato dal legislatore al termine ultimo del 31 dicembre 2003 implicherebbe la considerazione del “credito complessivamente maturato alla medesima data; di talché l’acquisizione del diritto alla fruizione del medesimo si pone come logico presupposto per la sua utilizzazione.”; con la conseguenza che “la condizione di incapienza, relativamente ai crediti maturati nel corso dell’intero anno 2003, deve essere perciò, di regola, riscontrata alla prima occasione utile – successivamente al 31 dicembre 2003 – per utilizzare in compensazione i medesimi crediti.”;

4.3 – la tesi in discorso, – che costituisce replica di argomenti spesi dall’amministrazione in un documento di prassi (Circolare 9 aprile 2004, n. 16/E, cit.), – è stata, per vero, già disattesa dalla Corte che ha rilevato che il diritto al credito di imposta “può essere esercitato entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, non assumendo alcuna vincolatività, ai fini della determinazione del termine di fruizione del beneficio, la circolare interpretativa della Amministrazione finanziaria (nella specie, Circolare del 9 aprile 2004, n. 16/E) che stabilisce un termine di utilizzo non successivo al primo versamento posteriore alla sua emanazione, non essendo essa fonte di diritto ma atto unilaterale della P.A., destinato ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività dei propri organi.” (così Cass., 8 maggio 2013, n. 10775; v., altresì, Cass., 19 maggio 2014, n. 10989);

– detta conclusione, – cui la Corte è pervenuta con riferimento ad incrementi occupazionali verificatisi nell’anno 2003, – deve ritenersi ancor più condivisibile nella fattispecie in trattazione che, – così com’e’ indiscusso tra le parti, – ha riguardo ad una nuova assunzione risalente al luglio 2001; assunzione che, – alla stregua dei dati normativi sopra ripercorsi, – rimaneva essa stessa estranea alla rimodulazione degli interventi di favore, tanto sotto il profilo del relativo monitoraggio quanto in ordine alla fissazione di un tetto di soglia degli incrementi occupazionali;

4.4 – inconferente risulta, poi, il riferimento operato dalla gravata sentenza alla dichiarazione dei redditi quale momento negoziale diretto alla manifestazione della volontà del contribuente di avvalersi del beneficio fiscale (v. ex plurimis, Cass., 9 maggio 2018, n. 11070, con riferimento al credito d’imposta di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 5, ed al D.M. n. 275 del 1998, art. 6), posto che per l’utilizzazione del credito d’imposta in esame non risultava affatto prevista la relativa indicazione, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso né, come detto, risultava (altrimenti) prefissato, – a maggior ragione per incrementi occupazionali che, per essersi verificati anteriormente (nella fattispecie nel luglio 2001), non ricadevano nell’ambito di applicazione del citato art. 63, comma 1, lett. a) e b) – un termine di decadenza;

– va, del resto, considerato che, in tema di agevolazioni fiscali, deve ritenersi sussistente una simmetria nella interpretazione delle relative disposizioni istitutive, in quanto se è vero che dette disposizioni sono di stretta interpretazione, – e, così, sottoposte “ad interpretazione rigida ed anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale” ed insuscettibili (anche) di un’interpretazione logico-evolutiva e costituzionalmente orientata (così Cass. Sez. U., 3 giugno 2015, n. 11373; v., altresì, ex plurimis, Cass., 27 aprile 2018, n. 10213; Cass., 9 aprile 2018, n. 8618; Cass. Sez. U., 22 settembre 2016, n. 18574; Cass., 25 marzo 2011, n. 6925), – del pari insuscettibili di una interpretazione analogica rimangono le (corrispondenti) disposizioni che prevedono decadenze dalle agevolazioni (sulla natura di stretta interpretazione delle norme sulla decadenza v., ex plurimis, nella giurisprudenza tributaria, Cass., 12 giugno 2020, n. 11320; Cass., 17 ottobre 2019, n. 26353; Cass., 12 gennaio 2017, n. 580; Cass., 4 marzo 2016, n. 4351; e, in termini più generali, Cass., 12 dicembre 2018, n. 32154; Cass., 15 giugno 2018, n. 15780; Cass., 2 novembre 2017, n. 26070; Cass., 26 giugno 2000, n. 8700; Cass., 10 aprile 1990, n. 3023);

4.5 – del pari inconcludente rimane il riferimento operato dall’Agenzia alla clausola cd. de minimis la cui applicazione, – senz’altro riferibile (anche) alla fattispecie in esame (v. da ultimo, ed ex plurimis, Cass., 13 ottobre 2020, n. 22039), – non può venire in considerazione, tanto in ragione dell’importo del credito di imposta controverso che, in difetto di ogni altra allegazione, – è ben lungi dal superare il limite economico posto da detta clausola quanto perché la deduzione in discorso introduce, in definitiva, una questione nuova che, – non risultando trattata nei precedenti gradi di merito, – è inammissibile in questa sede di legittimità siccome implicando, ad ogni modo, indagini ed accertamenti di fatto che, non compiuti dal giudice di merito, come tali, esorbitano dal giudizio di legittimità (Cass., 12 giugno 2018, n. 15196; Cass., 6 giugno 2018, n. 14477; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass., 31 gennaio 2006, n. 2140; Cass., 7 agosto 2001, n. 10902; Cass., 12 giugno 1999, n. 5809; Cass., 29 marzo 1996, n. 2905);

5. – come, poi, anticipato, dall’accoglimento del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale posto che la gravata sentenza non ha proceduto a quegli accertamenti in fatto, che (ora) formano oggetto delle censure in questione, in ragione della erronea individuazione dei cennati limiti legali all’utilizzazione del credito di imposta nei suo intero ammontare, così finendo per attribuire rilevanza (solo) al riconoscimento di detto credito qual comunque operato dall’amministrazione; e ne consegue che, una volta esclusa la ricorrenza dei rilevati limiti di utilizzabilità del credito, davanti al giudice del gravame potranno essere riproposte tutte le questioni concernenti la sua entità, ed il relativo riscontro probatorio;

6. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla stessa Commissione tributaria regionale della Sicilia che, in diversa composizione, procederà al riesame del merito della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti;

– nei confronti dell’Agenzia non ricorrono i presupposti processuali del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 dei 2012, art. 1, comma 17, trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenuta da remoto, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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