LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11755/2019 proposto da:
ENERGETICA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PARIONE 23, presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO MASCIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO BOTTERO;
– ricorrente –
contro
ALPIGEST SRL, elettivamente domiciliata presso l’avvocato OLAF ODDENINO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 306/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 14/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/04/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.
RILEVATO
che:
Alpigest Srl conveniva davanti al Tribunale di Torino Energie Srl – già Metan Alpi Energia S.r.l., gestore del teleriscaldamento nel Comune di Bardonecchia in forza di una convenzione per la concessione di tale pubblico servizio stipulata con il Comune il 7 dicembre 1999. L’attrice, che gestiva strutture turistiche e quindi aveva stipulato vari contratti con Energie, adducendo ragioni di rideterminazione della tariffa chiedeva la condanna di quest’ultima a pagarle la somma di Euro 92.043,40.
La convenuta si costituiva resistendo e, in via riconvenzionale, chiedendo la condanna di controparte a corrisponderle Euro 32.475,45 per fatture non pagate e Euro 17.315,87 per penali.
Il Tribunale, disposta consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 4 dicembre 2017 dichiarava che la convenuta doveva restituire all’attrice la somma di Euro 117.015,07, che l’attrice a sua volta era debitrice della convenuta per Euro 40.561,39; compensati quindi tali importi, condannava la convenuta a restituire a controparte la somma di Euro 76.453,68, oltre interessi.
Energia proponeva appello principale e controparte appello incidentale.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 14 febbraio 2019, accoglieva parzialmente l’appello principale, compensando cioè le spese di lite del primo grado di giudizio nella misura del 20% e condannando pertanto Energie a rifonderne a controparte l’80%; stabiliva la medesima compensazione delle spese di lite per il giudizio d’appello.
Ha proposto ricorso, illustrato pure con memoria, Energetica S.p.A. – divenuta durante il giudizio di secondo grado cessionaria dei crediti e/o dei debiti della lite della cedente Energia -, da cui si è difesa Alpigest con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Il ricorso propone un unico motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1369 e 1371 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento a una scrittura del 4 ottobre 2012 dalle parti sottoscritta come “Accordo transattivo contratto Alpigest S.r.L. – Hotel ***** – contratto di fornitura del teleriscaldamento n. ***** rispettivamente del *****”.
Secondo la ricorrente tale accordo concerneva tutte le controversie tra le parti, e il giudice d’appello lo avrebbe interpretato erroneamente non rispettando le norme ermeneutiche e negando quindi che si trattasse di una transazione generale e completa.
La violazione di tutte le regole ermeneutiche viene rappresentata come segue.
1.1 In primo luogo la corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..
Dal tenore letterale dell’accordo emergerebbe che le parti intendevano transigere definitivamente su “ogni aspetto relativo alla fornitura di calore all’Hotel *****”, specificando che l’accordo era “a definizione di ogni pretesa e a titolo transattivo di ogni aspetto relativo alla fornitura in oggetto”; i “disservizi” che secondo il giudice d’appello sarebbero stati l’unico oggetto dell’accordo riguarderebbero invece soltanto una delle questioni coperte da quest’ultimo.
Il testo dell’accordo manifesterebbe inequivocamente l’intenzione delle parti ex art. 1362 c.c., indicando appunto i suddetti “disservizi” come uno dei vari problemi inclusi nell’accordo stesso, nel quale infatti si rinviene l’inciso: “tra cui la richiesta di danni patiti dall’utenza per disservizi”.
Il giudice d’appello deduce una “scarsa chiarezza del testo” dell’accordo dal riferirsi “a solo tre dei contratti” – quelli stipulati per l’Hotel ***** – “che non è contestato e che pertanto non può… influire”. La corte territoriale violerebbe però gli artt. 1362-1363 c.c., anche perché non terrebbe conto della espressamente manifestata volontà delle parti di stipulare l’accordo “a definizione di ogni pretesa e a titolo transattivo di ogni aspetto relativo alla fornitura” – come appunto l’accordo recita. Inoltre l’interpretazione dell’accordo priverebbe di ogni valore la sua conclusione, ove Alpigest dichiara “di non avere più nulla a pretendere e rinunziando ad ogni azione a qualunque titolo relativamente alla fornitura in oggetto” (così ancora si rinviene nell’accordo).
D’altronde l’accordo stesso avrebbe previsto che il richiamo alla corrispondenza pregressa concerna soltanto i “disservizi” fra le varie vertenze transatte, trattandosi invero di “un semplice richiamo valido… solo per la riferita questione”.
1.2 In secondo luogo, sarebbe stato violato dal giudice d’appello l’art. 1369 c.c., la natura dell’accordo in questione essendo transattiva, come risulterebbe da vari elementi semantici: “a seguito di controversie intercorse”, “tra cui”, “inclusi i… “, “dichiarando di non avere più nulla a pretendere”, e “rinunziando ad ogni azione a qualunque titolo”.
Tutto ciò dimostrerebbe inequivocamente “la portata generale della transazione”.
1.3 In terzo luogo, si lamenta violazione dell’art. 1271 c.c..
Entrambe le parti avevano interesse a dirimere tutto il loro contenzioso per evitare poi che l’una pretestuosamente sollevasse all’altra “nuove contestazioni” in ordine ai rapporti coperti dall’accordo.
2.1 Si è dinanzi, evidentemente, alla doglianza di una non corretta applicazione dei canoni ermeneutici – gli argomenti dispiegati nell’illustrazione del motivo inducono a ritenere coinvolti tutti i canoni, e non solo quelli formalmente menzionati nella rubrica -, che il giudice d’appello avrebbe praticato, così pervenendo ad un accertamento di fatto compiuto in contrasto con le regole che il legislatore gli ha dettato per effettuarlo in rapporto ad uno specifico oggetto quale è la individuazione della volontà contrattuale delle parti.
Sovente la censura che veicola, appunto, falsa applicazione o anche violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., nel suo effettivo contenuto “scivola” proprio in una diretta valutazione alternativa dell’accertamento di fatto.
La divergenza che si pone tra una censura inammissibile perché in realtà puramente fattuale e una censura denunciante, in conformità al classico mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – che costituisce a ben guardare il nucleo della verifica custodiale del giudice di legittimità sulle decisioni del giudice di merito -, è stata da ultimo ampiamente illustrata da Cass. sez. 3, ord. 19 febbraio 2021 n. 4571.
2.2 Tale arresto rammenta che il controllo della corretta applicazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale non può avere quale oggetto, appunto, la ricostruzione della volontà delle parti, bensì l’applicazione dei canoni quali regole del percorso e del ragionamento accertatorio del giudice (v., p. es., Cass. sez. 3, 22 ottobre 2014 n. 22343, in motivazione); e al riguardo, pur sussistendo anche alcuni arresti di segno diverso (come gli ormai risalenti Cass. sez. 5, 10 ottobre 2003 n. 15100 e Cass. sez. 2, 23 dicembre 1993 n. 12758), si è affermato che per determinare la volontà delle parti il principale strumento ermeneutico – id est, si ripete, intrinsecamente giuridico è costituito proprio “dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate”, le quali d’altronde – ciò dimostrando, si nota per inciso, l’unitarietà ontologica dell’ermeneutica giuridica – devono essere scrutinate “alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento (art. 1363 c.c.), giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479…)”. Il che tuttavia – ancora una volta dimostrando l’intrinseca reciprocità dei canoni di legge con cui si deve estrarre la volontà delle parti dalla letteralità del negozio -, come sempre rammenta questo recentissimo arresto del 2021, comporta che, “pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della… effettiva volontà delle parti, a tal fine il giudice deve invero necessariamente riguardare il medesimo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva… del contratto: v. Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 22/11/2016, n. 23701; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998…) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., in considerazione dello scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto, e quindi della relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882)”.
3. Alla luce allora di tale paradigma, che questo collegio appieno condivide, deve quindi procedersi a verificare come il giudice d’appello si è avvalso dei canoni ermeneutici per individuare la volontà delle parti nell’accordo de quo.
3.1 Riporta nella premessa il ricorso (a pagina 8) il conciso contenuto del suddetto accordo, che è come segue:
“A seguito di controversie intercorse in merito al contratto di fornitura in oggetto tra cui la richiesta di danni patiti dall’utenza per disservizi nel corso del periodo di vigenza del contratto inclusi i presunti disservizi lamentati nel periodo dicembre 2010-gennaio 2011 per i quali si richiama tutta la corrispondenza intercorsa, le parti decidono di stipulare il seguente accordo a definizione di ogni pretesa e a titolo transattivo di ogni aspetto relativo alla fornitura in oggetto. Energie S.r.l. riconosce alla controparte Euro 20.000 + eventuale IVA a stralcio di ogni pretesa a qualunque titolo relativa al servizio fornito fino alla data odierna. Alpigest S.r.l. accetta l’importo sopra menzionato dichiarando di non avere più nulla a pretendere e rinunziando ad ogni azione a qualunque titolo relativamente alla fornitura in oggetto. L’importo di Euro 20.000 + eventuale IVA verrà regolato tramite emissione di nota credito e compensato con i debiti in capo ad Alpigest S.r.l. derivanti dalla fornitura in corso”.
3.2 La corte territoriale, invero, decidendo la relativa prima censura del gravame, svolge una motivazione ampia (pagine 10-14), inserendo per interpretare il sopra riportato accordo anche contestuali dati di fatto (in particolare la sussistenza di altri contratti tra le stesse parti) per giungere ad affermare che soltanto i “disservizi” e i relativi danni ne sono l’oggetto, e ad attribuire poi una genericità tale da renderli insignificanti clausole di stile ad ulteriori elementi presenti nell’accordo stesso – quali l’affermazione di insussistenza di altre pretese a seguito della stipulazione e la rinuncia ad altre azioni a qualunque titolo -, secondo il giudice d’appello essendo stato ciò riconosciuto dal giudice di prime cure e impugnato genericamente e pertanto inammissibilmente nell’atto d’appello (sentenza, pagina 14).
3.3 Se è vero che il ricorso, nella premessa, riporta un dato alquanto sintetico su come era conformato il primo motivo d’appello (ricorso, pagina 5: il motivo avrebbe lamentato che il Tribunale non aveva considerato che l’accordo “aveva portata transattiva generale (con riferimento alla fornitura relativa all’Hotel *****)”), peraltro, a ben guardare, è agevolmente evincibile dal complessivo contenuto del ricorso stesso che l’appellante aveva censurato in modo comprensibile e adeguato l’interpretazione dell’accordo fornita dal primo giudice; e ciò – come aveva riconosciuto proprio la corte territoriale descrivendo il contenuto del primo motivo d’appello proposto da Energie (pagina 10 della sentenza) -, adducendo “che allorquando il significato delle parole usate in un contratto sia tale da rendere palese, di per sé stesso, l’effettiva volontà dei contraenti, l’attività ermeneutica del giudicante deve limitarsi al riscontro della chiarezza e univocità del tenore letterale dell’atto per rilevare tale volontà”, mentre il Tribunale, “non attenendosi al significato testuale dell’accordo transattivo, aveva arbitrariamente ristretto la portata dell’accordo” medesimo a una sola delle sussistenti vertenze, quella del disservizio, che, invece, “come si evinceva dal testo letterale”, era appunto “solo uno degli aspetti in discussione”.
Il giudice d’appello aderisce all’interpretazione del primo giudice, effettuata con argomenti (sentenza, pagina 11s.) che secondo la corte territoriale sarebbero relativi alla “portata letterale” dell’accordo, ove soltanto la questione dei servizi sarebbe stata (lo aveva rilevato, condivisibilmente per il giudice d’appello, appunto il primo giudice) l’unico oggetto “determinato e determinabile” della transazione (sentenza d’appello, pagina 12), mentre mere espressioni di completamento formale e generico sarebbero state, sempre secondo la linea del primo giudice cui aderisce il secondo, quelle “circa l’insussistenza di altre pretese e la rinuncia ad altre azioni”.
La sentenza impugnata afferma altresì che l’appellante avrebbe omesso di confutare “la ritenuta genericità, ampiezza ed indeterminatezza delle espressioni con l’allegazione di diversi e concreti elementi di giudizio” (sentenza pagina 14), il che avrebbe fatto cadere la doglianza d’appello.
4. In realtà tutto ciò costituisce un fraintendimento della doglianza stessa, la quale era imperniata sul valore della letteralità che il Tribunale – si denunciava – non avrebbe rispettato, così erroneamente riducendo la portata dell’accordo. E il testo di quest’ultimo, ut supra riportato, in effetti è letteralmente onnicomprensivo, la questione dei disservizi, in quanto espressamente presentata come una tra quelle sussistenti (“tra cui”), potendo essere qualificata unico oggetto della transazione soltanto stravolgendo quel che appunto vi è evidente e inequivoco, ovvero sopprimendo il tenore letterale.
Parimenti, qualificare l’importo che in forza dell’accordo competeva all’attuale ricorrente versare come correlato esclusivamente ai disservizi vale trasformare in insignificanti clausole di stile – in contrasto anche con il principio conservativo del significato di cui all’art. 1367 c.c., non menzionato nella rubrica del motivo, ma insito ictu oculi nelle sue argomentazioni – espressioni subito susseguenti come “a stralcio di ogni pretesa a qualunque titolo relativa al servizio fornito fino alla data odierna” e “dichiarando di non avere più nulla a pretendere e rinunziando ad ogni azione a qualunque titolo relativamente alla fornitura in oggetto”.
Nella impugnata sentenza, in tal modo, il principio in claris non fit interpretatio – classica espressione del valore esternante della letteralità – viene inteso, invertendolo, nel senso che la inequivocità letterale non è idonea a significare alcunché dovendo sempre prevalere canoni diversi. L’inserimento della questione dei disservizi tra altre questioni (“tra cui”), in assoluto contrario alla esternazione letterale della volontà delle parti e in evidente conflitto pure con l’art. 1366 c.c. (citato questo nella rubrica del motivo), viene poi tradotto in un assorbimento di ogni altra questione. E viceversa, la parte finale – che, come si è visto, presenta espressioni di “chiusura totale” di ogni contenzioso (“Alpigest S.r.l. accetta… dichiarando di non avere più nulla a pretendere e rinunziando ad ogni azione a qualunque titolo relativamente alla fornitura in oggetto”) – viene apoditticamente tutta riversata in un tamquam non esset.
Ben difficilmente, d’altronde (cfr. ancora l’art. 1366 c.c.), una parte transige e si obbliga a conseguentemente versare denaro lasciando però aperte tutte le altre possibilità di contenzioso per la medesima vicenda contrattuale; e altresì è ben difficile che una parte che vanta plurime pretese transiga per incassare una somma relativa ad una sola di esse lasciando aperta la necessità di agire per recuperare tutto il resto che deriva dalla stessa vicenda (cfr. art. 1362, comma 1, canone ermeneutico della “comune intenzione”): ordinariamente, è notorio, la “comune intenzione” delle parti nello stipulare un accordo transattivo è per una chiusura totale del contenzioso presente e anche di quello che sarebbe possibile attivare in futuro, a meno che non sussistano specifici elementi che ciò impediscano – elementi, nel caso in esame, che lo stesso giudice d’appello non ha affatto indicato.
5. Si deve pertanto giungere alla conclusione che la corte territoriale non ha rispettato i sopra specificamente richiamati canoni ermeneutici, pervenendo all’accertamento fattuale in modo non conforme al dettato normativo sulle modalità per eseguirlo. Il che conduce all’accoglimento del ricorso, e quindi alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, alla medesima corte di merito in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021
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