LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16337/2019 proposto da:
UNIONTRADE SPA, elettivamente domiciliata in Milano, Via Fontana, 3, presso lo studio degli avvocati MICHELE GILIBERTI, RAFFAELE SCUDIERI;
– ricorrente –
contro
P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 34, presso lo studio dell’avvocato VIRGINIA GARRAFA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIKA BENATTI;
– controricorrenti –
e contro
PE.DY.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 692/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/06/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
RITENUTO
Che:
l.- La società Uniontrade spa ha proposto opposizione ad un decreto ingiuntivo notificato da D&K srl, per prestazioni di servizi, ed ha anche, nell’ambito di tale opposizione, proposto domanda riconvenzionale.
Nel corso del giudizio di primo grado, la società D&K srl è stata dapprima posta in liquidazione e poi cancellata, venendo dunque meno come soggetto giuridico. La società aveva tuttavia ceduto il credito a P.D.. Appresa la notizia della cancellazione della società opposta (D&K srl), quella opponente, ossia la Uniontrade ora ricorrente, ha chiesto al giudice di primo grado l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Pe.Dy., successore nei rapporti della società estinta, ma il Tribunale ha dichiarato estinto il processo, osservando che la società creditrice era venuta meno prima che il cessionario, che non era successore universale della società, bensì terzo rispetto a quest’ultima, si costituisse in giudizio. Con la conseguenza che la costituzione di quest’ultimo era avvenuta a fatto estintivo già verificatosi.
2.- La Uniontrade spa ha proposto impugnazione avverso tale decisione, notificando l’appello a P.D. cessionario del credito che la società contestava di dover sodisfare, ma non riuscendo a notificarlo a Pe.Dy., successore della società creditrice cedente il credito, ossia la D&K srl. All’udienza successiva a quella di prima comparizione, udienza successiva richiesta dalla stessa Uniontrade allo scopo di valutare se rinnovare la notifica a Pe.Dy. oppure rinunciare alla domanda nei suoi conforti, la Uniontrade sceglie questa seconda soluzione, e dunque rinuncia alla domanda verso costui.
A quel punto la Corte di Appello decide nel senso che l’impugnazione è del tutto inammissibile, in quanto, da un lato, non v’e’ notifica al litisconsorte necessario ( Pe.Dy.) e, per altro verso, è priva di altre domande, non essendovene alcuna verso P.D., l’altro appellato, cessionario del credito.
3.- Il ricorso contro questa decisione, proposto da Uniontrade, è basato su sette motivi, di cui chiede il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità P.D., costituitosi con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
5.- I motivi di ricorso sono sette, ma possono distinguersi, quanto alla loro finalità, i primi cinque dagli ultimi due. I primi cinque sono rivolti a contestare la decisione della Corte di Appello, nella parte in cui, da un lato, ha ritenuto inammissibile l’appello per difetto di notifica, senza ordinare però una rinnovazione di quest’ultima, e nella parte in cui, per altro verso, non ha annullato la sentenza di primo grado, la quale, accertato il fatto interruttivo, avrebbe dovuto disporre riassunzione della causa verso il successore, anziché dichiarare l’estinzione. In sostanza, la Corte d’appello avrebbe dovuto, in primo luogo, rilevare un errore del giudice di primo grado che, venuta meno la parte, avrebbe dovuto disporre riassunzione della causa, anziché dichiarare estinzione, e dunque, rilevato l’errore, avrebbe dovuto rimettere la causa al grado precedente. In secondo luogo, non doveva dichiarare inammissibile l’appello per difetto di notifica ad uno dei litisconsorti, bensì disporre la rinnovazione della citazione in appello.
Queste censure sono poste, come detto, con i primi cinque motivi di ricorso.
In particolare, i motivi, primo (violazione art. 102 c.p.c.), quarto e quinto (violazione art. 291 c.p.c.) censurano la sentenza impugnata per non aver consentito la rinnovazione della notifica al litisconsorte necessario dopo aver rilevato la nullità della medesima.
Questi tre motivi sono infondati in quanto risulta, ed è fatto peraltro ammesso dalla stessa ricorrente, che il termine è stato concesso e che in realtà era stato chiesto dalla stessa Uniontrade per decidere se rinnovare la notifica oppure rinunciare alla domanda, e risulta altrettanto pacifico che è stata fatta questa ultima scelta, per cui risulta che il termine è stato concesso, ma la ricorrente l’ha sfruttato per altro.
Ora, si può anche non convenire con la soluzione di dichiarare inammissibile l’appello data la circostanza che, avendo il ricorrente rinunciato alla domanda non aveva più interesse a notificare, dunque l’omessa notifica diventava irrilevante, ma la conseguenza alternativa è che andava allora dichiarata rispetto a Pe.Dy. la cessazione della materia del contendere, con esiti comunque non diversi da quelli avutisi.
Infatti, dichiarata l’inammissibilità o estinto l’appello nei confronti di Pe.Dy., v’era quello nei confronti di Pe.Do., che era, si ricorderà, il cessionario del credito inizialmente azionato dalla società.
La Corte di Appello, dopo aver ritenuto inammissibile l’impugnazione verso Pe.Dy., ha dichiarato inammissibile anche l’impugnazione verso P.D., e questa ultima statuizione è contestata con i motivi sesto e settimo, di cui ci si deve, per ragioni di logica priorità occupare prima: l’esame dei motivi secondo e terzo dipende dal loro scrutinio, per la seguente ragione.
Secondo e terzo motivo, infatti, censurano la sentenza di secondo grado per non avere dichiarato nulla quella di primo, per via della mancata integrazione del contraddittorio, e lamentano violazione dell’art. 331 c.p.c. (il secondo) e art. 354 c.p.c. (il terzo): in primo grado, come si è detto, venuta meno la società opposta, la ricorrente, allora opponente, aveva chiesto di poter riassumere la causa, ma il giudice di primo grado l’ha estinta. Uniontrade impugna la decisione di estinzione assumendola come illegittima.
La ragione per la quale l’esame dei due motivi con cui questa censura è fatta valere dipende dall’esame dei motivi sesto e settimo è presto detta: questi ultimi due infatti si riferiscono alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello anche nei confronti di P.D.: ove fossero infondati, ossia ove correttamente la Corte di Appello avesse dichiarato l’inammissibilità dell’appello anche quanto a P.D., ovvio che altrettanto correttamente non ha deciso gli altri motivi di appello, e dunque non ha deciso sulla questione della rimessione al primo giudice per violazione della integrazione del contraddittorio.
Tuttavia, sesto e settimo motivo sono inammissibili.
Come si è detto, la Corte di appello, dopo aver dichiarato inammissibile l’impugnazione verso Pe.Dy. per difetto di notifica, ha dichiarato altresì inammissibile quella verso P.D. per difetto di una valida domanda verso costui.
La ricorrente si duole di questa ratio, con i due motivi in questione, con cui denuncia omesso esame (sesto motivo) e omessa pronuncia (settimo motivo), sostenendo di avere invece svolto una domanda verso quel contraddittore.
I motivi sono tuttavia inammissibili poiché non indicano affatto quale sia questa domanda, e quindi non rispettano il requisito dell’autosufficienza. P.D. era volontariamente intervenuto in causa, assumendosi successore, a titolo particolare, della estinta società D&G srl, in quanto cessionario del credito vantato da quest’ultima: era dunque onere della Uniontrade, opponente in quel giudizio, illustrare il tipo di domanda volta verso il P., non potendosi trattare necessariamente di quella inizialmente fatta valere verso il cedente; invece nel motivo di ricorso non si indica alcunché in base a cui identificare la domanda svolta verso il cessionario del credito, limitandosi a riferire (pp. 17 e 18) che in appello era stata ribadita l’infondatezza della pretesa creditoria e la nullità della cessione del credito, riferimento da cui non si evince quale fosse, e se v’era effettivamente, la domanda verso il cessionario del credito (che avrebbe dovuto essere formulata sin dal primo grado, ossia dall’intervento di costui in quel giudizio): il motivo di ricorso si limita solo a riferire che, nel motivo di appello, era ribadita una certa domanda verso il P.: domanda di cui tuttavia manca qualsiasi elemento identificativo, con la conseguenza che non può dirsi sufficiente, in entrambi i motivi, la censura svolta alla ratio della decisione impugnata, che proprio sull’assenza di una valida domanda verso il P. aveva basato la pronuncia di inammissibilità.
Con la conseguenza che deve ritenersi corretta la decisione della corte di secondo grado di ritenere inammissibile l’appello anche verso P.D., con la conseguenza che, essendo inammissibile l’intera impugnazione – verso l’uno dei litisconsorti per difetto di notifica e verso l’altro per difetto di domanda – ne deriva che i giudici di merito non hanno giustamente preso in considerazione il “merito” dell’appello, ed in particolare i motivi con cui si chiedeva la remissione al primo grado per violazione del contraddittorio.
Il ricorso dunque va rigettato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 5000,00 Euro, oltre 200,00 Euro. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021