LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5880-2019 proposto da:
DND MARTINELLI S.R.L. (già FMN MARTINELLI S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ n. 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE CORLI;
– ricorrente –
contro
E.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 438/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 11/12/2018 R.G.N. 365/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha concluso per rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FRANCESCO ANELLI.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 438/2018, in riforma della pronuncia n. 670/18 emessa dal Tribunale della stessa sede, in relazione alla domanda di impugnazione del licenziamento collettivo, intimato a far data dal 10.4.2017 da FMN Martinelli spa nei confronti di E.A., ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del recesso e ha condannato la società datrice di lavoro al pagamento, in favore del dipendente, di una indennità onnicomprensiva pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
2. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha rilevato, premessa l’ammissibilità del motivo di appello, riguardante la comunicazione di chiusura della procedura, per essere stata la contestazione proposta comunque entro la fase di opposizione e dovendo la stessa contestazione essere valutata in relazione a tutti i documenti prodotti in giudizio, che la suddetta comunicazione difettava della puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5. Ritenendo, poi, la natura formale della violazione, ha applicato il regime della tutela di cui al terzo periodo dell’art. 18 previa risoluzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento, individuandone la misura in 12 mensilità.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione DND Martinelli srl (già FMN Martinelli spa) affidato a sei motivi.
4. E.A. non ha svolto attività difensiva.
5. La società ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,434 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonché la violazione del giudicato interno formatosi e il vizio di ultra-petizione. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva valutato la regolarità della comunicazione conclusiva della procedura di licenziamento collettivo nonostante nei confronti della affermazione del primo giudice (“Atteso che E.A. non muove alcuna considerazione critica in ordine al contenuto della comunicazione conclusiva della procedura in esame, si deve allora ritenere l’infondatezza della censura”), idonea ad integrare una minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato, non fosse stata formulata alcuna censura, essendo stato il reclamo indirizzato unicamente nei confronti del verbale di accordo sindacale per licenziamento collettivo.
3. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dal fatto che l’ E.A. era un operaio fonditore, aveva lavorato solo nel reparto di fonderia ed era inidoneo ad occupare le posizioni lavorative degli addetti ad altri reparti, richiedenti una autonoma e specifica professionalità.
4. Con il terzo motivo la società si duole della violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per non avere la Corte di merito considerato che spetta ai lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni e che, in relazione a tale aspetto, il dipendente nulla aveva allegato.
5. Con il quarto motivo si eccepisce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per la irriducibile contraddittorietà, per il contrasto tra affermazioni inconciliabili e per la illogicità manifesta della motivazione, che appariva oggettivamente incomprensibile allorquando era stato, da un lato, affermato che il dipendente aveva lavorato solo al reparto fonderia, che questo era stato chiuso e che tutti gli addetti a tale reparto erano stati licenziati e, dall’altro, che il licenziamento era illegittimo.
6. Con il quinto motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, con riferimento al contenuto della comunicazione finale della procedura della L. n. 223 del 1991, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere rilevato la Corte territoriale la regolarità della comunicazione di chiusura che consentiva comunque il controllo sulla correttezza dell’operazione di riduzione di personale e dei criteri di scelta adottati.
7. Con il sesto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 434 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la Corte territoriale ridotto, dall’indennità risarcitoria riconosciuta, l’importo percepito dal lavoratore per effetto dell’entrata in vigore della NASPI e per non avere considerato che l’ultima retribuzione globale di fatto era pari, al momento del recesso, ad Euro 941,07 lordi considerando che la stessa era composta unicamente dall’importo di solidarietà, dagli assegni familiari e dal credito “D.L. n. 66 del 1914” non avendo effettuato negli anni 2015, 2016 e 2017 E.A. alcun giorno lavorativo, beneficiando unicamente degli ammortizzatori sociali.
8. Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
9. E’ infondato nella parte in cui si obiettano gli errori di omessa pronuncia e di ultra-petizione, di cui sarebbe affetta la gravata sentenza, con riguardo alle statuizioni sui vizi formali della comunicazione finale della procedura di licenziamento collettivo.
10. Invero, il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 8048/2019).
11. Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre, invece, quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (ex plurimis Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012).
12. Nella fattispecie, la problematica sulla regolarità della comunicazione di chiusura è stata sottoposta alla Corte territoriale che la ha esaminata sia sotto un profilo processuale che sotto l’aspetto sostanziale, così non incorrendo in nessuna delle censure mosse.
13. Quanto, invece, alla denunciata violazione di legge in ordine al principio del giudicato interno, la doglianza si sostanzia nella richiesta di una diversa interpretazione delle contestazioni contenute nel reclamo e, in quanto tale, è inammissibile.
14. L’interpretazione del contenuto dell’atto di appello e’, infatti, riservata al giudice di merito ed è sottratta al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivata; tale interpretazione deve essere condotta tenendo conto sia della formulazione letterale che del contenuto sostanziale dell’atto, che ne esprime la volontà effettiva attraverso l’enunciazione e la prospettazione delle ragioni addotte a sostegno, in relazione alla finalità che la parte intende raggiungere. A tal fine, il giudice d’appello è libero di verificare l’esatta natura delle questioni dedotte in giudizio nei motivi di gravame e di precisarne il contenuto e gli effetti in relazione alle norme applicabili, purché non introduca nuovi elementi di fatto del tutto estranei al “thema devolutum” (Cass. n. 27789/2005; Cass. 13602/2019).
15. Nella fattispecie la Corte territoriale, con congrue e adeguate argomentazioni, ha rilevato che la comunicazione di chiusura della procedura si identificava con il verbale di accordo sindacale e, pertanto, era coinvolta dalle contestazioni dell’appellante in ordine alla genericità delle affermazioni ivi contenute circa l’esatta individuazione dei criteri di scelta.
16. Tale giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente per vizio della motivazione che, però, per quanto sopra detto, non è ravvisabile nel caso concreto.
17. Il secondo motivo è inammissibile.
18. Infatti, la censura – relativamente alla asserita mancata valutazione della circostanza che il lavoratore rivestisse la qualifica di operaio fonditore-difetta di decisività in quanto non incide sulla statuizione circa la rilevata genericità sulla indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, quale requisito previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, che si pone in un momento logicamente anteriore rispetto a quello della individuazione delle qualifiche coinvolte dalla procedura di licenziamento collettivo.
19. Analogamente il terzo motivo è inammissibile perché non pertinente alla ratio decidendi della gravata pronuncia in quanto il licenziamento non è stato dichiarato illegittimo per la carenza di prova sulla fungibilità del lavoratore licenziato, bensì sulla carenza contenutistica della comunicazione di chiusura della procedura.
20. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
21. In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
22. Nel caso in esame, invece, l’asserita contraddittorietà della motivazione, oltre a non sussistere secondo i parametri evidenziati, non è rilevante sempre in considerazione della statuizione della Corte di merito con riguardo alle carenze riscontrate nella comunicazione di chiusura della procedura e non sull’attività lavorativa svolta dal lavoratore e sulla chiusura del solo reparto cui era addetto.
23. Il quinto motivo è anche esso inammissibile in quanto, al di là delle denunciate violazioni di legge, si sostanzia nella richiesta di una diversa interpretazione di un atto (comunicazione finale della procedura) che è inammissibile in sede di legittimità essendo stata la soluzione esegetica della Corte territoriale adeguatamente argomentata.
24. Va ribadito che, in tema di sindacato sull’interpretazione degli atti di autonomia privata (giova precisare che le norme in tema di interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., in ragione del rinvio ad esse operato dall’art. 1324 c.c., si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto – Cass. n. 9127/2015), la parte che ha proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una clausola contrattuale, non può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito (Cass. 27136/2017).
25. Inoltre, è stato affermato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un atto (o contratto) non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola (anche contrattuale) sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 24539/2009).
26. In tema di interpretazione dell’atto di autonomia privata (o del contratto), poi, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015).
27. Il sesto motivo e’, infine, infondato.
28. La gravata sentenza (che ha riconosciuto al lavoratore la tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5) e’, infatti, conforme all’orientamento di legittimità secondo cui, in caso di licenziamento illegittimo cui consegua la tutela risarcitoria di cui all’art. 18, comma 5, st. lav. riformulato, non trova applicazione la detrazione delraliunde perceptum”, in quanto tale ipotesi, a differenza di quella contemplata dal precedente comma 4, comporta comunque la cessazione del rapporto con effetto dalla data del recesso, sicché la corresponsione di un’indennità omnicomprensiva, che già tenga conto anche delle condizioni delle parti (e quindi presumibilmente pure della eventuale situazione lavorativa del dipendente dal punto di vista della collaborazione eventualmente prestata per la riduzione del danno), non può assumere caratteristiche analoghe a quelle che caratterizzano la fattispecie ex comma 4, rispecchiando, dunque, la diversità delle situazioni, in una prospettiva sistematica di unitaria e coerente disciplina delle conseguenze sanzionatorie, la mancata espressa previsione, nel comma 5, del principio della detrazione delraliunde” di cui al comma 4 (Cass. n. 16786/2020).
29. Per ciò che concerne, invece, la quantificazione della retribuzione globale di fatto, non espressamente effettuata dai giudici di seconde cure, la gravata sentenza va parificata, non essendo indicativa di un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico, ad una pronuncia di condanna generica, con conseguente eventuale necessità di un ulteriore giudizio per la liquidazione del “quantum”, allorché insorga successivamente controversia in ordine alla individuazione della retribuzione globale di fatto assunta dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, quale parametro del risarcimento (Cass. n. 24242/2010).
30. In considerazione della rilevata natura di condanna generica della pronuncia sul punto, vizio di omessi pronuncia e’, pertanto, nessun ravvisabile.
31. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va rigettato.
32. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
33. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021
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