Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33802 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21446/2015 proposto da:

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RAPANA’, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHRISTIANO GIUSTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8784/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/03/2015 R.G.N. 1217/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 8784/2014, rigettava l’appello proposto del Ministero dello Sviluppo Economico e confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto tra il ricorrente C.D. e l’IPI (Istituto per la Promozione Industriale), in virtù di reiterati contratti a tempo determinato quali contratti di somministrazione intercorsi dal 10/12/2007 al 31/12/2010, ed aveva conseguentemente inquadrato l’attore come dipendente del Ministero dello Sviluppo Economico con condanna al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni maturate a titolo di risarcimento del danno, essendo il C. transitato dal soppresso IPI al Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi del D.L. n. 78 del 2010;

2. la Corte territoriale affermava l’illegittimità dei contratti di somministrazione stipulati tra il C. e l’Amministrazione vuoi per l’assoluta genericità delle causali, vuoi perché l’attività svolta dal lavoratore non rientrava neppure nell’oggetto dei contratti medesimi;

3. la Corte evidenziava che la somministrazione irregolare ha quale conseguenza giuridica D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 27, la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (IPI) con effetto ab initio della somministrazione;

4. evidenziava che la natura privatistica dell’IPI non era contestata e che non si trattava, dunque, di una conversione contraria al divieto vigente riguardo alle pubbliche amministrazioni;

rilevava che il passaggio ex lege dall’IPI al Ministero del lavoratore era avvenuta ad opera del D.L. n. 78 del 2010, poiché il C. doveva essere considerato dipendente a tempo indeterminato dell’ente IPI, utilizzatore, fin dal primo contratto di somministrazione, per la dichiarata illegittimità dei contratti di somministrazione a tempo determinato stipulati tra il C. e le società Orienta S.p.A. e Tempor S.p.A. (somministratrici);

5. ricorre per la cassazione della sentenza il Ministero dello Sviluppo Economico con un unico motivo;

6. il lavoratore ha resistito con regolare controricorso successivamente illustrato da memoria.

CONSIDERATO

che:

1. con un unico motivo il Ministero ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36,D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20, D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15, art. 30 c.c. e art. 11 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

censura la sentenza impugnata per aver considerato pacifica e non contestata la natura privatistica dell’IPI, sostenendo che tale ente ha tutte le caratteristiche di un organismo di diritto pubblico in rapporto di delegazione interorganica con il Ministero;

evidenzia che l’IPI, pur non essendo qualificato come pubblica amministrazione ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, deve essere considerato un “succedaneo” dell’ente pubblico in virtù delle funzioni ad esso attribuite;

sostiene che il carattere pubblico dell’IPI è desumibile tanto dal controllo effettuato dal Ministero sull’attività dell’ente quanto dalla procedura di selezione ai fini della stabilizzazione a cui era stato sottoposto il personale dell’ente;

assume che l’IPI non aveva una struttura autonoma rispetto agli scopi e all’attività del Ministero vigilante e che l’incremento organico dell’ente era stato determinato da un atto amministrativo del Ministero; dunque, le conversioni dei rapporti di lavoro del personale dell’IPI non erano automatiche, ma necessitavano d’una procedura selettiva in conformità a quanto previsto dall’art. 97 Cost.;

rileva che, in ogni caso e a prescindere dalla natura dell’ente, l’estinzione dell’IPI era avvenuta ope legis sicché l’unico soggetto contraddittore era il Ministero, pacificamente avente natura pubblica, con conseguente inapplicabilità della conversione del rapporto a tempo indeterminato;

2. il ricorso deve essere accolto sulla base dei precedenti di questa Corte (Cass. n. 28409/2020; Cass. n. 28060/2020; Cass. n. 28624/2020) resi in vicende del tutto analoghe;

3. anche nel caso in esame occorre premettere che l’attività ricostruttiva della natura giuridica di un ente è compito del giudice di legittimità che vi provvede, anche d’ufficio, in ossequio al principio iura novit curia, là dove tale natura fondi la propria essenza in disposizioni di legge (operazione, questa, che non trova limite, pertanto, in differenti prospettazioni o posizioni delle parti); diversamente, l’indicato compito è circoscritto a quanto ritualmente allegato in causa, nel rispetto degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., quando una determinata natura (e, per quanto si dirà, quella di ente privato) abbia le radici in atti dell’autonomia delle persone;

4. ciò detto, nei precedenti sopra richiamati, alla cui motivazione si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., è stata ricostruita la natura dell’IPI partendo dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 7, comma 20, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” che ha disposto la soppressione dell’IPI per procedere poi a ritroso nel tempo;

5. così è stato ritenuto che l’intervenuta soppressione di detto istituto non possa che presupporne la natura pubblica, inimmaginabile essendo che il legislatore abbia inteso, con il medesimo atto normativo, costituire un ente pubblico e contestualmente sopprimerlo;

6. si è ricostruita l’evoluzione dell’IPI nel corso del tempo a far data dalla sua costituzione e prima ancora quella dello IASM (Istituto di assistenza allo sviluppo del Mezzogiorno) ed è stato escluso che possa essere stata una disposizione statutaria (e così le modifiche statutarie introdotte il 13.11.2008) ad attribuire all’IPI (derivante dalla trasformazione dello IASM) quella natura pubblica poi confermata dal legislatore del 2010 che ne ha previsto la soppressione, ciò in quanto la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, prevede che “nessun ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge” (si veda anche Corte costituzionale n. 1179 del 1995);

7. si e’, peraltro, ritenuto che, di certo, l’intervento in sede di statuto sia stato determinato da una presa d’atto di quello che era un assetto dell’ente come già voluto dal legislatore;

8. si è ricordata l’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale della citata L. n. 70 del 1975, che è andata, con il tempo, nella direzione di consentire l’individuazione di enti pubblici non solo in presenza di una diretta istituzione “per legge” (“istituzione in concreto”), ma anche in presenza di una istituzione “in base alla legge” (“configurazione astratta”), interpretazione, da ultimo, confermata dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 10244 del 2021 (v. punto 7.4.: “La L. n. 70 del 1975, art. 4, non va letto in un’ottica meramente formalistica, giacché il riconoscimento della qualità pubblica di un ente può trarsi anche da disposizioni che, pur senza definire in modo esplicito un soggetto come ente pubblico, gli attribuiscano prerogative e poteri di natura pubblicistica”);

9. si sono così richiamati i molteplici interventi legislativi che, nel tempo, hanno presupposto una natura pubblica dell’IPI;

10. si è evidenziato che quella dell’IPI è una vicenda che si caratterizza per l’assoluta singolarità in quanto collocata in un contesto nel quale, da un lato, non si è mai dato seguito alle disposizioni normative che, all’epoca dello IASM, avevano previsto la trasformazione degli enti sorti per lo svolgimento dell’attività di assistenza tecnica e di promozione per la localizzazione nel Mezzogiorno di nuove imprese in società per azioni (con evidente opzione per lo statuto privatistico) e, dall’altro, tali disposizioni sono state superate da interventi legislativi successivi che, nel caso dello IASM, hanno sancito la sopravvivenza dell’ente prevedendo uno stretto collegamento con il dicastero competente (si veda il sopra citato art. 11, D.Lgs. n. 96 del 1993, comma 4) e, nel caso dell’IPI, seppure non specificamente diretti alla qualificazione del soggetto e alla istituzione di un ente pubblico, ne hanno presupposto la natura pubblica (si vedano i riferimenti legislativi specificamente riguardanti tale Istituto, riportati nei precedenti citati);

11. anche, dunque, in presenza di una possibile diversa originaria configurazione, si è conclusivamente ritenuto che, con il tempo, e per scelta legislativa, l’IPI abbia assunto la connotazione di una struttura parallela a quella Ministeriale (come una Agenzia tecnica del dicastero, con propri compiti operativi, ma assoggettata agli indirizzi e al controllo di un dicastero) alla quale l’Amministrazione ha affidato attribuzioni e funzioni anche strettamente istituzionali;

12. per l’effetto, il D.L. n. 78 del 2018, di soppressione dell’IPI assume una chiara valenza ricognitiva della natura pubblica che l’Istituto aveva già con il tempo acquisito, come si evince dai plurimi interventi legislativi di cui si è detto;

13. ed allora è tale natura ad essere ostativa alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato quale effetto della declaratoria di illegittimità dei termini apposti a contratti stipulati dal 10/2/2007 al 31/12/2010, quando l’Istituto aveva già acquisito natura pubblica, che è questione necessariamente preliminare rispetto ad ogni valutazione circa la deduzione del Ministero secondo cui tale costituzione non potesse comunque essere disposta nei suoi confronti, in quanto subentrato all’esito della soppressione;

14. dalle considerazioni che precedono deriva che il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, esclusa la possibilità di conversione del rapporto, procederà all’esame della domanda di risarcimento del danno;

15. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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